“Ripristinare la leva obbligatoria? Parliamone!”

Sabato scorso, durante un comizio a Lesina (Foggia), il vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli Interni, Matteo Salvini ha richiamato l’idea di reintrodurre la leva militare obbligatoria. La proposta ha subito suscitato un coro di critiche ed è stata oggetto di ironia e sarcasmo, soprattutto in rete.

 

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Giovedì, 16 Agosto 2018

Giorgio Beretta. Ripristinare la leva obbligatoria? Parliamone!

Sabato scorso, durante un comizio a Lesina (Foggia), il vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli Interni, Matteo Salvini ha richiamato l’idea di reintrodurre la leva militare obbligatoria. La proposta ha subito suscitato un coro di critiche ed è stata oggetto di ironia e sarcasmo, soprattutto in rete. Le parole di Salvini sono state viste come una provocazione estiva, una delle tante – e nemmeno la peggiore – con cui il leader del Carroccio sta inondando i social in queste settimane per catturare l’attenzione dei media col chiaro intento di indirizzare la discussione pubblica.

Il Ministero della Difesa, si è affrettato a definirla «un’idea romantica» aggiungendo che «i nostri militari sono e debbono essere dei professionisti e su questo aspetto è d’accordo anche Salvini». Dello stesso parere il capogruppo M5S alla Camera, Francesco D’Uva, che via twitter ha commentato: «I nostri militari sono, e sempre saranno, dei professionisti. Per tale motivo l’idea di ritornare alla “leva obbligatoria” è romantica ma vecchia, dunque non attuabile. Siamo in totale sintonia con la ministra Trenta». In sintesi, quella di Salvini sarebbe una bella idea, ma anacronistica.

La proposta di Salvini

Ritengo importante, invece, considerare con attenzione la proposta di Salvini anche perché non è la prima volta che il leader della Lega si pronuncia in merito alla leva obbligatoria. Va innanzitutto detto che Salvini non ha parlato solo di servizio militare, ma anche di servizio civile. «Vorrei che oltre ai diritti tornassero a esserci i doveri» – ha detto Salvini. Di fronte ai casi di mancanza di educazione e senso civico, «facciamo bene a studiare i costi, i modi e i tempi per valutare se, come e quando reintrodurre per alcuni mesi il servizio militare, il servizio civile per i nostri ragazzi e le nostre ragazze così almeno impari un po’ di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnarti».

Come ha fatto notare l’amico Pasquale Pugliese (Segretario nazionale del “Movimento Nonviolento”) «in nessuna democrazia il ministro degli Interni si occupa delle forze armate. Né si pensa di delegare all’esercito l’educazione. Nei regimi sì». Concordo. E’, infatti, una caratteristica dei sistemi autoritari e totalitari quella di usare della leva militare per “educare” i giovani. Non si può negare, però, che il servizio militare possa e debba svolgere anche una funzione formativa per i giovani: tutto dipende dalle modalità con cui viene organizzato e attuato. Lo stesso vale per il servizio civile sostitutivo. 

Merita una riflessione

Non penso utile, invece, definire quella di Salvini come una semplice “sparata”. In primo luogo perché il leader del Carroccio ha annunciato che è in preparazione una proposta di legge. Ma, soprattutto, perché può rappresentare un’occasione per riaprire il dibattito ed avanzare proposte su questioni rilevanti – e per troppo tempo marginalizzate – come il servizio civile, l’obiezione di coscienza e specialmente sul modello di difesa del nostro Paese. Ho letto perciò con molto interesse il commento di un altro amico, Alfio Nicotra (Co-presidente di “Un Ponte Per…”) alle dichiarazioni di Salvini. «Per una volta, una proposta di Salvini meriterebbe di essere affrontata e non liquidata sbrigativamente» – scrive Nicotra sulla sua pagina facebook. «Il ripristino di un periodo di leva obbligatoria – militare o da obiettore di coscienza – non è una proposta banale, ha molte ragioni ed alcune affondano nel dettato della Costituzione Repubblicana. La “professionalizzazione” delle Forze Armate, con la conseguente sospensione della leva obbligatoria, ha cancellato dal dibattito pubblico il tema di quale difesa ha bisogno il nostro Paese. L’esponenziale crescita dei giovani che obiettavano al servizio militare rappresentava, più che una ostilità alle Forze Armate, l’idea che una moderna difesa popolare dovesse coinvolgere tutti e che era una forzatura appaltarla esclusivamente a quella armata. Un’altra difesa è possibile e necessaria e senza popolo quest’altra difesa non potrà mai nascere».

La professionalizzazione delle Forze Armate

Ci sono diversi punti, nella nota di Alfio, che meritano attenzione. Innanzitutto la questione della professionalizzazione delle Forze Armate. Come noto, la legge 14 novembre 2000, n. 331 “Norme per l’istituzione del servizio militare professionale” approvata a larga maggioranza il 24 ottobre 2000 e divenuta operativa nel 2005, ha decretato la graduale sostituzione dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con personale civile del Ministero della difesa. Questo ha comportato, da un lato, la totale professionalizzazione delle Forze Armate e, dall’altro, la cessazione della leva obbligatoria. A quasi 15 anni dalla sua entrata in vigore, sarebbe necessaria un’approfondita valutazione di questa riforma non solo per gli aspetti che concernono costi e modalità operative delle Forze Armate, ma soprattutto per analizzare le sue ripercussioni in ambito militare e civile. Aver reso, infatti, il servizio militare una prerogativa riservata solo ed esclusivamente a personale volontario di carriera non solo ha cancellato un obbligo stabilito dalla Costituzione (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge” – articolo 52), ma ha reso impossibile ai cittadini esercitare in concreto un diritto/dovere (la difesa della Patria) e, di conseguenza, ha emarginato – se non annullato – la possibilità di manifestare l’obiezione di coscienza al servizio militare che era invece centrale a fronte dell’obbligo della leva. A seguito dell’abolizione della coscrizione militare, “l’obiezione di coscienza al servizio militare è divenuta in Italia una mera previsione teorica, relegata all’ipotesi lontana di un richiamo collettivo alle armi in caso di guerra”- scriveva qualche tempo fa Mauro Cereghini.

L’obiezione di coscienza e il servizio civile sostitutivo

L’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia è stata una faticosa conquista di tante persone, che hanno pagato col carcere la loro decisione: una conquista anche per tante associazioni e movimenti nonviolenti, pacifisti, religiosi e laici. L’obiezione di coscienza è una decisione fondamentale nella vita di una persona che non può essere relegata – per usare le succitate parole di Cereghini – “all’ipotesi lontana di un richiamo collettivo alle armi in caso di guerra”. Essendo tuttora vigente l’articolo 52 della Costituzione, potrebbe, certamente, essere manifestata anche senza un’effettiva chiamata alle armi: ma avrebbe un significato poco più che simbolico. Solo il ripristino, in qualche forma, della coscrizione militare è in grado di riattivare l’esercizio concreto dell’obiezione di coscienza. Per questo, rispondendo al tweet di Salvini ho evidenziato due condizioni: 1) “Per chi sceglie il servizio civile sia resa obbligatorial’obiezione di coscienza al servizio militare”. 2) “A tutti coloro che scelgono il servizio civile non sia concessa in seguito (come purtroppo avviene oggi) la revoca da obiettore e la licenza per armi”.

Oggi, infatti, il servizio civile è svincolato dall’obiezione di coscienza ed è di fatto una forma di volontariato. Importante e utile, ma proprio perché scollegato dall’obiezione di coscienza, radicalmente diverso da come era stato pensato. Riportare i giovani, uomini e donne, a doversi confrontare con la questione fondamentale della modalità con cui difendere la Patria (con le armi attraverso il servizio militare? svolgendo il servizio civile sostitutivo? O – non va escluso – non riconoscendo nessuna delle due opzioni e, di conseguenza, facendo un’obiezione radicale alla leva e alla sua alternativa pagandone le conseguenze) sarebbe già questo un risultato importante. Avrebbe infatti l’effetto di riportare all’attenzione nazionale e fin dentro le case degli italiani temi centrali che oggi sono riservati agli addetti ai lavori: sono i temi della pace e della guerra, del ruolo delle forze armate, della difesa armata e di quella nonviolenta. Ma, soprattutto, costringerebbe i giovani a doversi confrontare con questi temi e problemi, ad approfondirli anche – perché no? – durante il periodo di servizio militare o civile e già in questo si avrebbe una funzione “educativa”.

L’obiezione non è una burla

Gli obiettori sono – per usare le parole della legge 230 del 1998 che introdusse nel nostro ordinamento il diritto all’obiezione di coscienza, configurandolo non più come un beneficio concesso dallo Stato bensì come un diritto della persona – “cittadini che per obbedienza alla propria coscienza, nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all’uso delle armi, non accettano l’arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato”. Manifestare la propria obiezione di coscienza – e non una mera disobbedienza ad una legge – significa evocare ciò che costituisce e definisce la persona nel suo essere, sacro e inviolabile: la propria coscienza.

Proprio per questo la suddetta legge comportava alcune conseguenze sullo stato giuridico della persona, come l’irrinunciabilità dello stato di obiettore, l’impossibilità di ottenere il porto d’armi e di essere reclutato nelle forze armate e nelle altre forze di polizia italiane. Come noto queste limitazioni sono rimaste in vigore solo fino al 2007 quando, con la legge 2 agosto 2007 n. 130, è stato reso possibile esercitare la rinuncia allo stato di obiettore di coscienza presentando apposita dichiarazione, non revocabile, da inoltrare all’Ufficio nazionale per il servizio civile. Questo ha fatto decadere anche diverse limitazioni previste dalla legge n. 230/1998 come l’impossibilità di ottenere il porto d’armi e di essere reclutato nelle Forze armate e nelle altre forze di polizia italiane.

Si tratta, a mio parere, di una modifica che non può essere giustificata sulla base della necessità di ottenere un posto di lavoro o con argomenti simili: o l’obiezione di coscienza è tale – e come tale deve avere delle conseguenze sulla vita della persona e sul suo status – o è una burla. E poiché non si può, e non ci si deve burlare della propria coscienza, lo Stato non deve permettere che ciò avvenga. E’ invece necessario assicurasi, per quanto possibile, che chi invoca il diritto alla propria coscienza per esercitare l’obiezione al servizio militare lo faccia con piena consapevolezza di ciò che sta facendo e quindi in forma irrevocabile. Va perciò considerato che a 18 anni la coscienza può non essere pienamente formata e informata, soprattutto per quei giovani che hanno avuto poche informazioni in materia: proprio per questo – qualora venisse reintrodotta la leva obbligatoria – dovrebbe essere previsto un periodo di formazione e informazione per tutti i giovani prima di decidere tra servizio militare e obiezione di coscienza (e servizio civile sostitutivo). Un periodo che preveda anche una iniziale formazione sulla Costituzione, sui diritti e doveri del cittadino, di informazione sulla vita militare e sul servizio civile che poi andranno approfonditi durante i mesi di servizio sia militare che civile.

Non se ne farà nulla

Nonostante le dichiarazioni di Salvini e di pochi altri, credo che sarà molto difficile arrivare alla reintroduzione di una qualche forma di leva obbligatoria in Italia. Non tanto per le spese o per problemi organizzativi, che pur ci sarebbero. Ma soprattutto perché, se venisse ripristinata nelle modalità che ho descritto, potrebbe rappresentare un boomerang per chi oggi intende proporla. Potrebbe infatti avere come conseguenza ciò che già avveniva negli ultimi anni in cui il servizio militare era obbligatorio e cioè trovarsi a dover gestire molti più obiettori di coscienza che militari di leva. Questa possibilità spaventa quelle forze politiche che pensano ad una leva militare se non proprio di stampo militarista, per lo meno come occasione per far crescere nel nostro paese delle “affinità” col mondo militare e col mondo delle armi. Proprio per evitare questa possibilità – e soprattutto per prevenire il rischio del riemergere di istanze di obiezione di coscienza – è stata astutamente inventata la mini-naja che, come il servizio civile attuale, non prevedono l’obiezione di coscienza. Sono convinto che ciò che molti ambienti temono – a desta come a sinistra – è soprattutto la rinascita di un forte movimento pacifista. Che potrebbe contare su un bacino di giovani, uomini e donne, molto più ampio di quello attuale e soprattutto su persone formate, consapevoli e capaci di rivendicare il proprio diritto ad obiettare. Se questo è vero, il movimento pacifista dovrebbe approfittare delle iniziative di Salvini e di ogni forza politica, che intenda reintrodurre il servizio militare obbligatorio almeno per metterli alla prova di proposte concrete. Definirli mera propaganda o liquidarli sbrigativamente come un trampolino di lancio per forme di militarismo non aiuta la riflessione. E, soprattutto, rischia di confinare anche il discorso sulle alternative al modello di difesa, tra cui la proposta di “difesa civile, non armata e nonviolenta”, ai gruppi di persone già sensibili. Io la penso così e, se volete, possiamo discuterne.

Giorgio Beretta

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