“Dopo Torino, gli obiettivi veri”

“Una volta tanto si può fare centro, ma l’importante è capire il contesto e il ruolo che si vuole e si deve svolgere effettivamente in questo momento. A Torino c’è stata una prima e per ora unica risposta, ad uno solo dei punti che sono il cavallo di battaglia dei padroni oggi: le grandi opere e gli affari ad esse connesse”.

 

Dopo Torino, gli obiettivi veri


(Torino, 8 dicembre)

Una volta tanto si può fare centro, ma l’importante è capire il contesto e il ruolo che si vuole e si deve svolgere effettivamente in questo momento. A Torino c’è stata una prima e per ora unica risposta, ad uno solo dei punti che sono il cavallo di battaglia dei padroni oggi: le grandi opere e gli affari ad esse connesse. Tutti gli altri punti sono stati finora ignorati dal movimento ‘antagonista’ che si è impegnato nella difesa dei ‘più deboli’, ma non si è accorto che da mesi padroni e stampa associata stanno conducendo una violentissima campagna contro progetti governativi come il salario di cittadinanza. (Gli altri punti dell’attacco padronale e UE sono rispettivamente quota 100, la pensione di cittadinanza e il ridimensionamento delle pensioni d’oro). Il leit-motiv di questa campagna è che non bisogna dare i soldi ai disoccupati! I soldi vanno dati a chi scava tunnel in val di Susa o per cose equivalenti per creare, dicono, sviluppo e occupazione.

La domanda è: come è possibile che gente che per anni ha parlato di salario garantito, di lotta alla disoccupazione, di giovani senza lavoro, trovandosi di fronte a proposte di governo che concretamente cercano di dare alcune, parziali risposte a questioni che ci appartengono, non ha trovato il modo di scendere in piazza indicando nel fronte padronale mobilitato al completo coi suoi giornalacci e televisioni, negli ultraliberisti di ‘sinistra’ e nei loro epigoni, nella Bruxelles del ‘rigore’ a senso unico, quelli che sono, o dovrebbero essere per noi i nemici principali? Neppure quando Moscovici è venuto a Roma a dire al presidente Mattarella che il governo non poteva avere un deficit del 2,4% pena la procedura di infrazione, con tutto quello che comporta nell’atteggiamento della finanza sullo spread e sulle borse, nessuno dei pappisti, degli eurostoppisti, dei critici ‘di sinistra’ di Bruxelles ha avuto voglia e coraggio di scendere in piazza. Sarebbe invece stato il caso di dire: quando, se non adesso?

Evitando questa scelta di lotta, non solo si lascia il governo in balía dello spread (e dello scatenato Salvini) col risultato che il governo ne esce fortemente indebolito e al suo interno aumentano le contraddizioni, ma si mette una pietra tombale anche su futuri cambiamenti. Chi pensa che in questo modo si faciliti una uscita ‘da sinistra’ non pecca solo di ingenuità, ma anche di imbecillità.

Quello che sta succedendo a sinistra non è però una svista politica, ma fa emergere ciò che in questi anni di bonaccia era rimasto nell’ombra e cioè la sopravvivenza di una cultura politica ormai degenerata, che non si esprime più con fughe estremiste, bensì elabora un imperialismo di sinistra e rimane in continuità con quella sinistra istituzionale a cui si ricorre poi per far sopravvivere il clientelismo e il trasformismo. Non è un caso che la vicenda francese non infiamma l’anima dei radikalen. E’ troppo complessa e fortunatamente reale per essere interpretata e condivisa da chi non ha capito l’esito elettorale del 4 marzo e il suo seguito, rimanendo a giocare nel proprio cortile.

Scrive acutamente, come sempre, Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 12 dicembre: “Solo chi non capisce nulla può seguitare a considerarlo (il governo) un bizzarro incidente di percorso, una stravagante parentesi da chiudere al più presto (per fare che, dopo?). Se 5Stelle e Lega sono al governo è proprio perchè hanno promesso reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni”. Di questo i radikalen, occupati a procurarsi qualche voto alle europee o indaffarati con le loro botteghe di base, non si rendono conto.

Aginform
13 dicembre 2018

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