“Egregio onorevole Gentiloni, le sue lodi al nuovo verso preso dalla sinistra ad opera di una banda di marionette, con in testa un arrogante “collodiano pupazzo” bugiardo e inaffidabile, non può passare senza risposta”.
Egregio onorevole Gentiloni,
le sue lodi (attraverso la newsletter n.21 di oggi*) al nuovo verso preso dalla sinistra ad opera di una banda di marionette, con in testa un arrogante “collodiano pupazzo” bugiardo e inaffidabile, non può passare (almeno per quanto mi riguarda) senza risposta.
Dire, come lei dice!, che “siamo di fronte a una proliferazione di cantieri da parte di un esecutivo che sta compensando l’esiguità dei suoi numeri parlamentari con un surplus di coraggio e determinazione” è semplicemente falso, disonesto e irresponsabile.
Falso perché la sola cosa che prolifera sono le manovre sempre più indecenti di riforma volte a proteggere ras della politica che hanno, negli ultimi 20 anni, devastato il Paese!
Disonesto perché occulta la tragica realtà di risuscitazione, ormai di fatto consolidata, del più nefasto e bieco verso della politica dell’ultimo ventennio: il berlusconismo
Irresponsabile perché tutto ciò accade in una fase storica di disagio grave di milioni di persone e non tiene conto dei rischi di “esplosività sociale” a cui espone tanto spregiudicata politica condivisa con un pregiudicato!!
“Renzi parla di cose che non conosce, confidando nel fatto che non le conosca nessuno, grazie alla collaborazione straordinaria dei tg e dei giornali….” scrive oggi il più autorevole tra i pochi autentici giornalisti sulla piazza. E aggiunge “La cialtroneria, il pressappochismo, l’ignoranza crassa e la menzogna sistematica per nascondere le tracce sono i tratti distintivi di questa nuova classe politica….”
E’ difficile non condividere! Anzi, impossibile!! …e peggio ancora disonesto e irresponsabile!!!
Adriano Colafrancesco
* Newsletter n.21 – Roma, 1 Ottobre 2014
Care amiche, cari amici,
lunedì la direzione del Pd si è conclusa con un risultato molto chiaro: via libera al Jobs Act da oltre l’80% dei componenti (qui la relazione di Renzi e l’odg approvato).
Una maggioranza più estesa di quella ottenuta da Renzi alle primarie un anno fa. Ora vedremo la riforma alla prova dell’iter parlamentare, soprattutto al Senato dove i numeri della maggioranza sono quelli che sono. Non sarà una strada in discesa, ma non mi aspetto incidenti gravi perché non penso che ci siano pezzi del Pd intenzionati a mettere in forse la tenuta del Governo.
Il fatto che la Direzione sia andata molto bene – e che il percorso parlamentare si annunci tortuoso ma non drammatico – non elimina le difficoltà che abbiamo davanti.
La prima è interna al Pd. La netta affermazione della proposta di Renzi è avvenuta in un clima -inutile nasconderlo – molto teso. Una tensione senza precedenti nella (breve) storia del partito, che non si giustifica affatto stando al merito della discussione sull’articolo 18 ma rivela piuttosto la difficoltà di una parte dei dirigenti Pd ad accettare l’idea stessa di essere in minoranza: se ti mettono in minoranza hanno messo in minoranza la sinistra. Quindi sono di destra: seguaci della Thatcher, di Berlusconi e perfino di Verdini (qui alcune mie riflessioni sulle dichiarazioni di questi giorni)
L’asprezza dello scontro si spiega inoltre con la messa a nudo di una contrapposizione – questa sì strategica -tra chi pensa che cambiare il quadro istituzionale e sociale consolidatosi 40 o 50 anni fa sia necessario per competere e tornare a crescere e chi vede questo cambiamento come una minaccia “autoritaria” e “liberista”.
Sono due modi di vedere il ruolo del Pd e il futuro dell’Italia che si confrontano. E questo confronto andrà avanti a ogni tornante del percorso riformatore del Governo Renzi.
Certo sarà innanzitutto importante attuarla la riforma del lavoro. Nei suoi aspetti sostanziali. Ossia riuscire per la prima volta a compiere tre operazioni: estendere, sia pure gradualmente, le tutele ai milioni di lavoratori che oggi sono a zero diritti; rendere certe e semplici le regole per chi deve assumere e per chi lavora; spostare il ruolo dello Stato dalla difesa del singolo posto di lavoro (magari non più difendibile) alla difesa del singolo lavoratore che deve essere tutelato e accompagnato nella ricerca di una nuova collocazione (qui il mio intervento in Direzione)
Basterà questa riforma -inevitabilmente graduale sull’estensione delle tutele- a rilanciare la crescita e creare lavoro? Ovviamente no. E giustamente Renzi ricorda -lo ha fatto anche in Direzione- che oltre al Jobs Act servono molte altre cose: il rilancio degli investimenti, anche europei; le riforme della giustizia civile e della pubblica amministrazione; l’innovazione digitale; la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale; l’abbassamento del costo del lavoro. Su tutto ciò, siamo di fronte solo a un ribollire di annunci? Chi lo afferma falsifica la realtà. Siamo di fronte, piuttosto, a una proliferazione di cantieri da parte di un esecutivo che sta compensando l’esiguità dei suoi numeri parlamentari con un surplus di coraggio e determinazione. Del resto, che non si tratti solo di annunci lo si può ben vedere dalla natura delle reazioni ostili che l’azione del Governo Renzi provoca in diversi segmenti del nostro establishment. Il gioco si fa duro, e saranno i prossimi mesi a dirci come andrà a finire.
Una certa influenza sulle prospettive di rilancio della nostra crescita economica l’avrà senz’altro il contesto internazionale. E il fatto di poter contare su un’italiana come Federica Mogherini alla guida della (fragilissima) politica estera comune europea rappresenta un’opportunità che forse abbiamo sottovalutato. Dove dobbiamo rivolgere il nostro sguardo quando ci occupiamo di quel che accade nel mondo? Molti sono preoccupati per le conseguenze economiche della tensione tra Nato e Russia. Capisco, ma resto convinto che la nostra attenzione debba concentrarsi sul Mediterraneo e innanzitutto sulla delicatissima crisi della Libia. L’ho ripetuto una decina di giorni fa a Washington, durante il forum parlamentare euroamericano sulla sicurezza, e credo che questa debba essere la nostra priorità di politica estera nei prossimi anni (qui un mio articolo sull’incontro interparlamentare). Per ragioni storiche, culturali, economiche. E anche perché da lì vengono i principali flussi migratori e alcune delle potenziali minacce per la nostra sicurezza.
Un caro saluto
Paolo Gentiloni