Erdogan? “Un nuovo Fidel Castro conficcato nel cuore dell’Europa”

Quando due alleati come la Turchia e gli Usa perdono insieme delle guerre, come quella in Siria contro Assad, prima o poi nodi vengono al pettine. E così Erdogan, sempre più vicino alla Russia di Putin, rischia di diventare una specie di nuovo Castro conficcato nel cuore del Medio Oriente.

 

C’è un nuovo Fidel Castro conficcato nel cuore dell’Europa. Si chiama Erdogan

Tutto nasce dalla guerra in Siria, dai calcoli sbagliati di Erdogan e dell’Occidente, da un’altra impresa fallita come già lo erano state le guerre in Iraq nel 2003 e in Libia nel 2011

Quando due alleati come la Turchia e gli Usa perdono insieme delle guerre, come quella in Siria contro Assad, prima o poi nodi vengono al pettine. E così Erdogan, sempre più vicino alla Russia di Putin, rischia di diventare una specie di nuovo Castro conficcato nel cuore del Medio Oriente. Una sorta di paradosso atlantico: la Turchia, considerata per oltre 50 anni il bastione sul fianco Sud-orientale e l’avamposto di un eventuale attacco alla Russia, ospita 24 caserme Nato e i missili Usa puntati sia contro Mosca che contro Teheran, oltre la base di Incirlik, che per altro i turchi concedono agli americani assai di malavoglia.

Tre milioni di persone in ostaggio

Ma la Turchia  di Erdogan, sconfitta in Siria, si è spostata sempre di più verso Oriente. Il presidente con pieni poteri Erdogan, custode di tre milioni profughi siriani, non solo vuole gli F-35 americani ma sfidando le sanzioni Usa a Mosca ha ordinato i missili S-400 di Putin e commissionato alla Russia la più grande centrale atomica mai progettata sulle sponde del Mediterraneo oltre a puntare al Turkish Stream, il gasdotto che con il nome di Southstream i russi volevano realizzare con Eni e Saipem, una pipeline fatta saltare da Bruxelles e da Washington dopo la crisi Ucraina e l’annessione della Crimea nel 2014.

Sette anni fa l’inizio del disastro

Non dimentichiamo come comincia tutta questa storia tra Washington e Ankara, prima ancora di Trump ai tempi della presidenza Obama. Nel 2011 sia la Turchia che gli Usa erano favorevoli alla caduta di Bashar Assad. La Turchia alla fine di quell’anno già faceva passare i jihadisti di tutto il mondo musulmano che andavano a combattere il regime siriano. Il tutto con l’approvazione del segretario di stato americano, la signora Hillary Clinton, che pensava di far fuori in pochi mesi il regime di Damasco con il ruolo logistico della Turchia e il sostegno economico e finanziario delle monarchie del Golfo, Arabia Saudita e Qatar in testa. Si trattava di dar un colpo all’asse sciita, Iran, Siria ed Hezbollah libanesi, capeggiato da Teheran facendo un favore sia agli arabi sunniti che a Israele. Allora Usa e Turchia stavano saldamente dalla stessa parte. 

Pasticci senza fine

Come è andata a finire lo sappiamo. Non solo il regime di Damasco non è caduto ma dal 2015 è stato sostenuto direttamente anche dall’intervento della Russia di Putin. Erdogan, dopo essere stato sull’orlo di un conflitto con Mosca, è venuto a patti sia con Putin e con gli ayatollah iraniani pur di bloccare la nascita di un eventuale embrione di stato curdo ai suoi confini. Gli Usa quindi non hanno bombardato Assad quando sembrava che stessero per farlo, nel 2013, e poi hanno anche appoggiato i curdi siriani nella lotta all’Isis. Erdogan pur di abbattere il regime siriano, ha accolto i terroristi jihadisti e poi ha messo sullo stesso piano a lotta al Califfato e quella contro i curdi siriani e al Pkk. Come si capisce bene gli Usa e la Turchia sono piombati in un gorgo di contraddizioni. A tutto questo si è aggiunto il fallito colpo di stato del 15 luglio 2015. Erdogan allora ha ricevuto una pronta solidarietà da parte della Russia e dell’Iran ma non dagli Usa e dall’Europa. Secondo il governo turco in realtà gli americani avrebbero tentato di sbalzare dal potere Erdogan, alleato sempre più scomodo, appoggiandosi alla rete dell’Imam Fethullah Gulen, un ex sodale del presidente turco, in esilio negli Stati Uniti dalla fine degli anni Novanta.

La “guerra” degli Usa ad Ankara

E adesso chi paga il conto della crisi turca e dello scontro tra Trump ed Erdogan? Gli Usa hanno imposto dazi e sanzioni ad Ankara, un gesto senza precedenti nella Nato. Oltre ai turchi il crollo della lira, provocato dalle dissennate politiche espansive del Reìs, lo pagheranno gli europei che hanno importanti scambi commerciali e crediti con Ankara. Mentre la Turchia continuerà ad avere nei confronti dell’Europa una potente arma di ricatto, quella dei profughi provenienti dalla Siria. Tutto nasce dunque dalla guerra in Siria, dai calcoli sbagliati di Erdogan e dell’Occidente, da un’altra impresa fallita come già lo erano state le guerre in Iraq nel 2003 e in Libia nel 2011.

di Alberto Negri da: notizie.tiscali.it

13 agosto 2018

 

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