Rapporto su gravi violazioni diritti umani dei migranti in Libia

Medici per i Diritti Umani ha presentato a Palermo un rapporto sulle condizioni di grave violazione dei diritti umani dei migranti in Libia. Il rapporto si basa su oltre duemilaseicento testimonianze dirette di migranti transitati dalla Libia, raccolte dagli operatori di Medu nell’arco di quattro anni (2014-2017), di cui oltre la metà nel solo 2017.

 

comunicato stampa

Rapporto sulle condizioni di grave violazione dei diritti umani dei migranti in Libia (2014-2017)

 

In occasione della prima giornata della Sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sui migranti (18-20 dicembre 2017), Medici per i Diritti Umani (Medu) ha presentato oggi a Palermo un rapporto sulle condizioni di grave violazione dei diritti umani dei migranti in Libia. Il rapporto si basa su oltre duemilaseicento testimonianze dirette di migranti transitati dalla Libia, raccolte dagli operatori di Medu nell’arco di quattro anni (2014-2017), di cui oltre la metà nel solo 2017.

L’età media dei migranti (92% di sesso maschile e 8% di sesso femminile) assistiti e intervistati da Medu è di 26 anni. Tra di essi oltre 200 minori (13%) quasi tutti incontrati negli insediamenti informali di Roma. Le principali nazionalità dei testimoni sono le seguenti: Eritrea, Nigeria, Gambia, Sudan, Senegal, Etiopia, Mali, Costa d’Avorio, Somalia.

Secondo i dati raccolti da Medici per i Diritti Umani in questi ultimi quattro anni -confermati se non aggravati negli ultimi mesi – l’85% dei migranti giunti dalla Libia ha subito in quel paese torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 70% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 65% gravi e ripetute percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti (ammanettamento, posizione in piedi per un tempo prolungato, sospensione a testa in giù, ecc).
Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni.

In questo contesto , anche in conseguenza delle misure adottate nell’ambito del nuovo accordo italo-libico, a partire da luglio 2017 gli imbarchi dalle coste libiche verso l’Italia sono drasticamente diminuiti. Al contempo, le testimonianze dei migranti transitati dalla Libia negli ultimi mesi non evidenziano alcun cambiamento significativo rispetto alle violenze e alle atrocità subite nei centri di detenzione e nei luoghi di sequestro. Il risultato è dunque tragico: centinaia di migliaia di migranti bloccati in questo momento in Libia, la maggior parte dei quali in condizioni di detenzione, sequestro e schiavitù.

Le migliaia di testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani nell’arco di quattro anni descrivono un paese che si è trasformato in una sorta di grande lager per i migranti, sottoposti a violenze ed abusi gravissimi; un paese dove si commettono crimini contro l’umanità in modo sistematico e su vasta scala; un paese che è diventato un luogo di morte e di tortura per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. A fronte di un quadro di questa gravità, i primi responsabili sono certamente coloro che hanno pianificato, diretto e materialmente realizzato simili atrocità. Cionondimeno, la comunità internazionale ha la responsabilità storica di non aver reagito in modo tangibile di fronte ad un fenomeno di queste proporzioni ed è oggi chiamata, seppur in gravissimo ritardo, a rispondere con le massime energia ed urgenza.

In occasione della deposizione di Medu di fronte al Tribunale Permanente dei Popoli, Momodou Cherno, cittadino del Gambia, ha raccontato la sua testimonianza. Partito dal suo paese ad ottobre 2015, giunge in Italia nell’aprile 2017 dopo essere rimasto intrappolato per circa un anno e mezzo in Libia ed aver tentato la traversata del Mediterraneo per ben quattro volte. Mamadou è stato vittima e testimone della maggior parte delle violenze e degli abusi descritti nel rapporto.

Una sintesi dei dati contenuti nel rapporto, è stata consegnata tre settimane fa dal team sbarchi di Medu al Ministro dell’Interno Minniti in occasione di una sua visita all’Hotspot di Pozzallo in una lettera in cui si chiedeva tra l’altro quali iniziative il Governo italiano, l’Unione europea e la Comunità internazionale intendano urgentemente porre in atto per fermare le gravissime violazioni dei diritti umani descritte.

Palermo, 18 dicembre

Leggi il Rapporto

Medici per i Diritti Umani (MEDU) è organizzazione umanitaria indipendente. Le informazioni contenute in questo rapporto sono state raccolte in particolar modo in Sicilia – nell’Hotspot di Pozzallo, nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) della provincia di Ragusa, nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo (Catania), nel Centro polifunzionale di Ragusa- e a Roma, nei luoghi informali di accoglienza e nel Centro Psychè per la riabilitazione delle vittime di tortura. In tutti questi luoghi Medu opera portando supporto socio-sanitario ai migranti, prima assistenza medica, servizi di riabilitazione medico-psicologica per le vittime di tortura e trattamenti inumani e degradanti.

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