“Venerdì prossimo fucilano un tizio nello Utah”

La cosa sta suscitando clamore e discussioni, come accade ormai solo per le rarissime esecuzioni con la sedia elettrica (non più di una all’anno negli ultimi dieci anni).

Al contrario è un fatto alquanto straordinario che un’esecuzione con l’iniezione letale attiri l’attenzione dell’opinione pubblica (se non per qualche malaugurato accidente) ed esca dai ristretti circoli abolizionisti, come sta accadendo per David Powell (che ammazzano martedì). Lui è del 1951 e ha passato gli ultimi 32 anni nel braccio della morte. Non è un fatto straordinario, sono più di cento quelli come lui.

Comunque sembra che agli americani ripugnino gli strumenti che hanno utilizzato tanto a lungo e questo nonostante le varie Yellow Mama e Old Sparky abbiano onestamente cotto vivo un buon quarto dei 20.000 uccisi dalla giustizia americana dal 1608 (sempre se non consideriamo i 10.000 linciaggi) mentre fu proprio la fucilazione che riaprì le danze il 17 gennaio 1977, quando Gary Gilmore si consegnò volontariamente al boia dello Utah, inaugurando la new and improved american death penalty.

Il difetto di codesti obsoleti sistemi di morte è che attirano troppo l’attenzione e questa è una delle molte contraddizioni della pena capitale statunitense perché, se uccidete la gente, dovreste farlo sapere. Le fiamme e gli spari, per non parlare delle impiccagioni che nessuno sa più fare e delle antiecologiche camere a gas, sono stati sostituiti dall’igenizzazione dell’ago avvelenato. Così la morte è stata sterilizzata, banalizzate e le coscienze sono state anestetizzate.

La sedia elettrica è stata il secondo tentativo, in ordine di tempo, di umanizzare il patibolo, almeno per chi guarda. Iniziarono i francesi al tempo della rivoluzione introducendo la ghigliottina e fu lo stesso re a proporre che il taglio della lama fosse posto di traverso, in modo da migliorarne l’efficacia. Qualche tempo dopo ci vollero lo stesso tre colpi per staccargli la regale capoccia.

La ghigliottina fu considerata un grande passo in avanti perché sostituiva i vecchi feroci supplizi: ruota, rogo, squartamento, mazzolata, eccetera. (non c’era la tv)

La stessa impiccagione era atroce. Il boia legava un capo della corda attorno al collo del condannato e lo tirava su per una scala appoggiata al patibolo (una sorta di porta da calcio), fissava l’altro capo e poi lo buttava giù, salendogli sulle spalle per spezzargli le vertebre cervicali (atlante ed epistrofeo). Poi, vivo o morto che fosse, il poveretto era squartato e i pezzi appesi alle porte della città (poi si domandavano perché c’erano le epidemie). La ghigliottina non ha mai superato di molto i confini geografici francesi, ma di parecchio quelli ideologici: lo Stato della chiesa la utilizzò con entusiasmo. Più fortunata è stata la globalizzazione dell’iniezione letale, con la Cina in prima fila. Qui però conta il trapianto degli organi estratti ai condannati che a Taiwan fanno da trent’anni senza che questo susciti particolari problemi.

Gli inglesi invece sono sempre rimasti affezionati al “long drop”. Se avete visto l’inizio del film “Quella sporca dozzina” sapete di cosa parlo: il condannato incappucciato, la botola  che si apre, il corpo che precipita. Però questa impiccagione richiede un boia ben addestrato (un artista direbbe Duff). Perché la lunghezza della corda non deve essere solamente proporzionata al peso del condannato, ma anche alla sua struttura fisica. Se la corda risulta troppo corta bisogna andare sotto al palco e tirarlo per i piedi, mentre se è troppo lunga si rischia la decapitazione che ha il difetto di inondare di sangue gli astanti.

Un paio di disastri del genere convinsero le autorità di New York, nel 1888, a cercare aiuto nella tecnologia. Chiesero a un elettricista di costruire un marchingegno che desse la morte istantanea e costui si rivolse a Edison. L’inventore era contrario alla pena di morte ma voleva danneggiare il suo concorrente Westinghouse che patrocinava l’elettrificazione dell’America con la corrente alternata, mentre Edison aveva interessi in quella continua. La prima è molto più pericolosa della seconda, ma notevolmente più facile da distribuire e, in effetti, fu quella che vinse la gara: in tutti i sensi. Edison procurò un alternatore di seconda mano al tecnico che stava costruendo la sedia elettrica, mentre Westinghouse, contrario a Edison se non alla pena di morte, passava denaro a Kemmler: il primo destinato a fare da cavia. La Corte Suprema federale (In Re Kemmler) non trovò nulla da ridire sul nuovo attrezzo di morte e la prima “electrocution” ebbe luogo il 6 agosto del 1890.

I condannati ricevono una scarica a 2.200 volt con un forte amperaggio, poi la tensione viene abbassata, come gli ampere, e poi di nuovo portata a 2.200 volt e si ripete due o tre volte. Poi si deve attendere che il corpo si raffreddi per stabilire il decesso. Se non è morto si ricomincia. A volte i condannati prendono fuoco, come l’innocente Tafero, in altre occasioni si strozzano nel loro stesso sangue come “Ciccio” Davis o restano vivi come Francis nel 1946 (poi irrevocabilmente cotto l’anno successivo con la benedizione della Corte Suprema).  

Il neonazista Leuchter che si guadagnava da vivere costruendo patiboli ha paragonato l’effetto della sedia elettrica a quella del forno a microonde e deve essere stata la puzza di carne bruciata a convincere quasi tutti gli stati a passare all’iniezione letale.

Il primo a proporla fu l’allora governatore della California Ronald Regan che, da esperto allevatore di cavalli, propose il colpo di pistola o l’iniezione.

Fu un vero peccato che il colpo di pistola fosse immediatamente scartato perché, nella sua brutalità, quel sistema di morte sovietico aveva degli aspetti positivi. Il condannato era tenuto all’oscuro di tutto e, il giorno dell’esecuzione, gli si faceva credere che veniva trasferito nel carcere del tribunale per un appello. Il boia, vestito da poliziotto, gli si metteva dietro e gli sparava un colpo alla testa all’improvviso e poi uno di grazia. Sempre meglio dell’incubo giapponese.

I condannati nipponici non conoscono la data della loro esecuzione, però sanno che il boia può arrivare in qualsiasi momento senza preavviso. Questa attesa quotidiana dura decenni. Il Giappone si ammanta di ipocrita riservatezza e solo da poco si degna di pubblicare la lista di chi è stato impiccato. Prima ci volevano giorni per conoscere il numero e i nomi degli uccisi.

L’iniezione letale non è una passeggiata.

Bisogna trovare una vena e, come sa ogni donatore di sangue, non sempre le cose filano lisce.

Spesso occorrono parecchi tentativi e la collaborazione del condannato per trovare la vena in cui inserire l’ago.  [Antonio saresti così gentile da stringere il pugno?]

In caso di bisogno il medico, se c’è, apre l’inguine del condannato per inserirvi un catetere. Una storia che può durare anche ore, fino al recente assurdo di Romel Broom, riportato in cella dopo 18 tentativi e tre ore di intenso lavoro. A volte il condannato è costretto ad attendere a lungo, con gli aghi nel collo, che una qualche corte decida il suo destino e non è raro che si debba smontare tutto per ricominciare dopo un’ora, un giorno o una settimana.

Tutto questo non è mostrato al pubblico che interviene solo a cose fatte. Nemmeno gli viene mostrato come si impedisce che la perdita di controllo degli sfinteri rovini l’effetto “sala operatoria”.

La macelleria vera ha però inizio quando nel condannato arriva la successione di tre sostanze mortali. In Ohio hanno cambiato, ora li uccidono con una overdose di Pentotal e tengono di riserva un paio di intramuscolari.

La sedia elettrica e la siringa si sono incontrate in Florida.

Crocifiggere Thomas Harrison Provenzano?

La Corte Suprema della Florida si è sempre coerentemente rifiutata di considerare la cottura (alla fiamma o al sangue) un sistema di morte “crudele”, ma i politici del posto avevano paura che, dopo le fiamme che avevano avvolto Pedro Medina e il sangue che aveva strozzato “Ciccio” Davis, lo facesse un giudice federale. Se fosse accaduto si sarebbero trovati senza un sistema di morte di ricambio, così decisero di passare alla siringa avvelenata. Purtroppo il primo condannato disponibile era Thomas Provenzano, un pazzo furioso che si credeva Gesù e per il quale era in corso una disputa legale. Il tema del contendere non era se Provenzano fosse pazzo, ma se lo fosse abbastanza da evitare l’esecuzione, o se invece in lui vi fosse ancora un barlume di razionalità sufficiente a consegnarlo al boia in serena coscienza. (Nel solito Arkansas hanno ingozzato di farmaci Charles Singleton fino a farlo diventare sano da morire).

Intanto che si discuteva della follia del povero Thomas la follia dei governanti discuteva della “crudeltà” dei vari sistemi di morte e un politicante, particolarmente dotato di senso dell’umorismo, propose che Provenzano fosse crocifisso, in modo tale che, essendo lui convinto di essere il Cristo, nessun giudice federale osasse intervenire. La disputa venne infine risolta da un giudice che sentenziò che, non essendo Provenzano in grado di camminare sulle acque, non era nemmeno in grado di provare la sua follia e che quindi valeva quanto previsto dal Comma 22:

“Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalla pena di morte, ma chi chiede di essere esentato dalla pena di morte non è pazzo.”

Thomas Harrison Provenzano morì, al secondo tentativo, il primo giorno dell’estate del 2000: gli altri pazzi sono ancora a piede libero. Dio salvi gli Stati Uniti d’America.

Dott. Claudio Giusti
http://www.osservatoriosullalegalita.org/special/penam.htm

Mostra “2 sedie elettriche

Luigi Ontani, Electric throne, 2007
Bertozzi & Casoni, Sedia elettrica con farfalle, 2010
a cura di Franco Bertoni
Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza
12 giugno – 17 ottobre 2010

Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza – Fondazione
Viale Baccarini 19  48018 Faenza (Ra)
tel. 0546 697311-697308  fax 0546 27141 info@micfaenza.org   www.micfaenza.org

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