“Cosa possiamo fare per la Siria”

Le immagini, ormai, le abbiamo viste tutti. Per molti anni, però, per esempio quando cinque anni e mezzo fa cominciò la rivoluzione siriana, abbiamo fatto finta di non vedere. Adesso facciamo finta di non capire: la tragedia si è fatta troppo complessa.


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NEWSLETTER DI COMUNE
 

SEMINARE UN MONDO NUOVO
Non abbiamo più molto tempo, il grido della Terra sempre più devastata si perde nel frastuono delle economie di crescita, tra guerre al terrorismo e quelle ai migranti. Abbiamo bisogno di abitare la Terra in modo diverso, di nuove relazioni sociali, di una pedagogia critica della Terra. Un quaderno (43 testi) da scaricare, leggere, discutere subito ovunque, a cominciare dalle scuole. No, non abbiamo più molto tempo

LA TERRA DELL’EDUCAZIONE: SEMINARE IL FUTURO
DUE GIORNI CON LE RETE DI COOPERAZIONE EDUCATIVA

 

TREGUA UMANITARIA AD ALEPPO, A RUBAR TEMPO
Malgrado sembra ci siano già state delle violazioni, giovedì 20 ottobre alle sette di mattina è cominciata ad Aleppo, in Siria, la tregua umanitaria decisa da Mosca per concedere le cure a feriti e malati, nonché l’occasione a civili e combattenti di abbandonare la città. Scrive Alessandro Ghebreigziabiher: “Venghino, signore e signori, venghino. Venghino pure nel fantastico regno della tregua umanitaria. Dove i secondi diventano minuti, i minuti senza fine e le ore si congelano fino a perire nei pugni stretti dei senza tempo. Chiamateci così, ci piace, così. Senza tetto, pure, ma anche senza porte e finestr e, senza comò e comodino.
Senza alcuna comodità. Senza speranza, molti. Senza scampo, troppi… Voi altri, che al di là del vetro rimirate la vita che prende fiato nell’acquario della morte, provate anche voi.
A rubar tempo agli assassini…. “
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
 

COSA POSSIAMO FARE PER LA SIRIA
Le immagini, ormai, le abbiamo viste tutti. Per molti anni, però, per esempio quando cinque anni e mezzo fa cominciò la rivoluzione siriana, abbiamo fatto finta di non vedere. Adesso facciamo finta di non capire: la tragedia si è fatta troppo complessa. Non è piacevole guardare l’orrore, è più difficile ancora capirci qualcosa. Cosa vogliamo per la Siria? E cosa possiamo fare? Primo, non semplificare, dicono in questo articolo molto prezioso (che preghiamo vivamente i lettori di Comune di leggere fino in fondo) Santiago Alba Rico e Carlos Varea. “Il mondo oggi è un problema siriano, come la Siria è un problema mondiale” hanno scritto, a ragione, gli artisti e gli intell ettuali siriani… Ecco, potremmo cominciare ad ascoltare i siriani che lottano per le stesse cose per cui lottiamo noi, quelli che vogliono giustizia, autodeterminazione, diritti umani e democrazia, quelli che scommettono di poter spezzare il ciclo di interventi multinazionali, le dittature locali e il terrorismo jihadista. Lo sa bene Assad e lo sanno tutti i responsabili del fiume di sangue che scorre: la violenza è utilissima, funziona, impedisce di ricordare e non permette che la società civile si organizzi. Perché la società e la guerra sono incompatibili. La resistenza civile e la guerra sono incompatibili. Ci sono persone “normali” che in Siria lottano per le stesse cose per le quali noi lottiamo in Europa. Ci sono e sono ancora migliaia. È bastata una breve tregua, a febbraio, perché uscissero nuovamente in strada, a manifestare contro il regime e contro l’Isis, e anche contro Jabhat Al-Nusra nella provincia di Idlib, dando vita a un movimento che resiste ancora. Basta un momento di pace, una sospensione dello tsunami assassino, perché le strade – le rovine – risuonino di resistenza civile e volontà di organizzazione politica. Non è assolutamente vero che non ci siano interlocutori che potremmo appoggiare apertamente. Prima che vengano uccisi tutti
SANTIAGO ALBA RICO E CARLOS VAREA
 

QUELLE BOMBE MADE IN ITALY SULLO YEMEN
È italiana la fabbricazione della bomba che ha causato anche l’ultima strage di massa a Sana’a nello Yemen, almeno 150 morti e 530 feriti, colpiti durante una cerimonia funebre? È molto probabile e la cosa, francamente, non dovrebbe più stupire. Il perché lo spiega, ancora una volta in modo indiscutibile, questo articolo di Giorgio Beretta. La ministra Pinotti, ancora una volta oltre il senso del pudore, si premura di precisare: «La ditta Rwm Italia ha esportato in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente». Anche il fatto che il massacro yemenita colpisca di proposito e soprattutto la popolazione civile inerme dovrebbe ormai essere cosa nota. Quel che tendiamo spesso a dimenticare, semmai, sono i numeri del business, annegati come sono in una palude oceanica di cifre insanguinate. Stavolta ne isoliamo solo due: nel bienno 2014-15 il ministero degli esteri italiano ha autorizzato l’esportazione verso l’Arabia Saudita di un arsenale militare per un valore complessivo di quasi 420 milioni di euro. Il catalogo è nell’articolo. Nello stesso periodo, alle forze armate saudite sono stati consegnati sistemi e materiali militari per oltre 478 milioni di euro. Per una volta, forse, sarà meglio non aggiungere altro
GIORGIO BERETTA
 

SIAMO TUTTI CRIMINALI DI UNA GUERRA PERMANENTE
Aleppo è stata in parte occupata dai fanatici dell’Isis. Per liberarla da loro, il governo siriano sta assediando e massacrando da mesi i suoi stessi cittadini, con il sostegno russo. La gente è alla fame, disperata. Gli stessi che accusano Assad e Putin intanto attaccano la metropoli irachena di Mosul. E fanno e faranno lo stesso a quella gente. Li ammazzeranno… per liberarli. “Ma come si può pensare di proseguire ad affrontare il terrorismo in questo modo – scrive Enrico Euli -, dopo trent’anni di guerra continua in Afghanistan, venti in Iraq, cinque in Siria e in Libia, e tre in Yemen?”
ENRICO EULI
 

NATURALE
La famiglia “naturale” è attraversata da vistosi cambiamenti. Quello che ancora manca è una profonda messa in discussione dell’aggettivo naturale, l’asse portante ideologico della violenta differenziazione tra i sessi e di ogni altra forma di dominio
LEA MELANDRI
 

INVENTARE GIOCANDO. LA MASCHERA DI FO
Dario Fo è stato uno straordinario inventore, un allegro falsario. Ha inventato per tutta la vita giocando con la maschera della sua faccia e della sua voce. La maschera che sta sulla faccia quando non sembra che ci sia “per dire qualcos’altro”. Con questa maschera ci ha raccontato che l’attore può raccontare di tutto se riesce recitare con la maschera fingendo di non averla. Un ricordo di Ascanio Celestini
ASCANIO CELESTINI
 

IL TEMPO DI GUARDARE LE COSE
Se è vero, come molti credono, che viviamo immersi nel caos di un mondo dominato dalla complessità e sempre più difficile da ridurre a povere e pericolose semplificazioni, sarà bene, talvolta, prendersi un tempo molto “altro” e farsi dare un mano a guardare le cose. Ma dove? E come? Sul pianeta terra, a quanto ne sappiamo, non è ancora stato scoperto nulla di meglio dell’arte per farsi aiutare a guardare. Ecco perché, in queste settimane, ci sembra davvero utile cogliere l’occasione di un tuffo spericolato nell’arte contemporanea. L’occasione, assai rara, la fornisce la Quadriennale di Roma, aperta al Palazzo delle Esposizioni dopo ben otto anni di buio. Il titolo di q uesta sedicesima edizione è “Altri tempi, altri miti”, ispirato all’espressione di uno dei pochi scrittori che davvero ci mancano: Pier Vittorio Tondelli. Domenica 30 ottobre, alle 11 per le famiglie con bambini e alle 15 per i ragazzi di ogni età, si può avere un’altra opportunità straordinaria, quella di visitare la Quadriennale dell’arte con Anna Bruno del Periegeta, che per l’occasione promuove questo gran bel vedere insieme a Comune
ANNA BRUNO
 

NON DOBBIAMO MICA POSSEDERE TUTTO
Anche a Toronto ha aperto una “biblioteca delle cose” dove, proprio come in una casa comune dei libri, si può prendere in prestito tutto ciò che ci serve, magari due o tre volte l’anno, per poi restituirlo, senza aver bisogno necessariamente di comprarlo ed esserne proprietari esclusivi. È la cultura della condivisione che avanza, fa bene alle persone e al pianeta
DOMINELLA TRUNFIO

A SCUOLA, SULLO STESSO LATO DEL MURO
Un anziano insegnante di studi biblici in pensione se ne va in giro con decine di giovani attivisti per la pace quando si imbatte in una struttura chiamata “scuola per i bambini del villaggio di Arab a-Ramadin”, situata a cinque minuti dalla città israeliana di Kfar Saba. “Ho provato vergogna e mi sono sentito a pezzi. Appoggiato al bastone, faticavo a restare in piedi”, racconta Eitan Kalinski. La sostanziale differenza tra le scuole israeliane, in cui ha trascorso più di quarant’anni, e quelle arabe della Cisgiordania non può non provocare uno shock in chi ha vissuto e amato l’insegnamento. Il muro ha isolato Arab a-Ramadin dal suo territorio, una sorta di scuola dei fantasmi e delle umiliazioni, dove i bambini devono dividere un banco in tre, ma sulla lavagna ci sono i versi di una resistenza invincibile, quella di Mahmoud Darwish
EITAN KALINSKI
 

COMPITI A CASA: A GENITORI E MAESTRI
«Chi di noi andrebbe a teatro – ha scritto Gianfranco Zavalloni – sapendo che all’uscita ci viene assegnato come compito una relazione sullo spettacolo appena visto?». Scrive oggi Alex Corlazzoli, maestro: «Forse genitori e insegnanti dovrebbero ritornare a riscoprire l’origine della parola “scuola”, dal greco antico σχολή (scholḗ) che significa “quiete, tempo libero, ozio”. Ma qui non mi resta che dare un compito a chi è pronto con la critica: ricercare l’etimologia della parola “ozio”»
ALEX CORLAZZOLI

DARE SPAZIO ALL’IMPREVEDIBILE
«Hanno tentato e tentano da sempre di imprigionare la scuola, di fossilizzare il sapere, di abituarci a schedare e ad essere schedati, a testare, a inquadrare, a tracciare linee rette pur sapendo che la vita retta non è. Ma la nostra mente può ribellarsi – scrive Emilia De Rienzo – … Abbiamo bisogno di un “pensiero ribelle”, di un pensiero che ci aiuti, nonostante tutto, a costruire una scuola dove ogni allievo, ma anche ogni adulto possa prendere coscienza, per dirla col filosofo Alain Badiou, che in tutti “esiste ciò di cui siamo capaci”. La scuola, quindi, deve aiutarci a “costruire la propria vita” partendo “dall’utilizzo delle proprie capacità” e non da abili tà standardizzate e uguali per tutti …»
EMILIA DE RIENZO

CIBO NEGATO
Non è il tema del momento. La fame uccide ogni giorno migliaia di persone, soprattutto donne, ma non fa notizia. Nelle rare occasioni in cui se ne parla, istituzioni, media e ong preferiscono discutere fiumi di dati sulla “insicurezza alimentare”, espressione più tranquillizzante rispetto a denutrizione. La fame di cibo continua a provocare anemia del pensiero in chi la soffre e un profondo senso di impotenza-indifferenza in chi non la conosce se non come dato. Abbiamo bisogno di sguardi anticonformisti. E se ascoltassimo i movimenti degli impoveriti e tornassimo a occuparci del tema della fame? E se i nuovi poveri degli slum indiani, i nuovi poveri statunitensi o africani a un certo punto decidessero che basta, che bisogna far saltare le leve del ma novratore? Se il terrorismo fosse solo un assaggio di quello che potrebbe accadere? Una cosa è sicura: ciò che sta alla base della questione fame si chiama cambio climatico, desertificazione, urbanizzazione forzata, trattati di libero commercio, quotazioni in borsa di prodotti agroalimentari… No, non c’entra la tiranna Natura, è il capitalismo
RENATA PULEO
 

L’IPERMERCATO CONAD E IL BLOGGER DI CESENA
Conad-Cia vuole un risarcimento di un milione di euro dal blogger indipendente Davide Fabbri, impegnato a contrastare il progetto del nuovo Iper-mercato al Montefiore di Cesena. Che cosa ha scritto di tanto criminoso da provocare una richiesta tanto stratosferica da sembrare intimidatoria o vendicativa? Paola Settimini lo ha chiesto al Davide, nel senso dell’impari confronto con Golia gigante filisteo dei Super, e lo ha scritto su Informazione Indipendente. Daniele Barbieri, che segue la vicenda da tempo con la sua Bottega, lo ha ripreso e ha chiesto anche a Comune di informare i suoi lettori su una vicenda che non campeggia certo su molti dei media che “contano” ma pare investire la libertà di c ritica, l’indipendenza dell’informazione e altri temi a noi molto cari come l’impatto sociale e ambientale degli ipermercati sulla qualità della vita nelle città
PAOLA SETTIMINI
 

L’ESERCITO VOLEVA BERTA CACERES MORTA
La rivelazione non sorprenderà nessuno ma fa comunque un enorme effetto trovare una conferma da fonte insospettabile a quella che fino ad ora era una evidente deduzione dettata però solo dal buon senso e dalla ricerca di giustizia. A mettere nero su bianco le responsabilità dello Stato, è stato un giovane sergente dell’esercito dell’Honduras che ha già disertato e lasciato l’Honduras. Il ragazzo ha spiegato al giornale britannico The Guardian che almeno due unità delle forze armate erano in possesso di un elenco con i nomi di una decina di attivisti ed esponenti dei movimenti sociali che dovevano essere uccisi
DAVID LIFODI

LA STORIA VISTA CON GLI OCCHI DI UN INTRUSO
Un’esistenza straordinaria che guarda alla storia che gli è contemporanea con gli strumenti più raffinati del sapere critico, del rigore intellettuale e della passione politica. Bruno Amoroso racconta la sua vita in un libro, “Memorie di un intruso”. Il filo si snoda dalla relazione con il padre, fiero operaio comunista, uomo integro ma forse incapace di seguire processi storici tanto tumultuosi, alla sua ribellione più matura. Una ribellione non certo domata ma vissuta un po’ in solitudine e quasi rassegnata agli amari esiti di un mondo dominato dall’ingiustizia e segnato, tra le altre cose, da una parabola discendente della sinistra assai poco onorevole. In mezzo, il Sessantotto, l’essenziale incontro con Federico Caffè e l’esilio volontario a Copenaghen. “Dove abbiamo sbagliato?”, si domanda e ci domanda Bruno. Il suo è, ancora una volta, l’interrogativo più semplice, onesto, lucido. Una intelligenza viva e brillante come quella di Bruno Amoroso può arrivare ad accettare la sconfitta ma non può darsi pace se non arriva a comprenderne le ragioni
ENZO SCANDURRA
 

PER OGNI VILLAGGIO, UNA FORESTA
Seminare foreste per fermare l’avanzata del deserto. Hanno il respiro lungo e il passo del maratoneta le suggestioni ispirate da Thomas Sankara, il presidente che seppe incendiare l’Africa, ridando senso – nel continente più difficile – a una parola piegata e abusata come “rivoluzione”. Ce lo ricorda, a quasi trent’anni dal suo assassinio, un ricercatore analfabeta che, secondo fonti autorevoli, ha fatto molto per preservare il Sahel, più di tanti prestigiosi gruppi di ricerca internazionali. Negli anni Settanta, da commerciante diventò pioniere nella lotta alla desertificazione «per avere un’attività non fondata sul denaro». Yacouba Sawadogo &egra ve; l’uomo che semina gli alberi e ha fatto crescere una foresta usando la strategia ecologica e sociale della Rigenerazione naturale assistita dagli agricoltori (Rna), nella quale gli alberi spontanei sono protetti perché trattengono l’umidità nel suolo e aiutano i raccolti. Marinella Correggia lo ha incontrato a Torino
MARINELLA CORREGGIA
 

 

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