Mafia, Berlusconi pagava 500 milioni l’anno per salvare La Standa

Il direttore del TG3, Bianca Berlinguer, avrebbe omesso di informare gli italiani circa le dichiarazioni di Riina che ha affermato che Berlusconi versava denaro per salvaguardare La Standa.


Gentile Bianca Berlinguer,

mi auguro di far cosa gradita riferendo cronache attuali e di meno recente datazione – tra di esse sorprendentemente convergenti – inspiegabilmente sfuggite all’acuta analisi informativa del TiggiTrenzi da Lei così mirabilmente diretto negli ultimi mesi.

Voglia gradire distinti saluti

Adriano Colafrancesco 

 

Il Fatto quotidiano – 2014 – Riina: “Berlusconi ci dava 250 milioni ogni sei mesi” – La rivelazione nelle conversazioni col boss pugliese Lorusso intercettate in carcere. Il racconto delle minacce: “Dissi ai catanesi: se non versa, salta la Standa. Così lui pagava”

 

La Repubblica – 1990 – Attentati alla STANDA

ROMA – La piovra? Il racket? Guerra della grande distribuzione? Una trama misteriosa per colpire Silvio Berlusconi attraverso la catena di grandi magazzini targata Fininvest? Un pazzo che gioca col fuoco? Tante ipotesi, tutte (per ora) ugualmente valide, tutte campate in aria. L’ unica certezza è inquietante: chi ha preso di mira i magazzini Standa non scherza. Dopo il gigantesco rogo di sabato notte, in pieno stile Inferno di cristallo che ha distrutto un magazzino di corso Trieste (otto miliardi di danni) altri due principi d’ incendio sono divampati, quasi simultaneamente, in due supermercati romani. In entrambi i casi i danni sono irrilevanti e chi indaga non ha trovato neanche un briciolo di esplosivo, nemmeno una goccia di benzina o un cerino bruciato. Porte e finestre intatte, neanche un graffio sulle grate. La polizia parla di inneschi chimici: un sistema estremamente sofisticato, due acidi che gocciano in una fiala di cartone e quando vengono a contatto le fiamme distruggono tutto. Ma anche questa è solo una supposizione. E la rivendicazione, confusa e tardiva, arrivata alle 14,30 alla redazione romana del Secolo XIX lascia il tempo che trova. Un giovane ha telefonato al centralino del quotidiano genovese: Chiamo a nome dei comunisti per l’ Intifada. Abbiamo colpito la Standa… poi ha aggiunto qualcosa di incomprensibile e ha riagganciato. I due attentati sono stati scoperti all’ orario d’ apertura. A viale Regina Margherita il fuoco era divampato, presumibilmente, a notte fonda. Alcune confezioni di carta igienica sono bruciate in un lampo prima che entrasse in funzione l’ impianto antincendio a doccia. Immediatamente la sirena ha cominciato a ululare ma nessuno l’ ha sentita: in questi giorni, del resto, pioggia e vento hanno mandato in tilt centinaia di allarmi. E’ stato il custode, verso le 8,30, a chiamare la polizia. Quasi contemporaneamente, i dipendenti del magazzino di Corso Francia, nel quartiere bene del Fleming, hanno scoperto due fustini semicarbonizzati che finivano di consumarsi sul bancone dei detersivi. In questo caso l’ impianto antincendio non è scattato perché il fuoco non ha alzato la temperatura fino alla soglia dei 50 gradi. Ed è così che, a oltre ventiquattro ore dal rogo di Corso Trieste, sono caduti gli ultimi dubbi, l’ ipotesi, ormai debolissima, di un corto circuito. I tre incendi, secondo la Mobile, erano programmati per scattare in simultanea ma qualcosa non ha funzionato. La Standa è nel mirino, ma di chi? Perché? Il primo passo per Nicola Cavaliere, capo della Mobile e Mario Fasano, dirigente Digos, era quasi scontato: nella prima mattina i due direttori dei magazzini, Carlo Amoretti e Franco Mozzetti, erano già in questura. Due testimonianze che sembrano ricalcate con la carta carbone: Non ne so assolutamente niente, potete credermi. Nessuna minaccia, nessun ricatto. Nessun problema coi dipendenti, nessuna grana sindacale. Niente, cado dalle nuvole. Scuotendo la testa i due funzionari se ne sono andati per chiudersi in un mutismo insondabile: la consegna del silenzio vale per tutti, dal vertice all’ ultima commessa. No comment. L’ inchiesta s’ è immediatamente allargata ma con lo stesso risultato. Sconcertato il capo della sicurezza sulla piazza romana, sbalordito quello dell’ intera catena nazionale, convocato a Roma a tamburo battente. Nemmeno un appiglio, neanche un indizio per questa indagine che si preannuncia difficilissima, mentre i responsabili della società tremano. L’ arrivo delle feste natalizie è il periodo peggiore per un’ offensiva combattuta a suon di incendi. La voce della ditta arriva solo in serata, con un comunicato di stile aziendale che non aggiunge niente a quanto si sa: … Non ci sono elementi per attribuire la paternità… ma la collocazione dei tentativi d’ incendio fuori dal normale orario d’ apertura sembrerebbe indicare una precisa volontà di evitare danni alle persone. Il gruppo Standa ha preso le necessarie misure per rafforzare il dispositivo di sicurezza. Il primo collegamento che balza alla mente, per tutti, è quello siciliano. A Catania, tra gennaio e febbraio, le cosche vincenti si lanciarono all’ arrembaggio della Standa. Una campagna alla maniera di cosa nostra: quattro attentati, due magazzini distrutti altri due danneggiati. Anche lì, per ora, solo ipotesi. La prima è che la mafia cercasse di cacciare la catena di distribuzione dalla piazza perché i negozianti protetti, oppressi dalla concorrenza della grande distribuzione, non riuscivano più a pagare il pizzo. La seconda (che qualcuno ha ribattezzato carciofo connection) sembra più realistica: le cosche cercavano di convincere i responsabili dei grandi magazzini ad approvvigionarsi sul mercato ortofrutticolo di zona, regno dell’ onorata società. Che a Roma, del resto, le famiglie abbiano già messo radici è notizia recente. L’ inchiesta della commissione antimafia si è appena conclusa e la grande offensiva della squadra Mobile contro i fratelli Salvatore e Francesco Nicitra (guarda caso affiliati a una fazione vincente) è di pochi giorni fa. Di un pactum sceleris tra l’ onorata società e la grossa mala capitolina si parla anche in un rapporto top secret della Questura. Ma chi indaga ostenta, stavolta, un marcato scetticismo: Roma non è Catania. Anche la tecnica usata nelle due città è stata completamente diversa. Secondo noi non è possibile fare dei collegamenti…. In effetti, sulla piazza criminale romana (dominata dall’ usura, gioco d’azzardo, speculazioni edilizie) il racket delle estorsioni non ha mai trovato spazio. Se c’ è un disegno contro la Fininvest, insomma, bisogna risalire al vertice. A Milano, dove si decide. E intanto in tutta Italia, è scattato l’ allarme generale. Una rete di controlli attorno ai magazzini Standa, agenti in borghese in mezzo ai clienti. Perché l’ ipotesi è drammatica ma reale: potrebbe essere solo l’ inizio.

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