“Solidarietà con masse popolari in rivolta”

“Incanalare la lotta e la protesta montante intorno all’obiettivo di costruire un governo d’emergenza popolare!”

Comunicato n. 21/2013 – 12.12.13

 

Promuovere in tutto il paese la solidarietà con le masse popolari che si ribellano!

 

Estendere il movimento di protesta e indirizzarlo verso la collaborazione con i lavoratori e gli operai in lotta contro chiusure, delocalizzazioni e privatizzazioni, con il movimento per la casa, con il Fiumeinpiena della Campania e le proteste degli alluvionati della Sardegna, con i movimenti NO TAV e NO MUOS, con la lotta degli studenti, dei precari, degli immigrati e degli altri settori popolari!

 

Incanalare la lotta e la protesta montante intorno all’obiettivo di costruire un governo d’emergenza popolare!

 

Partiamo da una domanda, per sgomberare il campo: le accuse di infiltrazioni mafiose in bocca a politicanti da sempre complici, conniventi e “conviventi” con la mafia e le altre organizzazioni criminali, gli “allarmi son fascisti” in bocca  a quanti hanno riabilitato il fascismo (“i ragazzi di Salò”, per dirla alla Violante), hanno riportato vecchi fascisti e squadristi in Parlamento e coccolano, proteggono e foraggiano i “fascisti del terzo millennio”, parlano a favore o contro il movimento dei Forconi? E gli strali lanciati da chi priva una parte crescente delle masse popolari delle condizioni necessarie per vivere al livello di civiltà raggiunto? E le accuse di “non rispettare la legalità” mosse da esponenti di un governo illegittimo e illegale, installato con un golpe bianco e che procede a colpi di fiducia in un Parlamento eletto con una legge elettorale giudicata dalla stessa Consulta (dopo sette anni, sic!) anticostituzionale?

 

Sulla mobilitazione dei Forconi se ne sentono di tutti i colori. Autorevoli canali di informazione di “movimento” e alternativi, addirittura, pare pendano dalle labbra e dalle penne del partito di Repubblica e del Corriere: è una gara a chi la spara più grossa, a chi meglio e prima prende una parte (realistica, esistente) per spiegare il tutto, a chi meglio e prima agita tendenze (realistiche ed esistenti: quelle reazionarie, nazionaliste, corporative, fascistoidi) per creare un fronte comune che vi si contrapponga: quello della “democrazia e del buon senso” di autorità che schiacciano le masse popolari, della “vigilanza democratica” dei Marchionne, dei Riva e dei Ligresti, della troika e della comunità internazionale degli speculatori, dei finanzieri e dei guerrafondai, del “rispetto dei valori costituzionali” dei Letta, dei Napolitano e della schiera di chi la Costituzione l’ha calpestata e la calpesta apertamente e spudoratamente.  

Di esempi simili, negli ultimi anni, ne abbiamo visti diversi: ad ogni spinta di cui sono protagonisti piccoli imprenditori e commercianti, lavoratori autonomi, piccoli professionisti, artigiani e coltivatori, i vertici della Repubblica Pontificia con il partito di Repubblica e del Corriere e l’innaturale codazzo di “ribelli che tifano rivolta quando è negli altri paesi, possibilmente lontano”, si sollevano anch’essi in uno sforzo di propaganda e denigrazione, criminalizzazione e allarmismo. E’ successo in occasione della campagna elettorale del febbraio scorso, in cui “i grillini” erano il primo nemico (singolare che lo siano diventati anche per tutti quelli che ogni giorno ci propinano slogan e massime sul socialismo, sul comunismo e sulla criminalità di banche e padroni… qual è il nemico principale?), era già successo per i Forconi a inizio 2012, succede ogni volta che una partita di pallone travalica il limite del “panem et circenses” e assume le caratteristiche di ribellione sociale, dentro gli stadi e soprattutto fuori.

 

Già nel 2012, con il primo exploit dei Forconi [1 e 2] e con la mobilitazione dei Pastori Sardi, e prima, con l’assalto dei tifosi atalantini al comizio di Maroni, e dopo, analizzando natura e caratteristiche del M5S… noi siamo partiti dall’analisi di classe e dal contesto: perché prima e più che dalle idee dei suoi promotori  e dai simboli che inalberano, la natura di ogni movimento è definita dal ruolo che svolge nelle circostanze in cui si sviluppa e dalle classi che lo compongono. Questa è l’ottica dei comunisti, niente a che fare con quella degli “Scalfari, Scalfaro e Scalfarotto”!

L’analisi di classe spesso è intesa, nel campo di quella sinistra che non ha superato la dipendenza dalla concezione e dalla nefasta opera dei riformisti e della sinistra borghese, con un semplicistico “sono dei nostri? NO! Allora sono fascisti!”: ma questa, compagni, non è nemmeno un’analisi. E altrettanto riduttiva (e nefasta, oggi come ieri) è la “analisi di classe” di quelli del “sono operai, sono lavoratori dipendenti? NO! Allora sono di destra”. Analisi di classe vuol dire individuare lo scontro di interessi determinato in campo economico dalla crisi in corso come base di partenza per far coincidere il più possibile lo schieramento e la contrapposizione nella lotta politica con lo schieramento e la contrapposizione in campo economico: per portare le masse popolari ad assumere comportamenti politici coerenti con i loro interessi. E’ il processo per cui si individuano i settori coinvolti nella mobilitazione, se ne capisce la contraddizione da cui nasce e si sviluppa, si scoprono i punti su cui far leva affinché quella singola mobilitazione diventi organica alle mille altre mobilitazioni delle masse popolari e soprattutto confluisca e si unisca intorno all’obiettivo di costruire l’alternativa: alternativa che oggi, alla fine del 2013 in Italia, significa instaurare un governo d’emergenza popolare.

 

Analisi di classe: chi sono quelli che scendono in piazza (indipendentemente da chi li chiama a farlo)?

Si sono lette e sentite tutte le interpretazioni possibili, in molti casi astratte e astruse, su quale sia la composizione di classe di questa mobilitazione. Per orientarci è utile partire da quanto c’è di scientifico: l’analisi di classe del Manifesto Programma del (n)PCI.

Si tratta dunque (nella maggioranza dei casi) di settori delle classi popolari non proletarie, sottoposte dalla crisi a un processo di proletarizzazione, diventate (a partire dal governo Monti) bersaglio diretto dell’opera di rapina e spoliazione condotta dal governo per conto e a favore del grande capitale italiano e internazionale e che in misura crescente non riescono a vivere come nel passato. Si tratta di settori che per loro natura seguono  l’orientamento della classe, fra le due principali (classe operaia e borghesia imperialista), che più dell’altra se ne pone alla testa, le orienta, le dirige. Consapevoli di fare un esempio per forza di cose parziale, l’affermazione che la “piccola borghesia” è stata il principale bacino di affermazione di Hitler in Germania e di Mussolini in Italia è vera nella misura in cui il movimento comunista non è stato capace di orientarla e mobilitarla. Il parallelo con l’attualità, per chi lo vuole vedere, sta nel fatto che bollare preventivamente come “mobilitazione fascista”, “golpista”, “reazionaria” una mobilitazione che nei fatti è contraddittoria, significa consegnarla preventivamente nelle mani del più audace aizzapopolo o capobastone della borghesia.

 

Quello che è pericoloso (oltre che codista e arretrato) è l’atteggiamento di chi, in nome di un antifascismo da bancone del bar, denigra le mobilitazioni cosiddette “dei Forconi” e non usa le sue strutture, il seguito che ha, l’autorevolezza di cui gode fra le masse popolari per dare un orientamento chiaro e avanzato: dalla FIOM all’ANPI, dall’USB alla CUB dalla R28A ai tanti frammenti in libertà della “sinistra alternativa, radicale e comunista”. Ci risulta un solo caso, in questo senso, positivo ed esemplare: quello di Milano.

 

Per questo motivo diamo esplicita indicazione ai compagni e alle compagne del Partito dei CARC, ai simpatizzanti, a chi ha la falce e il martello nel cuore, di partecipare con spirito scientifico e da comunisti ai presidi, ai blocchi, alle manifestazioni. Sappiamo già che ci saranno tante cose che non condividiamo e che “non ci vanno a genio”, non sappiamo quello che possiamo scoprire e su cui possiamo lavorare.

 

Lavorare con che obiettivo?

Dal calderone di discorsi che fanno i promotori della mobilitazione e dal calderone di disinformazione e  propaganda di guerra, dalle parole d’ordine di questa mobilitazione quello che esce è un orientamento che va dritto al nodo del contendere, a quello che è oggi il centro dello scontro tra le masse popolari da una parte e i vertici della Repubblica Pontificia e le loro autorità dall’altra.

Nessuno dei portavoce (o degli intervistati) ha avanzato piattaforme rivendicative più o meno radicali, ma ha posto la questione del governo del paese. Anche in modo reazionario e preoccupante: cacciare il governo e con lui tutto “il sistema” e instaurare una reggenza ad opera di militari e forze dell’ordine. Qui non si tratta di sostenere questa linea (sì, reazionaria), ma di cogliere la portata di quello che ci sta dietro, sotto e intorno: chi governa il paese, come e nell’interesse di chi. Detto in altri termini, contendere il governo del paese ai vertici della Repubblica Pontificia, fargli ingoiare un governo d’emergenza popolare che affronti da subito gli effetti più gravi della crisi con provvedimenti d’emergenza. Quali provvedimenti? Tutti quelli che le organizzazioni operaie e popolari indicano come necessari per attuare in ogni caso concreto un programma semplice e chiaro: 

1. assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale,

2. distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi,

3. assegnare a ogni persona un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società,

4. eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti,

5. avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione,

6. stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.

 

Sono misure che rompono con le procedure, le regole e le leggi del sistema finanziario, bancario e monetario internazionale? Certo, ma sono quelle che occorrono per tirarci fuori dal disastro della crisi. Non possono essere attuate né da Letta né da nessun altro governo espressione dei poteri forti? No, ma da un governo di emergenza popolare sì. Da un governo che è legittimo (anche se non è legale: cioè non è formato secondo le procedure e le regole degli “italiani che contano”) perché si forma e agisce su mandato delle organizzazioni operaie e popolari (il “popolo sovrano”), risponde ad esse del proprio operato, si fonda su di esse per far applicare i suoi provvedimenti e stroncare ogni tentativo di sabotarne l’attività.

Con un governo di questo genere il debito pubblico e l’euro, da catene che strozzano le masse popolari, diventano una nostra arma contro l’Unione europea delle banche, delle società finanziarie e delle multinazionali: altro che fiscal compact! Il debito pubblico? Lo aboliamo, smettiamo di pagare interessi e rate in scadenza alle banche, alle finanziarie, ai fondi d’investimento e ai ricchi che hanno in mano il grosso dei titoli del debito pubblico e tuteliamo solo i risparmi delle masse popolari. E se le banche fanno storie? E le fughe di capitali all’estero? Mettiamo le banche sotto controllo pubblico: le hanno nazionalizzate i governi negli USA, in Gran Bretagna e altrove nel 2008 e 2009, lo faremo anche noi, non per tirarle fuori dai guai (a spese dei lavoratori dipendenti e autonomi, dei pensionati, dei piccoli risparmiatori) in modo che si rimettano a speculare, ma perché facciano i crediti che servono per tenere aperte le aziende o per aprirne di nuove e alle famiglie. E se necessario, ci mettiamo a stampare moneta: Berlusconi aveva solo minacciato di farlo, noi possiamo farlo davvero. Quale moneta, la lira o l’euro? L’euro, perché l’euro ha corso in tutto il mondo, mentre la lira o un’altra nuova moneta no, quindi ci metteremmo alla mercé dei ricatti della comunità internazionale. E l’inflazione? La blocchiamo intervenendo sulla grande distribuzione. Ci buttano fuori dall’UE? Intanto devono inventarsi una procedura per farlo e in definitiva hanno più loro da perdere che noi. I grandi capitalisti (italiani e stranieri) minacciano di lasciare l’Italia? Stanno già chiudendo le aziende una dopo l’altra per delocalizzarle o per darsi alla speculazione finanziaria, la differenza è che gli espropriamo le aziende per tenerle aperte e farle (o rimetterle a) funzionare, riconvertendole laddove si tratta di produzioni inutili o dannose. E se le istituzioni finanziarie e le autorità estere istituiscono un blocco commerciale? Stabiliremo relazioni di solidarietà, collaborazione e  scambio con gli altri paesi governati da autorità che vogliono anch’esse sfuggire alla morsa del sistema imperialista mondiale e ci serviremo del mercato nero internazionale, come già ora fanno gli Stati canaglia.

 

Costituire un governo d’emergenza popolare e farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia rendendo il paese ingovernabile alle loro autorità e alla loro “comunità internazionale: è questo obiettivo, oggi, che fa da spartiacque fra mobilitazioni velleitarie, “rituali”, ossequiose (nei contenuti, se non nella forma) delle autorità e delle istituzioni (quindi, alla lunga, inefficaci) e mobilitazioni di prospettiva.

Volente o nolente, chi oggi si limita a chiedere o rivendicare da questo governo di “mettere al centro dell’agenda politica e istituzionale il lavoro e le politiche industriali” oppure “un piano per risolvere l’emergenza abitativa”, chi parla di “dare attuazione alla Costituzione” o di “rompere la gabbia dell’euro e dell’Unione europea” senza l’obiettivo di costruire un governo d’emergenza deciso a farlo, chi per muoversi aspetta le elezioni e i loro risultati, ecc. di fatto “dice” che è necessario cambiare il corso delle cose, ma che ogni cambiamento non può che passare attraverso le istituzioni della Repubblica Pontificia: attraverso chi è responsabile del corso rovinoso delle cose nel nostro paese. Nei fatti afferma che le masse popolari non sono capaci di un’azione autonoma, anche se si organizzano e hanno alla loro testa dei gruppi dirigenti convinti e decisi a fare. E’ una linea che condanna all’impotenza, come Grillo e M5S hanno avuto modo di sperimentare e di mostrare nel periodo trascorso tra il grande successo elettorale del 24-25 febbraio e oggi. A guardare in faccia le cose, è più realistico chiedere a questo governo di “rimettere al centro dell’agenda politica e istituzionale il lavoro e le politiche industriali” come fa Landini o proporsi di prendere in mano il governo del paese anche se alla maniera confusa e contraddittoria  dei Forconi?

 

Noi diciamo che le masse popolari sono capaci, a condizione che abbiano alla loro testa un gruppo dirigente deciso a fare e abbastanza autorevole. La chiave di volta della situazione consiste nel creare un sistema di organizzazioni operaie e popolari che operano in autonomia dei vertici della Repubblica Pontificia e contro di essi, rendendo il paese sempre meno governabile dai poteri forti e sempre più governato dalle organizzazioni operaie e popolari.

 

Quindi?

L’aspetto principale è valorizzare quanto c’è di positivo (per quanto frammentario e contraddittorio) in questa mobilitazione chiamata “dei Forconi” per costruire legami, relazioni, ambiti comuni con il resto delle mobilitazioni popolari e, soprattutto, operaie. E’ SOLO rafforzando l’orientamento e la direzione della classe operaia (ancora con la storia che non esiste più?) che si orienta la mobilitazione delle altre classi delle masse popolari! L’obiettivo comune non sono piattaforme rivendicative più o meno corporative o più o meno radicali, ma il governo del paese.

L’aspetto secondario è sviluppare ed estendere la lotta ideologica fra le componenti del movimento popolare, il dibattito franco e aperto. Non per “esercizio di stile”, ma per spingere avanti quella parte di movimento a lasciarsi alle spalle le posizioni retrive, codiste e, queste sì, potenzialmente pericolose, assumersi la responsabilità di aprire le porte al nuovo corso politico del paese.

 

 

 

Esempi positivi

Ai “report” controcorrente che alcune componenti del movimento popolare hanno condotto in proprio (Infoaut 1, 2 e 3, Gabrio), aggiungiamo i rapporti dei compagni di alcune sezioni del nostro Partito.

 

Bergamo | Torino | Pistoia | Siena        

 

La crisi generale del capitalismo spinge tutti i settori delle masse popolari a mobilitarsi. Quelle mobilitazioni saranno via via più estese, capillari, contraddittorie e disordinate. Anziché condannarle, ai comunisti spetta il compito di rafforzarle, allargarle, coordinarle e orientarle affinché si incanalino nella mobilitazione rivoluzionaria e precludano la via della mobilitazione reazionaria, fino a trasformare il movimento spontaneo, disordinato e contraddittorio delle masse popolari in movimento cosciente e organizzato che avanza sulla via della costruzione della società nuova.

Chi ha paura delle contraddizioni, chi si rifugia nel senso di appartenenza, chi è spaventato dal disordine che ogni mobilitazione di massa porta con sé, chi sogna una rivoluzione “civile”, non va da nessuna parte.

 

“La rivoluzione socialista in Europa non può essere altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente – senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione – e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasticherie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!) e attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all’abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si ‘epurerà’ dalle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo” (V.I. Lenin, Risultati della discussione sull’autodecisione -1916, in Opere vol. 22).

 

“Chi sono i nostri nemici? Chi sono i nostri amici? Chi non distingue chiaramente i nemici dagli amici non può essere un rivoluzionario. Bisogna saper distinguere chiaramente i nemici dagli amici: è vero, ma non è cosa molto facile. La rivoluzione cinese è in atto da trent’anni, tuttavia i risultati sono davvero scarsi e questo non perché l’obiettivo sia errato, ma perché è completamente sbagliata la strategia seguita. L’errore di strategia commesso consiste precisamente nell’incapacità di unirsi ai veri amici per attaccare i veri nemici. La ragione per cui finora la rivoluzione cinese non ha raggiunto la vittoria sta nell’incapacità di distinguere chiaramente tra amici e nemici” (Mao Tse-tung, Analisi delle classi della società cinese – 1926, in Opere vol. 2).

 

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