“Dopo il Medio Oriente l’Europa?”

Abituati, in Europa e ovviamente in Italia, a decenni di scaramucce politiche che pretendono di essere la misura dei cambiamenti, è forse arrivato il momento di prendere coscienza che siamo alla vigilia di avvenimenti che possono cambiare radicalmente lo scenario che finora abbiamo avuto di fronte.

Dopo il Medio Oriente l’Europa?

 

Abituati, in Europa e ovviamente in Italia, a decenni di scaramucce politiche che pretendono di essere la misura dei cambiamenti, è forse arrivato il momento di prendere coscienza che siamo alla vigilia di avvenimenti che possono cambiare radicalmente lo scenario che finora abbiamo avuto di fronte. Riflettere su questo non ci permette automaticamente di avere a portata di mano gli strumenti per reagire, ma almeno serve per essere preparati a capire quello che sta succedendo e tentare di attrezzarci.

Qual’è il senso dell’interrogativo “dopo il Medio Oriente l’Europa?” Significa che l’Europa potrà divenire a breve un’area di grande turbolenza politica, economica, sociale e, dopo l’Ucraina, anche militare. Per capirlo dobbiamo partire dall’analisi della situazione internazionale.

Partiamo innanzitutto dalla questione militare che sta condizionando l’evoluzione del quadro generale. In Medio Oriente siamo passati da avvenimenti e guerre singole alla grande guerra, che non coinvolge più solo situazioni specifiche, ma è diventata un campo di battaglia in cui sono in gioco i rapporti tra grandi potenze. L’imperialismo occidentale a guida USA, dopo una serie di fallimenti, si è trovato di fronte una Siria armata dai russi e un fronte di opposizione che coinvolge molti paesi arabi. Il Medio Oriente non è più il giardino di casa degli USA e di Israele. Non solo, ma il controllo americano dell’area non è più diretto, ma mediato da potenze regionali, come la Turchia e l’Arabia Saudita, che hanno ingaggiato uno scontro frontale con il settore sciita per imporre un’egemonia regionale che va aldilà di un patto puro e semplice di sudditanza agli USA. L’ISIS è il braccio armato di questo progetto che in maniera articolata e con funzioni parallele si intreccia col ruolo svolto dalla Turchia e dai paesi del Golfo.

La guerra, la grande guerra mediorientale, dunque non solo avrà ulteriori colpi di scena, ma sarà lunga e con la tendenza ad allargarsi. Ciò che si vede ora è una parte di quello che potrebbe avvenire e che è in preparazione. Nonostante la brutale repressione l’Egitto traballa, la Libia è sotto attacco e la Tunisia non è affatto stabilizzata. Chi può bloccare questo processo? L’intervento delle varie coalizioni non è in grado di regolare i conti veramente con l’avanzata dell’ipotesi islamista che peraltro investe anche l’area subsahariana, Israele, paesi asiatici come Bangladesh, Indonesia, Filippine. Eppoi ci sono gli attentati sul territorio metropolitano europeo. Sul piano militare, in questo contesto, si può immaginare che eserciti occidentali si avventurino in una guerra di terra e che possano andare oltre la routine dei bombardamenti?

Se un progresso c’è stato nella guerra contro l’ISIS, questo è limitato alla Siria e alle aree abitate dai curdi, dove quindi lo scontro può fondarsi su popolazioni schierate e col concorso decisivo dei russi. Inoltre, come insegna la vicenda dell’abbattimento del caccia russo da parte della Turchia, le implicazioni della guerra in corso possono portare a coinvolgimenti di altro tipo, come Putin non ha mancato di sottolineare, a proposito anche delle armi atomiche.

Questo stato di cose sta aprendo una fase di trasformazione della fisionomia politica dell’Europa nel senso che le guerre, e l’ondata di immigrazione che ne segue, sviluppano e approfondiscono le contraddizioni del continente europeo e fanno emergere forze di destra che crescono su un terreno che non è solo tradizionalmente xenofobo, ma anche demagogicamente contro la Troika e Bruxelles. E non sono solo le forze politiche emergenti ad andare in questa direzione, ma anche una parte dei governi dell’UE che si stanno chiamando fuori da un’Europa a guida tedesca. Il fattore guerra-immigrazione ha posto dunque fine alla bonaccia europea, che dopo i fatti di Grecia sembrava riconsegnare alla Troika il dominio assoluto nella UE, e non corrisponde più alla situazione che sta maturando a livello continentale. E’ l’onda lunga della guerra nel Mediterraneo che ritorna come un boomerang sulle coste e alle frontiere europee e che si aggiunge alla questione del riarmo NATO ad Est e alla guerra in Ucraina.

Già il fattore guerra-immigrazione ha posto dunque a una sinistra di classe e antimperialista un problema immediato di organizzazione e di intervento, ma siamo ben lontani dall’aver raggiunto un risultato apprezzabile in questa direzione. Le cause di questo stato di fatto hanno radici lontane e cause oggettive. Il disfacimento dell’URSS e del Patto di Varsavia e la stessa degenerazione del settore comunista europeo hanno privato l’Europa di una grande forza antimperialista e di pace che era il perno del movimento contro la guerra. A questo non ha potuto supplire l’esperienza di una sinistra politicamente debole e contigua all’egemonia americana.

La risposta alla crisi che si sta delineando ha varie sfaccettature e tre sono le posizioni emergenti: quelle di destra, quelle degli stati sostanzialmente anti UE, pur nell’ambiguità della loro partecipazione agli organismi comunitari, e quelle che invocano la riforma dell’UE sostenuti da una spinta di massa come in Grecia, in Spagna e Portogallo e nell’Italia dei cinque stelle. E’ evidente che in questo contesto manca una quarta posizione, con una linea antimperialista e di classe che sappia entrare nel vivo delle contraddizioni, portando l’Italia e l’Europa ad uscire dalle guerre, dalla crisi sociale ed economica e da una costruzione europea fatta su misura dei grandi gruppi finanziari e industriali. Noi sappiamo come stanno le cose. Non dimentichiamo però neanche che laddove i comunisti esistono con una qualche consistenza, sono quasi tutti europeisti, nel senso che attraverso le elezioni europee alle quali partecipano danno credibilità a un parlamento fasullo, che è solamente un organo consultivo della volontà dei gruppi economico-finanziari che comandano.

Se non vogliamo dunque rassegnarci ad accettare che la crisi europea venga affrontata con gli argomenti della destra, o col riformismo, che viene da altre sponde, come ci insegna la vicenda della Grecia e di Tsipras, dobbiamo capire seriamente come attrezzarci.

Innanzitutto ragioniamo sul significato della crisi UE e sui possibili sbocchi.

Ovviamente noi siamo favorevoli alla crisi dell’UE e dell’euro. Se l’Europa della Troika non entra in crisi non c’è nessuna prospettiva di liberare le forze popolari che vi sono ingabbiate. Economia dell’euro, NATO e guerre sono intimamente connesse. Quali sono i tempi di una possibile crisi e quali le prospettive?

Non vi è dubbio che la barca UE fa acqua da tutte le parti e si vanno di nuovo divaricando i destini dei singoli paesi europei. Qual’è dunque il destino che ci aspetta se la deriva va avanti? Dietro il teatrino di Bruxelles si intravede un panorama in cui ciascuno stato sta cercando di tirare i remi in barca, perchè è sempre più evidente che una risposta comunitaria non esiste. E’ fallita per i gruppi capitalistici e finanziari europei la prospettiva di affrontare insieme un progetto comune. Ciò significa che l’Europa, e l’Italia, entreranno in una fase di forte instabilità istituzionale, finanziaria e sociale, che supererà di gran lunga ciò che abbiamo visto dal 2008 ad oggi. Ci saranno indubbiamente colpi di coda o contorcimenti degli ‘europeisti’, ma ormai non sarà facile bloccare il processo di disgregazione.

Se non vogliamo essere completamente schiacciati dobbiamo pensare da ora su che cosa puntare. Certamente non possiamo limitarci a pensare ai tempi brevi e con risposte che durano il tempo di una manifestazione. All’ordine del giorno c’è la costituzione di un partito di classe, che è ben altra cosa dalle solite ‘rifondazioni’ comuniste. Un partito che sappia raccogliere tre esigenze essenziali: la ricomposizione di un fronte di classe, cosciente del ruolo strategico da giocare nello scontro in atto e nella crisi economica per difendere gli interessi essenziali di classe; la rottura delle catene UE, per rovesciare le priorità liberiste e affermare il concetto del ruolo sociale dell’economia; la lotta contro le guerre che caratterizzano la strategia dell’imperialismo occidentale a guida USA e che coinvolgono pienamente l’Italia e l’Europa.

Nascerà, prima della catatrofe prossima ventura, un partito che sappia affrontare questi obiettivi? Per ora ci fermiamo a questo interrogativo.

 

Aginform
10 febbraio 2016

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