Dal 1 gennaio 2012 Ossigeno ha segnalato in Italia 90 intimidazioni e 207 giornalisti coinvolti. Nel 2011 le intimidazioni sono state 95 ed i giornalisti coinvolti 324.
Palermo. Enrico Bellavia: “Un giornalista si difende solo scrivendo ciò che sa”
Il cronista di Repubblica racconta come ha vissuto le minacce anonime dopo l’intervista al pentito Di Carlo. Dice perché le ha rese note, parla del clima che respirano i giornalisti che si occupano di mafia. Cosa è cambiato dai tempi del maxi-processo. Perché è inevitabile schierarsi. Chi rischia di più. Il ruolo sociale del giornalista
OSSIGENO – Palermo, 5 luglio 2012 – “Questa vicenda conferma ciò che ho sempre sostenuto: che un giornalista rischia quando dà l’impressione di tenere nella penna qualcosa che sa”, dice ad Ossigeno Enrico Bellavia, il cronista della redazione palermitana di Repubblica che il 29 giugno scorso ha ricevuto una lettera intimidatoria scritta, con insolita proprietà linguistica da un anonimo. Diceva testualmente: “La smetta di occuparsi di queste cose, lei con il suo amico Di Carlo, perché queste cose del passato fanno male”. Evidente il riferimento all’intervista al collaboratore di giustizia, ex boss di Altofonte, Francesco Di Carlo, pubblicata sulle pagine di Repubblica Palermo lunedì 25 giugno a firma di Bellavia.
Enrico Bellavia è in un certo senso un esperto della materia. Nel 2010 ha pubblicato Un uomo d’onore, un libro-intervista allo stesso Di Carlo nel quale il “pentito” parla abbondantemente della cosiddetta trattativa Stato-mafia e delle stragi del 1992, dei rapporti dei boss con i poteri occulti e con i colletti bianchi. “Quando la vicenda della trattativa è tornata di attualità ho avuto l’idea di intervistare Di Carlo per il giornale sul tema specifico facendogli commentare la piega che stavano prendendo le indagini. Le cose che aveva già detto nel libro erano note, ma ho pensato che isolate ed esposte in una intervista avrebbero avuto un’efficacia diversa. Dunque ho fatto l’intervista, e ho avuto subito la sensazione che fosse forte. Inevitabilmente – spiega Enrico – nell’intervista c’è anche un tuo ruolo di intervistatore che consiste nel sollecitare risposte e precisazioni. Ad un collaboratore di giustizia che tira fuori delle cose limitandosi ad accennarle, senza svilupparle, cose che magari ad un magistrato direbbe in modo più completo, il giornalista deve dire: ”lei non sta dicendo tutto quello che sa”. E forse questo ha preoccupato qualcuno. Se invece dell’intervista avessi fatto un articolo sulla trattativa, anche se avessi detto tutte quelle cose, probabilmente non sarebbe arrivata una lettera di minacce”.
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