“Erdogan e la controrivoluzione”

Per sventare o vendicare un golpe, reale o manipolato, Erdogan e il suo partito hanno fatto, a loro volta, un colpo di Stato.

 

 

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AIUTARE IL PENSIERO A CIRCOLARE [FRANCO BERARDI BIFO]
“Aderisco alla campagna di sostegno a Comune perché credo che sia un dovere di ogni persona pensante aiutare il pensiero a circolare, a riprodursi, a creare. Solo l’autonomia del pensiero può riaprire il cammino del progresso, dell’uguaglianza, della solidarietà, che il conformismo e il cinismo mediatico sembrano avere cancellato”

 

ERDOGAN E LA CONTRORIVOLUZIONE
Per sventare o vendicare un golpe, reale o manipolato, Erdogan e il suo partito hanno fatto, a loro volta, un colpo di Stato. Guai a interpretare questa deriva autoritaria come la follia di un megalomane o, ancor peggio, il risultato inevitabile – finalmente smascherato – della strategia dell’islamismo politico. Gli avvenimenti turchi vanno inquadrati a livello locale, regionale e globale. A livello locale, c’è il ristabilimento dello statalismo nazionalista turco. In termini regionali, si chiude definitivamente il ciclo di cambiamenti iniziati nel 2011 ed abortiti in Siria, con la militarizzazione della rivoluzione e il successivo intervento militare multinazionale. Quanto alla dimensione globale, l’autoritarismo di E rdogan si adatta bene all’ondata controrivoluzionaria che dilaga senza risparmiare alcun continente e alcun paese. Sostituire uno schema ideologico di blocchi contrapposti, sul terreno ormai perdente, con uno schema culturale altrettanto inefficace servirà solo, proprio come spera la controrivoluzione in atto, a farci accettare di cedere diritti e libertà in nome di allineamenti identitari, culturali e tribali
SANTIAGO ALBA RICO

MA COME FACCIAMO A RESTARE SERENI?
“Come facciamo a proseguire a vivere la nostra vita, fingendo che gli altri, le nostre vittime, i poveri e gli oppressi, non esistano? Come facciamo a continuare a pensare solo a noi stessi?…”. In tempi di delirio e indifferenza collettiva c’è anche chi trova opportuno chiedere a tutti i mussulmani di dissociarsi apertamente dagli attentati e dall’Isis: “Ma perché, noi ci dissociamo dai criminali della finanza, dagli sfruttatori coloniali, da quelli che – anche per noi – continuano a distruggere la natura e le culture di quei paesi? Noi ci dissociamo dalle nostre guerre continue, dalle nostre fabbriche d’armi, dalle nostre rapine?…”
ENRICO EULI

PARLARE DI TERRORISMO E DI MONDO AI BAMBINI
“In questi giorni, dopo gli ultimi tragici eventi mi sono interrogata su cosa potrò dire al ritorno dalle vacanze estive ai miei alunni – scrive Angela Maltoni – I media ci hanno vomitato addosso dirette infinite in cui il terrore diventa merce di audience, immagini raccapriccianti… Sicuramente i miei alunni saranno informati di quel che è accaduto … ma non sapranno quasi nulla delle bombe che quasi giornalmente uccidono civili – tra cui molti bambini e bambine – in Siria e Afganistan… Ho provato, e continuerò, a insegnare ai miei bambini che la storia non deve essere letta solo dal punto di vista dei vincitori, che gli interessi socio-economici sono da sempre regolati dalla legge d el più forte, che la cristianizzazione è stata spesso usata come scusa per colonizzare e azzerare popoli indigeni e che il nord geografico è da sempre considerato superiore al sud… Per questa ragione ho tolto dalle pareti dell’aula la carta di Mercatore sostituendola con quella di Peters… Penso che proporrò una serie di narrazioni e tra queste una delle prime sarà la lettura della storia di Malala e l’analisi del suo discorso pronunciato all’Onu…”
ANGELA MALTONI

SE L’ISIS MI AMMAZZA, NON FATELO DUE VOLTE
Un parroco abruzzese in pensione scrive nel suo blog: se dovessi essere sgozzato, per favore, non uccidetemi due volte. Non confondete l’Isis con l’Islam, né il delinquente con l’emigrante. Don Aldo Antonelli non vorrebbe prestarsi, nemmeno da morto, al gioco osceno che va in onda ogni giorno a reti unificate
ALDO ANTONELLI

CINQUE ANNI DOPO FUKUSHIMA
Quella giapponese è una società in movimento di straordinario interesse: l’opposizione contro il nucleare e la militarizzazione oggi è diventata prima di tutto un coraggioso grido contro il lavoro salariato. Tra le organizzazioni principali del movimento anti-militarizzazione, quella delle madri più di altre ha messo al centro della propria lotta il rifiuto dell’economia di guerra, il rifiuto di posti di lavoro legati alle armi, tanto desiderati da imprese, governo e sindacati. Ma le nuove lotte non si mostrano soltanto sotto forma di protesta in piazza: per migliaia di persone la contaminazione radioattiva è stata l’occasione di aver «il coraggio di lasciare la propria vita per comi nciare un’altra vita partendo da niente – racconta Jun Hirose Fukuja, critico d’arte e docente all’Università Rjukuyu di Kyoto in questa conversazione con Franco Berardi Bifo (accompagnata dalle foto di Alessandro Di Ciommo) – Questo movimento di esodo continua tuttora, e ciò per due ragioni: primo perché l’incidente è sempre in corso; secondo perché la mobilità ha carattere altamente contagioso. Si tratta del “coraggio della verità”, direbbe l’ultimo Foucault…»
FRANCO BERARDI BIFO

UNA CRISI DA LEGGERE IN PROFONDITÀ
Le code chilometriche, la mancanza di gran parte dei generi di prima necessità, i prezzi impazziti delle merci, la corruzione dilagante dello Stato. Le immagini e i segnali di un Venezuela al collasso sono chiari, evidenti. Il Paese ha vissuto per quasi un secolo di petrolio. Inoltre, a differenza di quanto è stato spesso sostenuto in modo confuso, a Caracas non c’è stata alcuna rivoluzione: le classi sociali sono ancora lì e la crisi le colpisce in modo molto differente, c’è un enorme squilibrio tra quartieri ricchi e zone povere. Eppure, al di là del destino immediato di un governo più che vacillante che non fa alcuna autocritica, c’è una societ& agrave; venezuelana molto viva. Molta gente sa che con l’opposizione al governo la situazione non cambierebbe poi molto, perciò cerca vie d’uscita in autonomia e prova a usare la creatività. La situazione rappresentata dai media è spesso sopra la righe, semplificata, superficiale o falsa. Non tutti i venezuelani sono depressi e c’è una resistenza sociale popolare che non si è affatto arresa. Raúl Zibechi racconta alla rivista messicana Ojarasca il Venezuela che ha visto nelle scorse settimane
GLORIA MUÑOZ RAMIREZ
 

POMODORI SFRUTTA ZERO
Due anni fa furono loro stessi a raccontare su Comune l’inizio di una storia di ribellione imprevista, quella delle etichette “Sfrutta Zero”, che nelle campagne pugliesi ha messo insieme migranti e non per raccogliere, trasformare e distribuire salse rompendo con le logiche di sfruttamento dei caporali e della Grande distribuzione. Oggi che la loro storia è più nota, a cominciare dai i Gruppi di acquisto solidale, torniamo ad occuparci di loro, della loro ostinazione, della loro capacità di far partire dal basso una lotta ricca di dignità. Lo facciamo in questi giorni afosi di fine luglio, quando i nostri piatti si riempiono di pomodori, quando centinaia di uomini e donne lavorano ancora sotto i caporali per un paio di euro all’ora fino a sedici ore al giorno. Quando ci dicono che le cose non possono cambiare e che non dipendono da noi pensiamo ai ragazzi di Sfrutta Zero
ALESSANDRA MAGLIARO

IL CORTOCIRCUITO DEI CONSUMI
La regione francese delle “Hautes-Alpes” nei giorni scorsi ha ospitato l’incontro dei Cortocircuiti francesi, i Gas alpini del versante italiano sono invitati per un gemellaggio. I Cortocircuiti sono esperienze simili ai Gruppi di acquisto solidale, che importano direttamente dai produttori italiani agrumi e altri prodotti non disponibili localmente. Al festival le arance siciliane hanno favorito l’attivazione dei cittadini, la co-produzione e l’intreccio tra reti corte e lunghe
ANDREA SAROLDI

SI ALZA LA VOCE DELL’AMÉRICA NEGRA
Se il razzismo verso gli afroamericani che vivono nell’emisfero nord del continente vive una stagione particolarmente violenta, le popolazioni nere del Sudamerica non hanno mai smesso di subire una vera e propria guerra non dichiarata. Qualche esempio? Dal 2003, anno in cui Lula arriva per la prima volta al governo, la percentuale di brasiliani neri uccisi dalla violenza è salita del 40 per cento, mentre in Colombia quasi un nero ogni cinque è stato costretto a fuggire a causa della guerra, dei paramilitari o dell’esercito. Negli ultimi tempi, tuttavia, la resistenza nera in América latina sembra finalmente poter assumere un nuovo significativo protagonismo. Lo mostrano, ad esempio, i coll ettivi creati da una nuova generazione di studenti nelle periferie urbane e nelle favelas brasiliane, oppure i pescatori che hanno bloccato in Colombia il porto più importante del Pacifico. Certo, il razzismo è un male letale quanto antico nelle terre segnate dai “conquistadores” ma, come ebbe a dire uno che se ne intendeva, la resistenza è altrettanto tenace: “Fino a quando il colore della pelle non sarà considerato come quello degli occhi, noi continueremo a lottare”. Lui aveva la pelle chiara, tutti lo chiamavano “Che”, e la sua lotta ha ancora una certa influenza nel mondo
RAÚL ZIBECHI

L’ARTE SGRETOLA I MURI DELLA BALKAN ROUTE
Non c’è via migliore di quella dell’arte per favorire un incontro. Lo sanno bene i ragazzi del Nordest che avevano bisogno di una comunicazione universale per inventare progetti tanto ambiziosi da poter sembrare utopia a chi si rassegna a languire nelle prigioni della compatibilità, dell’immobilismo e del luogo comune. Nasce così l’idea di una Balkan Route dell’accoglienza, un percorso, da Udine a Idomeni, in direzione di marcia ostinata e contraria che esprime, prima di ogni altra cosa, una ribellione verso l’odio e i muri cari alle istituzioni razziste che tanto amano far parlare di sè. Quelle vergogne d’Italia che affliggono da troppo tempo un t erritorio ricco e vivo che riuscirà a liberarsene. È questione di tempo. Il cammino, intanto, lo indica anche il coraggio di quella zona franca fatta di sorrisi, gesti, sguardi, armonie, sogni, speranze e finalmente leggerezza che Paola, Federico e gli altri hanno regalato alla gente di Idomeni: bastava tirar fuori una fisarmonica
ANGELA CAPORALE

LA BRAVA GENTE DI SALA BAGANZA
Un reportage breve dalla zona oscura della provincia italiana rivela l’inquietante contesto in cui è maturato, alle porte di Parma, l’assassinio di Mohamed Habassi. I veleni razzisti di cui è intrisa buona parte della cittadinanza “perbène” rivelano indulgenza verso l’atrocità dei carnefici e puntuale diffamazione della vittima. Quel che si respira, a due mesi dall’omicidio, è un clima di indifferenza, oppure di omertosa complicità, assuefatto al silenzio, al pregiudizio e a una rappresentazione distorta dei fatti che diffondono in genere i media mainstream. L’altra provincia parmense, quella antirazzista e democratica, ha un gran lavoro da fare
ANNAMARIA RIVERA

BLACK LIVES MATTER PARIS
In Francia la rabbia delle periferie “nere e musulmane” monta. Dopo la morte del ventiquattrenne Adama Traorè – ucciso in un commissariato di polizia a Beaumont-sur-Oise, nella Val d’Oise il 19 luglio – i giovani insorgono. Protestano. E fanno appello a un Black lives matter‬ alla francese che ricalca il movimento antirazzista statunitense
ILARIA DE BONIS

QUANTI GRADINI ABBIAMO DISCESO SENZA FARE NULLA?
Le bambole di gomma, il patriarcato e l’indifferenza di ogni giorno
ANNA FOGGIA GALLUCCI

SPAZI LIBERATI E AUTOGOVERNO
A Napoli sette spazi liberati sono diventati beni comuni: sono comuni, spiegano i protagonisti di questa straordinaria stagione di autogestione cominciata diversi anni fa ma solo ora visibile, “in quanto amministrati in forma diretta da collettività/comunità di riferimento emergenti, in assenza di lucro privatistico”. Sulla relazione con l’amministrazione locale c’è molta consapevolezza: “C’è il rischio, per noi oggettivo, che dietro il fiorire di ‘patti di collaborazione tra cittadini e istituzioni’ si nasconda un’idea della partecipazione bonificata dal conflitto, in cui i cittadini sono presi in considerazione come partner solo in quanto ordinati ‘carpentieri’ e ‘giardinieri’…”
COLLETTIVO EX ASILO FILANGIERI

 

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