“Ecco le ragioni del nostro No al referendum costituzionale”

Vorrei mettere in ordine alcuni argomenti – che mi paiono abbastanza solidi – che orientano il mio No e motivano la mobilitazione che stiamo sollecitando in tutto il paese.

Ecco le ragioni del nostro No al referendum costituzionale

 

Il modo più sbagliato per affrontare l’appuntamento referendario del prossimo 4 dicembre è sentirsi allo stadio nel mezzo della curva che ospita gli ultras della squadra del cuore. Non con il tifo si fa politica, men che meno quando di mezzo c’è la Costituzione, la legge fondamentale del nostro paese. Vorrei invece mettere in ordine alcuni argomenti – che mi paiono abbastanza solidi – che orientano il mio No e motivano la mobilitazione che stiamo sollecitando in tutto il paese.

1) Si tratta di una revisione costituzionale scritta sotto dettatura dei mercati internazionali e delle grandi banche d’affari. Il documento di analisi di Jp Morgan del maggio 2013 sulle Costituzioni del Sud Europa è inequivocabile e spiega le ragioni che motivano l’urgenza di cambiarle, a partire da quella italiana: oltre al fatto che queste tutelano i diritti dei lavoratori e garantiscono la licenza di protestare, le Costituzioni nate dalla vittoria sul nazi-fascismo consegnano eccessivo potere ai parlamenti rispetto agli esecutivi ed eccessivo potere agli enti locali rispetto ai governi centrali.

Per questo vanno cambiate, per adeguarle ai processi di integrazione economica, cioè agli interessi del grande capitale e della grande finanza che Jp Morgan rappresenta in maniera persino paradigmatica (venne condannata dal governo Obama per le responsabilità dirette nello scoppio della bolla speculativa dei mutui americani del 2007). Il testo della riforma accoglie entrambe le istanze: rafforza il ruolo del governo contro il parlamento (obbligato a esprimersi in tempi molto rapidi solo sulle leggi di iniziativa governativa) e il ruolo dello Stato contro gli enti locali (che non avrebbero più il potere di intervenire per bloccare, per esempio, opere dannose per l’ambiente, per la salute o per l’economia locale che fossero ritenute dal governo di interesse strategico). L’Italia dovrebbe avere invece il coraggio e la forza di dimostrare totale autonomia dai grandi poteri economici (che siano i responsabili della crisi e delle politiche di austerità dell’ultimo decennio è persino un dettaglio).

2) Questa riforma non supera il bicameralismo perché non abolisce il Senato (come ci vorrebbero invece fare credere). Si passa da un bicameralismo paritario a un bicameralismo confuso (confuso per le funzioni, con inevitabili conflitti di competenza tra Stato e Regioni e tra Senato e Camera: basti pensare che il Senato avrebbe il compito di occuparsi di pubblica amministrazione e di politiche pubbliche), con l’aggravante che i senatori non sarebbero più scelti dai cittadini ma dalle segreterie dei partiti che, in ogni Regione e nelle principali città, indicherebbero quali consiglieri regionali e quali sindaci sarebbero chiamati a svolgere (come secondo lavoro) anche il compito di senatori. Si crea quindi una camera con competenze confuse, fatta da dopolavoristi indicati dai partiti e a tutti gli effetti coperti dai benefici e dai privilegi degli attuali senatori (a partire dall’immunità, che coprirebbe i nuovi senatori dal punto di vista giudiziario).

3) Non si risparmierebbero tanti soldi, come la propaganda del sì ci sta raccontando. La Corte dei Conti parla di un risparmio vero sui costi del Senato di circa il 10%. Pensate quanti soldi si potrebbero risparmiare se venisse dimezzato il numero dei parlamentari in maniera bilanciata tra le due Camere e/o se si intervenisse con legge ordinaria sugli stipendi di tutti i parlamentari.

4) Non si semplifica l’iter legislativo ma lo si complica. Attualmente c’è un procedimento legislativo unico: le leggi si fanno in un modo solo. Domani ce ne potrebbero essere fino a 12 diversi, con il rischio concreto che ciascun cittadino che si sentisse leso da una qualsiasi legge dello Stato potrebbe fare ricorso (con le conseguenze che tutti possiamo immaginare) per difetto del procedimento seguito per l’approvazione della legge.

5) Non si dà più potere ai cittadini. Anzi: il cittadino conta sempre di meno, come dimostra il fatto che si triplica il numero delle firme necessarie per presentare leggi di iniziativa popolare.

6) Sebbene la riforma della Costituzione abbia un valore che prescinde dalle leggi elettorali perché va ben oltre ed è destinata a resistere al passare degli anni (possibilmente dei decenni e forse dei secoli), non sfugge a nessuno che chi ha proposto questa riforma lo ha fatto come prima gamba di una coppia di riforme istituzionali, la seconda della quale è la riforma elettorale, l’Italicum. Il quale, attualmente in vigore, prevede l’assegnazione del 54% dei seggi al partito di maggioranza relativa. Anche a quello, per ipotesi, che acquisisse al primo turno il 20% dei voti (cioè che rappresentasse, vista l’astensione ormai al 50%, circa il 10% dei consensi degli italiani). Con questa minoranza reale, cioè con questa maggioranza in parlamento, il partito vincitore delle elezioni potrebbe nominare il Presidente del consiglio (che è attualmente lo stesso segretario nazionale del partito di maggioranza relativa), il Presidente della Repubblica e poi la maggioranza dei giudici della Corte costituzionale (e quindi il Presidente) e una parte rilevante del Consiglio superiore della magistratura. Si badi bene: questo vestito, che sarebbe inelegante indossato da Renzi o da qualunque esponente del partito democratico, si trasformerebbe in una camicia di forza per il paese se indossato da qualche esponente populista o di estrema destra. Pericoloso per la stessa tenuta della stabilità democratica delle nostre istituzioni.

7) Esistono poi ragioni di metodo, che mai come in questo caso sono ragioni di merito. Questa riforma è stata votata da un parlamento eletto con una legge (il porcellum) che la Corte costituzionale ha giudicato incostituzionale; dietro impulso del governo, che è intervenuto pesantemente a ogni passaggio parlamentare (contrariamente al consiglio di Calamandrei, che invitava nella discussione parlamentare sulla Costituzione a mantenere vuoti i banchi del Governo) e del Pd, partito di maggioranza relativa che ha provveduto a rimuovere dalle Commissioni affari costituzionali tutti i deputati non allineati e indisponibili a votare i maxi-emendamenti provenienti dal governo.

Infine, altre due questioni. La prima. Noi non siamo contrari a ogni modifica né pensiamo che la Costituzione vada imbalsamata in eterno. Esiste un articolo della Carta, il 138, che consente modifiche circostanziate e condivise, allo scopo di aggiornarla. Noi siamo pronti a farlo: siamo innovatori e non conservatori. Pronti a discutere domani mattina, al posto di questa proposta – irricevibile per le ragioni sopra esposte – alcune modifiche, circostanziate e condivise. A solo titolo di esempio: la diminuzione del numero dei parlamentari, l’eliminazione della cosiddetta navetta (il ping-pong tra Camera e Senato di cui parla sempre Renzi) istituendo un testo prevalente tra le due Camere, come accade negli Stati Uniti d’America; la costituzionalizzazione della conferenza Stato-Regioni; il diritto di dare la fiducia al governo assegnato alla sola Camera dei deputati.

La seconda questione ha a che fare con la politica. Cambiare la seconda parte della Costituzione vuol dire avere le mani ancora più libere per svuotare di senso la prima parte della Carta (quella dei principi fondamentali, dal diritto al lavoro al diritto all’istruzione e alla casa). L’Italia deve invece continuare a essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro, la cui sovranità appartiene al popolo. Si tratta di principi fondamentali e anche di scelte politiche. Se vincesse il no al referendum, non arriverebbero i barbari, non consegneremmo il paese alle destre. Se vincesse il no, batteremmo Renzi, manderemmo in soffitta una stagione sciagurata che ha visto il Pd votare in parlamento politiche di destra (dal jobs act alla riforma della scuola) e potremmo, insieme, aprire una stagione nuova. Una fase che vogliamo sia segnata dalla ricostruzione di un campo progressista e democratico liberato dal “renzismo” e in grado di governare al posto delle destre e del movimento cinque stelle. Con un programma chiaro: attuare la Costituzione, la più bella del mondo.

Chiaro? E invece, perché votare sì?

 

Pubblicato: 07/10/2016 09:36
 

http://www.huffingtonpost.it/simone-oggionni/ragioni-no-referendum-_b_12353802.html

Sharing - Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *