“Perugia in America”

Mi è stato chiesto come avrebbero trattato gli americani il delitto di Perugia.

Provo a rispondere facendo alcune ipotesi e inizio togliendo subito di mezzo la polemica sulla polizia scientifica e i forensic labs: ribadendo che gli americani farebbero meglio a guardare in casa loro, dove una quantità di laboratori di polizia sono stati investiti da furiose polemiche e inchieste di cui sarebbe troppo lungo parlare. Mi limito a ricordare che il laboratorio dello Houston Police Department è stato chiuso d’autorità. Fra le molte ragioni quella che ci pioveva dentro, come del resto pioveva in quello di Dallas. In quelle due contee hanno avuto fatto più del 10% delle esecuzioni americane e lo stato della loro scienza forense (vedi il caso di Cameron Todd Willingham) è così penoso da avere indotto persino il Parlamento Texano a istituire una commissione d’inchiesta.

 

Tornando a Perugia iniziamo notando che il sistema giudiziario americano è completamente diverso dal nostro (come lo è dai sistemi di common law) ed è basato sull’assoluta libertà d’azione di cui dispone il District Attorney. E’ il Procuratore che decide se incriminare, chi incriminare e per quali reati, ed è sempre il DA che decide se patteggiare e in che termini. Questa incondizionata autonomia consente una enorme pressione sugli accusati e produce una totale arbitrarietà nell’imposizione sia della pena capitale che delle altre pene.

 

La Procura ha il completo controllo della situazione e decide se chiedere o meno la pena di morte (magari dopo essersi consultata con la famiglia della vittima), se patteggiare o andare al processo con un’imputazione minore, o se utilizzare la minaccia dell’esecuzione per ottenere un patteggiamento.

In Europa lo chiamiamo torturare la gente, ma in America accade spesso che le cose vadano così:
”Sei in prigione da due anni in attesa del processo quando si presenta un tizio che dice  – Se ti dichiari colpevole questa è la condanna e fra due anni sei fuori, ma, se ti ostini a proclamarti innocente, fra un anno c’è il processo e se vinciamo noi ti ammazziamo –  Voi cosa fareste?”

(Birmingham News “A Death Penalty Conversion”, 06/11/2005 e articoli seguenti)

 

Questo potere assoluto consente di ottenere con il patteggiamento il 70% delle condanne per omicidio e il 96% di quelle per i felonies (crimini che prevedono una pensa superiore all’anno).

Il processo americano è una specie in via d’estinzione.

 

Nei casi di omicidio con più complici la funzione del DA è stata paragonata a quella di un regista che assegna le parti in una recita teatrale. Paragone calzante; non tanto perché è lui che decide tutto, quanto perché gli americani spezzettano il processo in tanti procedimenti quanti sono gli imputati, ognuno dei quali avrà il “suo” dibattimento. In ognuno di questi la Procura si sente libera di presentare alla giuria una versione dei fatti completamente diversa dalle altre e di costringere un imputato, in cambio del patteggiamento, a fornire la testimonianza adatta alla sua parte. (I casi paradigmatici sono quelli di Jesse DeWayne Jacobs e di Napoleon Beazley)

 

La recita di cui parliamo è allestita a beneficio di un pubblico esiguo ma scelto: i dodici giurati e le loro fobie e pregiudizi: con il vantaggio che il loro gradimento non deve essere motivato, perché non devono spiegare le ragioni per cui accettano le tesi di una parte e non quelle dell’altra. I giurati decidono all’unanimità se l’imputato è colpevole o non colpevole del reato ascrittogli, ma non spiegano il ragionamento che li porta a tale conclusione.

Nel processo americano (in cui non c’è la parte civile) vince chi inizia con gli opening statements più facilmente comprensibili e conclude con le arringhe (closing arguments) che raccontano una storia semplice da capire e ricordare. Quello che convince una giuria non è la solidità delle prove, ma la coerenza del racconto del Procuratore. Se la storia che le viene esposta funziona sotto l’aspetto narrativo è difficile che la giuria vada poi a vedere se ci sono prove sufficienti della colpevolezza dell’imputato. Solo così si spiegano tante condanne a morte e tantissime condanne alla prigione: alla giuria è piaciuto di più il racconto che le ha fatto l’Accusa rispetto a quello della Difesa.

Più che un processo un premio letterario.

 

In America, i tre di Perugia, sarebbero passibili di pena capitale, ma ben difficilmente questa sarebbe chiesta per tutti e gli scenari possibili erano almeno due.

 

Nella prima sceneggiatura, che chiameremo “Impicca il negro”, la parte principale è assegnata all’imputato di colore per il quale si chiede la pena di morte. Al ragazzo bianco sarà invece data la parte del complice pentito che, in cambio di una condanna all’ergastolo, dà alla giuria una versione concordata con l’Accusa. La ragazza bianca, in questa versione della recita, se la caverebbe con poco o nulla; l’importante è che si presenti in aula in veste di vittima delle circostanze.

 

La seconda sceneggiatura è ben più intrigante e originale della prima e ha per titolo “A morte la strega”. In essa la parte principale è assegnata alla ragazza (che i tabloid inglesi chiamano Foxy Knoxy), mentre i due maschi reciteranno quella dei poveri coglioni irretiti dalla dark lady. La bionda dallo sguardo di ghiaccio sarà dipinta come una perversa mangiatrice di uomini che, nel suo delirio di onnipotenza, non si ferma davanti a nulla. Una sadica pervertita che merita la morte.

 

Queste sono ovviamente le mie fantasie di studioso, ma occorre tenere presente che la realtà la fantasia la supera sempre. Non per nulla a Washington (lo Stato di Amanda Knox) un serial killer ha patteggiato 48 omicidi.

 

 

Dott. Claudio Giusti

 

7 dicembre 2009
7 dicembre 1982 In Texas la prima esecuzione con l’iniezione letale: Charlie Brooks

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