“La rivoluzione silenziosa e necessaria”

Un anno fa Rosaria Gasparro, maestra elementare che dedica una parte del suo tempo alla scrittura, è stata “vittima” di un apocrifo virale diventato un plagio e che, attraverso ripetuti e maldestri ruba-e-incolla, ha portato ad attribuire a Pier Paolo Pasolini un suo splendido scritto sul valore della sconfitta.


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LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA E NECESSARIA
Le lettrici e i lettori più attenti ricorderanno: un anno fa Rosaria Gasparro, maestra elementare che dedica una parte del suo tempo alla scrittura, è stata “vittima” di un apocrifo virale diventato un plagio e che, attraverso ripetuti e maldestri ruba-e-incolla, ha portato ad attribuire a Pier Paolo Pasolini un suo splendido scritto sul valore della sconfitta (la vicenda era stata ricostruita in Elogio della sconfitta). Eppure il ministro Graziano Delrio ha concluso il suo intervento alla nota assemblea del Pd dicendo di voler ripartire sul valore della sconfitta citando Pasolini. Ecco la lettera che Rosari a Gasparro ha scritto a Del Rio, a proposito di attenzione all’altro come rivoluzione necessaria, come virtù civica, come movimento globale a cui applicarsi con dedizione e cura, come antidoto contro i giochi di potere e di dominazione. “Il vero cambiamento – scrive Rosaria – ci sarà quando irromperanno sulla scena le persone comuni…”
ROSARIA GASPARRO

L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA PRECARIETÀ
Per il ministro del lavoro Giuliano Poletti il boom dei voucher, che hanno gonfiato le file dei precari, è un ottimo risultato. Poletti ha detto anche di essere contento per la fuga di alcuni precari, finalmente, non li avrà più “tra i piedi”. A proposito delle politiche sul lavoro, in questa intervista, Andrea Fumagalli spiega come il vero obiettivo di interventi come il Jobs Act sia porre fine all’anomalia precaria, generalizzandola. La precarietà ora non è più un dazio da pagare per un inserimento stabile nel mercato del lavoro, ma una condizione s trutturale. E le responsabilità dei sindacati sono enormi. Che fare? “Creare circuiti produttivi e monetari in grado di non essere sussumibili dal sistema capitalistico… Investire in forme alternative di produzione in grado di favorire forme di remunerazione del lavoro vivo e della cooperazione sociale e provvedere a servizi di welfare dal basso…”
ANDREA FUMAGALLI

DIALOGARE ASCOLTANDO
L’ascolto è in primo luogo un disporsi verso l’altro. Il nostro modo di parlare, e quindi di pensare, cambia in base alle persone che ascoltiamo, all’attenzione, alla sincerità e all’interesse reale con cui accogliamo le parole. L’ascolto, nelle sue molteplici forme, può creare e trasformare le relazioni. Paulo Freire, Augusto Boal e Danilo Dolci hanno praticato e reinventato il dialogo (e l’ascolto) nell’educazione, racconta in questo splendido saggio Paolo Vittoria: il loro obiettivo non era proporre il dialogo come conciliazione ma il dialogo come coscienza sociale. Il pensiero critico e le loro esperienze sono oggi quanto mai importanti per ribellarsi al dominio della comunicazione verticale senza dialogo, alla frenesia che impedisce di pensare un mondo diverso. Nel tempo dell’educazione tecnicista, basata sull’individualismo e sull’ansia competitiva, il mercato ha bisogno della quantità e dell’immediatismo, le persone no, hanno bisogno di lentezza e di vivere l’esperienza. Insomma, l’ascolto ha bisogno di tempo, il mercato no. “La grande e affascinante rivoluzione comunicativa che stiamo vivendo apre potenzialmente le possibilità di comunicazione, di relazioni, di contatti, dal digitale al materiale. Tuttavia – scrive Paolo Vittoria -, bisogna riconoscere che non tutta la comunicazione è dialogo… L’ansia del consumare prodotti, ma anche immagini, emozioni, sensazioni, parole ad un ritmo innaturale, può negare o reprimere il tempo vitale del dialogo…”
PAOLO VITTORIA
 

LO YOGURT DI QUARANT’ANNI FA ANCORA IN MARE
“Un vasetto di yogurt prodotto industrialmente e acquistato attraverso i circuiti commerciali, per arrivare sulla tavola dei consumatori percorre da 1.200 a 1.500 chilometri, costa 10 euro al litro, ha bisogno di contenitori di plastica e di imballaggi di cartone, subisce trattamenti di conservazione che spesso non lasciano sopravvivere i batteri da cui è stato formato. Lo yogurt autoprodotto facendo fermentare il latte con opportune colonie batteriche non deve essere trasportato, non richiede confezioni e imballaggi, costa il prezzo del latte, non ha conservanti ed è ricchissimo di batteri. Lo yogurt autoprodotto è pertanto di qualità superiore rispetto a quello prodotto industrialmente, c osta molto di meno, non comporta consumi di fonti fossili e di conseguenza contribuisce a ridurre le emissioni di CO2, non produce di rifiuti. Tuttavia questa scelta, che migliora la qualità della vita di chi la compie e non genera impatti ambientali, comporta un decremento del Pil…”. Cominciava così il brillante Manifesto della decrescita scritto da Maurizio Pallante dieci anni fa. Bisognerebbe rileggerlo con attenzione e discuterlo oggi, magari insieme alla notizia segnalata qui da Maria Rita D’Orsogna, sul ritrovamento, nei giorni scorsi, di un vasetto di yogurt del 1976 sulle spiagge del Canada…
MARIA RITA D’ORSOGNA

DEI DUE PESI E DUE MISURE
Mentre le immagini della tragedia della popolazione di Aleppo, massacrata tra il fuoco jiadista e sirorusso, campeggiano da giorni sulle pagine di tutti i giornali e il Consiglio di Sicurezza viene convocato, in una guerra dimenticata, in un dimenticato paese, la popolazione civile, le scuole, gli ospedali, i mercati vengono quotidianamente bombardati dall’esercito di un paese a guida fondamentalista, con l’appoggio dell’intelligence statunitense e ordigni made in Fincantieri. Senza che nessuno se ne curi. “È la politica dei “due pesi e due misure” a cui il colonialismo nostrano ci ha abituato da sempre, tanto che non ci facciamo neppure quasi pi&ug rave; caso – scrive Fabio Alberti – Ma oggi assistiamo purtroppo anche al rovesciamento di questa che sembrava essere una acquisizione, direi quasi teorica, dei movimenti contro la guerra… Perché i bombardamenti sulla popolazione civile sono crimini a Falluja e non lo sono ad Aleppo?… Mi si dirà che sono domande un po’ naif, che la situazione è più complessa… Conosco benissimo la situazione e la sua complessità… ma in questa complessità c’è, mi sembra, un semplice verità che per i pacifisti dovrebbe essere lapalissiana. È in corso una guerra cruenta per il potere tra potenze regionali e internazionali… e non c’è nessun motivo per cui si debba parteggiare per l’una o per l’altra. Non esiste il pacifismo “due pesi e due misure…”
FABIO ALBERTI

COSA POSSIAMO FARE PER LA SIRIA? S. ALBA E C. VAREA

LA VIA DELLA ROJAVA
L’amministrazione autogestita gli ha assegnato la terra. Loro producono senza chimica e vendono ortaggi, mais e latte ai soci della cooperativa a un prezzo più basso di quello del mercato. Ogni quota sociale vale cento dollari. Chi non ha i soldi, puó offrire il suo lavoro, oppure unirsi ad altri. Quando c’è bisogno, i soci si aiutano con una giornata insieme nei campi. “Pianteremo anche un bosco e quando il progetto sarà completo apriremo un agriturismo. Stiamo realizzando il nostro sogno”, racconta Azad, visibilmente emozionato. Fa parte di una cooperativa agricola con cinque mila soci del cantone di Jazeera, nella Rojava. Fino a tre anni fa, da quelle parti, le cooperative non esistevano. Poi è c ominciata una rivoluzione che, nel nord della Siria, a soli quattrocento chilometri da #Aleppo, dovrebbe essere impossibile. E invece esiste, cresce, alimenta da tempo speranze nel mondo intero e guarda lontano, perché ha fatto della convivenza la chiave per rendere più forte la comunità. La via inesplorata della Rojava – racconta il reportage scritto per noi e Dinamopress – viene percorsa da molte persone diverse, disposte a imparare e a correggere la rotta ogni giorno
X. HAVAL
 

LE MIGRANTI E NOI
Come abbiamo visto in occasione della splendida manifestazione del 26 novembre a Roma e nel dibattito del giorno successivo, tra i moltissimi gruppi e associazioni di donne in lotta per denunciare le violenze subite dalle donne ovunque nel mondo, è emerso quest’anno anche il drammatico tema delle violenze e degli abusi che le migranti richiedenti asilo sono costrette a subire nelle loro tremende odissee. “Si tratta infatti di una questione centrale per le femministe di oggi”, commenta Floriana Lipparini. Dobbiamo chiederci se capiamo davvero chi sia la donna che l’etichetta di migrante rischia di renderci indecifrabile. Siamo in grado di capire di che cosa sono portatrici quelle donne? Le riconosciamo soggetti di autotrasformazione e di trasformazione?
FLORIANA LIPPARINI

MATITE RIBELLI
Doaa el-Adl, vignettista egiziana (foto).
Nadia Khiari, fumettista tunisina.
Riham Elhour, vignettista marocchina.
“Quando ho cominciato a pubblicare i miei disegni l’ho fatto in modo così anonimo che tutti presumevano io fossi un uomo – dice Nadia – Non riuscivano a immaginare che una donna potesse saper disegnare, figuriamoci produrre personaggi umoristici e arguti…”. Disegnare per lottare ogni giorno, disegnare per creare un mondo nuovo
S. DIEUDONNE E
N. SCHERBEL-BALL

QUESTA È UNA FORESTA COMUNITARIA
La foresta che circonda il Parco Nazionale di Cross River in Nigeria è uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità dell’Africa. Per generazioni, il popolo indigeno degli Ekuri ha abitato questa foresta e l’ha preservata. Ora rischia di scomparire per sempre per fare posto a una superstrada a sei corsie di 260 Km. Le comunità degli Ekuri, a cominciare dalle donne, si sono ribellate e hanno avviato una nuova autogestione della foresta, costruendo piccole strade e generando reddito, materiali di sussistenza e cibo senza tagliare un solo albero
MARIA G. DI RIENZO

FARE IL MORTO. GRIDARE NO
Le nostre società sono attraversate da un vento di catastrofe; crisi economica, cataclismi ambientali, militarizzazione crescente ne rappresentano i fenomeni più appariscenti e mortiferi. Sentimenti di depressione, senso d’impotenza, angoscia per un futuro che è divenuto minaccia sembrano sempre più diffusi. Una possibilità di restare vivi, di restare in movimento, secondo Enrico Euli, si profila oggi nel potenziamento della propria capacità di “fare il morto”, quale esercizio di desistenza e renitenza: gridare No ogni giorno in tanti modi a tutto ciò che schiaccia le nostre libertà e limita la possibilità di creare un mondo nuovo
ENRICO EULI

LA GRAZIA DELLA FRAGILITÀ
“Per salvare i paesi dell’Italia interna non bisogna pensare di aggiungere, non bisogna pensarli come luoghi in cui manca qualcosa che noi dobbiamo mettere. Si aggiunge e si ritrova il meno, si sottrae e si ritrova il più…”
FRANCO ARMINIO

LE MULTINAZIONALI CHE CONTANO SULL’UE
Ricordate? A giugno 2016 la Bce lancia l’ennesimo piano per rilanciare l’economia. Visto che anni passati a “stampare soldi” tramite il quantitative easing non hanno dato i risultati sperati, ecco il passo ulteriore: con questi soldi acquistare non solo titoli di Stato, ma anche obbligazioni di imprese private. Corporate Europe Observatory (Ceo), organizzazione che da anni studia e denuncia il peso delle lobby nelle decisioni europee, è andata a vedere quali siano le imprese e i settori che hanno beneficiato di tali acquisti: dalla Shell alla Repsol, dalla Volkswagen alla BMW, fino a Nestlè, Coca Cola, Unilever, Novartis, Vivendi… ma anche le italiote Eni, Enel, Acea, Assicurazioni Gener ali, Telecom, Autostrade. Ecco dove sono finiti i soldi di tutti. Scrivono quelli di Ceo: “il risultato è inquietante, a meno che non pensiate che petrolio, auto di lusso, champagne e gioco d’azzardo siano il posto migliore in cui mettere soldi pubblici…”
ANDREA BARANES

IL RIMEDIO È LA POVERTÀ
“Povertà non è miseria… Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua… È la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette… Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra… Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente… Povertà è assaporare, non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente, un cibo… Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita… ”
GOFFREDO
PARISE

 

 

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