IndigneRai, comunicato n. 2 su riforma della Rai

“Tutti lo sanno e tutti lo dicono: non abbiamo nel nostro paese, un servizio pubblico televisivo realmente degno di tale definizione e una seria riforma della Rai, ormai è chiaro, non è più procrastinabile”.

 

tutti lo sanno e tutti lo dicono:

https://www.youtube.com/watch?v=Q-4xv1G4Xqw

non abbiamo nel nostro paese, un servizio pubblico televisivo realmente degno di tale definizione e una seria riforma della Rai, ormai è chiaro, non è più procrastinabile.

Sono recenti gli annunci del governo che promettono interventi imminenti:

“Prima condizione per valorizzare il ruolo “industriale” della Rai è quella di dotarla di una guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata: un capo azienda che sia in grado di prendere le decisioni e di essere chiamato a risponderne. Vanno indentificati con chiarezza ruoli e responsabilità. Non servono architetture barocche o la creazione di qualche sofisticata ingegneria che complichi ancora di più la situazione. Serve una guida manageriale vera, come quella di ogni grande player internazionale. Un capo, un responsabile che possa decidere. I soldi dei cittadini vanno amministrati bene”.

Su questo breve ma significativo passaggio tratto dalle linee guida de “la  Nuova Rai” * del governo Renzi, saremmo grati di avere il suo parere, insieme alle sue opinioni più in generale sul tema della riforma.

Coordinamento RAI BENE COMUNE IndigneRai




La nuova RAI

Da oltre sessanta anni la Rai ha un compito: comunicare l’Italia. Deve tornare ad assolverlo in maniera decisa ed efficace. Riformare il servizio pubblico radiotelevisivo significa questo: mettere la Rai nelle migliori condizioni per “informare, educare, divertire”, per poter essere la più innovativa azienda culturale italiana, per poter riscoprire quel ruolo divulgativo che ne ha segnato il suo primo vero successo.
La Rai ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale del nostro Paese, ma con gli anni la morsa della burocrazia e dei partiti ha ridotto fortemente la sua capacità di competere, soprattutto a livello internazionale, indebolendo l’azienda. Oggi occorre riannodare i fili di quell’identità.
La Rai non è una municipalizzata di provincia, la prima industria culturale italiana non può sottostare a procedure cavillose chilometriche o avere l’incubo della Corte dei Conti, senza peraltro che questo l’abbia salvata da vicende poco chiare e scandali. Creatività e professionalità italiane hanno le carte in regola per gareggiare con i grandi network a livello mondiale, per entrare nei mercati internazionali delle produzioni di eccellenza, per esportare all’estero le fiction che raccontano l’Italia, ma devono essere messe nelle condizioni di farlo. La Legge 112/2004 (nota come Legge Gasparri) va esattamente nella direzione opposta, condannando la Rai a subire spaccature e rissosità del parlamento.
Un’azienda che amministra ogni anno quasi due miliardi di euro del canone dei cittadini ha il dovere di accettare la sfida globale, senza rimanere chiusa nel recinto delle rendite di posizione del mercato interno, che tra l’altro si fanno sempre più deboli come dimostra il forte calo della raccolta pubblicitaria negli ultimi anni.
Costruire il servizio pubblico del futuro significa porre le condizioni per una governance che accompagni la trasformazione della Rai da broadcaster a media company. Una media company capace di essere presente e produrre contenuti per tutte le piattaforme, lineari e non lineari, con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica.
Prima condizione per valorizzare il ruolo “industriale” della Rai è quella di dotarla di una guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata: un capo azienda che sia in grado di prendere le decisioni e di essere chiamato a risponderne. Vanno indentificati con chiarezza ruoli e responsabilità. Non servono architetture barocche o la creazione di qualche sofisticata ingegneria che complichi ancora di più la situazione. Serve una guida manageriale vera, come quella di ogni grande player internazionale. Un capo, un responsabile che possa decidere. I soldi dei cittadini vanno amministrati bene.
Occorre passare dalla Rai dei partiti alla Rai dei professionisti. Veti, contro-veti, bilancini, pastoie burocratiche, lottizzazioni: è questo che ha frenato la Rai, privando l’azienda di un assetto saldo che consenta di assumere le decisioni strategiche e realizzarle. Non serve un parlamento che nomini i politici nel Consiglio di amministrazione della Rai, serve un parlamento che svolga la sua funzione di garanzia e controllo, con la commissione di Vigilanza “cane da guardia” dell’azienda.
La Rai deve parlare un linguaggio generalista che funga da riferimento per una “Tv Nazione”, ma deve anche declinare il vocabolario dell’innovazione, che emozioni i ragazzi e non soltanto i genitori. La Rai deve “fare cultura”, ma rendendola accessibile a tutti, senza rinchiuderla in qualche riserva indiana. La Rai deve dialogare con la scuola, perché se c’è un settore che ha visto mancare il servizio pubblico è proprio quello educativo.
Per questo il servizio pubblico deve ridefinire la propria offerta editoriale, con un nuovo progetto che rivisiti e razionalizzi la mission e il numero dei propri canali televisivi, anche in relazione alle possibilità offerte dalla convergenza tra media, Internet e telecomunicazioni.
In questa direzione va anche il completamento della riforma delle testate giornalistiche: una modernizzazione necessaria che adegui il modello produttivo delle news agli standard internazionali, declinando il pluralismo del servizio pubblico secondo canoni più rispondenti alla lotta agli sprechi, con meno testate giornalistiche e più produzione di reportage e documentari.
C’è il tema degli oltre 5 milioni di nuovi italiani per i quali la Rai può e deve svolgere quel ruolo di divulgazione della nostra lingua, della nostra cultura e delle nostre regole che sessanta anni fa svolse per le fasce più deboli della nostra società. C’è la necessità di realizzare una piattaforma digitale che, con il completamento della digitalizzazione del prezioso archivio Rai, permetta una fruizione efficace, contribuendo ad azzerare il digital divide, valorizzando il passato audiovisivo come memoria collettiva e costituendo libraries di prodotti specifici per scuole e università. C’è l’urgenza di razionalizzare il patrimonio immobiliare della Rai, anche con una ridefinizione della presenza delle sedi territoriali.
La Rai può e deve tornare ad essere il centro di eccellenza per la produzione di contenuti originali italiani. Serve un sistema nazionale di prodotti audiovisivi capace di promuovere la cultura italiana nel mercato internazionale, anche favorendo la crescita della produzione indipendente. Questo non solo è un obiettivo fondamentale in termini di mission strategica, ma lo è anche in termini di modello di business. Cinema, documentari, cartoni, format e soprattutto serie tv stanno diventando il linguaggio mondiale attraverso il quale le nazioni parlano al mondo ed esercitano il loro soft power.
La nuova Rai diventa lo strumento indispensabile per riconquistare il ruolo che spetta all’Italia nella produzione mondiale dell’audiovisivo, con la promozione della cultura italiana e del Made in Italy. La crescita di tutta la filiera della produzione e dell’esportazione diventa una delle principali missioni della Rai, il criterio con il quale viene misurato il management e l’efficacia della spesa pubblica destinata all’azienda. La Rai può acquisire un nuovo profilo internazionale anche attraverso la produzione di programmi in lingua inglese e la creazione di un canale culturale all’altezza dei migliori esempi europei.
Abbiamo di fronte un percorso articolato: rinnovo della governance, riforma del canone, Contratto di servizio, scadenza della Concessione ventennale. Governo e Parlamento non possono più perdere tempo, la sfida tecnologica, produttiva e culturale non aspetta i tempi della politica italiana.

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