“Abitare territori metropolitani”

In una città come Roma, ferita e umiliata sempre più dalle vicende giudiziarie e dalla sua rappresentanza politica, aggredita ogni giorno dai signori del cemento e dal business del turismo di massa, è forte il bisogno di guardare le cose da punti di vista diversi.



NEWSLETTER DI COMUNE
 

UN LUNGO PONTE [LUCIANA DEMICHELE]
«Ribellarsi facendo» e «altri mondi esistono». Niente di più bello e vero per chi ci crede sul serio e lo vive quotidianamente. E proprio da un altro mondo, quale l’Africa, che raramente in Italia si narra o lo si fa spesso per fatti negativi e in modo stereotipato, aderisco solidale alla campagna di Comune: perché è bello sapere che in Italia c’è ancora chi si interessa al le piccole e grandi battaglie, chi ne conduce a sua volta, chi non si rassegna, chi resiste. Con le parole e con i fatti. Sostengo Comune perché il mio obiettivo, come il loro, è di creare un lungo ponte che ignori le frontiere, un ponte di relazioni che nascano dalla conoscenza dell’Altro, del suo contesto, delle sue lotte, grandi o piccole che siano. E allora, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, ritroviamoci, uniamoci e sosteniamoci in Comune!
FACCIAMO COMUNE INSIEME: LA CAMPAGNA PER SOSTENERE COMUNE

 

ABITARE I TERRITORI METROPOLITANI
In una città come Roma, ferita e umiliata sempre più dalle vicende giudiziarie e dalla sua rappresentanza politica, aggredita ogni giorno dai signori del cemento e dal business del turismo di massa, è forte il bisogno di guardare le cose da punti di vista diversi. Se si adottano quelli delle persone comuni che abitano la città saltano molte gerarchie e luoghi comuni, emerge un’immagine complessa e per molti aspetti sorprendente della città. Fuori raccordo. Abitare l’altra Roma è una ricerca importante, non solo perché è il frutto di un gruppo di lavoro interdisciplinare ma perché prova a mettere al centro il punto di vista dell’abitare, inteso come casa e abitazione ma anche come organizzazione spaziale e temporale nella vita di ogni giorno, come forma di appropriazione dei territori. Per questo la ricerca, tra le altre cose, parla dei nuovi conflitti di carattere ambientale (comuni ad altre metropoli), ricorda il ruolo del mercato immobiliare, studia il processo in corso di «periferizzazione» dei territori (con le periferie che cercano di rendersi autonome), indaga temi come l’auto-organizzazione e l’informalità. “Si possono riconoscere nei territori locali – scrive Carlo Cellamare, che ha curato la ricerca (edita da Donzelli) – forme di riappropriazione e di autogestione e anche un protagonismo sociale che è forse anche una risposta alla generale mancanza di governo e di progettualità…”. Di seguito, uno dei primi capitoli (Trasformazioni dell’urbano a Roma. Abitare i territori metropolitani) del libro. Le foto raccolte nell’artic olo sono di Pas Liguori, autore della mostra Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia ospitata in questi giorni presso Gordiani in comune (via Pisino 30), dove venerdì 23 è in programma un incontro con Carlo Cellamare, Pas Liguori e l’associazione Sguardoingiro
CARLO CELLAMARE
 

ALEPPO. LO SGUARDO OLTRE LE PARTI
Si può simpatizzare con lo scetticismo arabo nei confronti del Rojava pur essendo consapevoli dell’eredità storica del sistematico razzismo e sciovinismo contro i curdi siriani. Si può esser solidali con i rifugiati senza ignorare la dimensione socio-economica che permette solo ad alcuni di partire e costringe gli altri a restare. Si può essere contro la guerra, l’interventismo armato ed il commercio di armi ma allo stesso tempo riconoscere che l’auto-difesa e la lotta armata per la sopravvivenza è un’innegabile realtà (vedi Kobane). Si può odiare l’Isis senza essere anti islamici e islamofobi. Si può lottare contro l’islamofobia senza silenziare i popoli del Medioriente non musulmani che sono critici e a volte si battono contro l’Islam. E così via
DILAR DIRIK

ORA L’IMPERATORE ESPONE LA SUA NUDITÀ
Non siamo preoccupati solo noi messicani, scrive Gustavo Esteva, il mondo intero ha mille ragioni per esserlo. Molti statunitensi sono addolorati e angosciati. Non vogliono riconoscersi nello specchio che è stato messo loro davanti, e meno ancora nell’ondata di espressioni di odio che si è scatenata. Qualcosa di simile succede agli europei, che a loro volta non vogliono riconoscere il loro dispotismo, il razzismo, il sessismo mascherati da savoir faire. Eppure il solo fatto nuovo è che è caduto il velo su quello che per molti anni si era cercato di coprire. Il re (o l’imperatore) è nudo: si vede la natura stessa del regime in cui viviamo, quello che si auto-definisce &ld quo;democrazia”. Lo sapevamo. Così s’è creata l’illusione che lo “Stato”, quel fantasma linguistico che serve a manipolare la realtà, fosse anche uno spazio di gestione in cui ci si poteva occupare e prendere cura degli interessi della gente. Populismi di vario genere hanno alimentato quell’illusione. Per fortuna, però, chi sta in basso, costruisce autonomia nella vita di ogni giorno e pian piano demolisce la propria dipendenza dal mercato e dallo Stato. Si occupa da sé di ciò che riguarda il cibo, la salute, l’educazione, la casa… Comincia a seminare in un vaso nella veranda e, in men che non si dica, ha già un orto nel cortile. Quando poi si vede che ogni giorno qualcuno riesce a sconfiggere il fascista che tutti portiamo dentro, quello che ci fa desiderare che altri governino la nostra vita, rinasce la speranza
GUS TAVO ESTEVA

LA CAMPAGNA ELETTORALE DELL’ISIS
In primavera si vota in Francia e Olanda, in autunno in Germania. Ovunque è possibile che l’estrema destra conquisti le democrazie. D’altronde, se c’è riuscito Trump… “È in questo quadro che l’Isis ha iniziato la sua ‘campagna elettorale europea’, a Berlino, con un Tir lanciato sulla folla a un mercato di Natale – scrive Lanfranco Caminiti -, falciando e ferendo vite. Non è il gesto di un ‘cane pazzo’…”. Insomma, l’Isis ha imparato a giocare contro e dentro le contraddizioni politiche delle nostre democrazie. L’Europa è ormai un enorme serbatoio di possibile reclutamento. Quanto più le nostre democrazie si mostreranno refrattarie e crudeli contro gli islamici , tanto più, nelle periferie, nelle banlieue abbandonate, tra i profughi accolti e tenuti ai margini, crescerà il disagio, l’isolamento, il folle desiderio di “farcela pagare”. Fondamentalisti e nazionalisti si muovono in modo speculare per l’Isis
LANFRANCO CAMINITI

UN PASSO DOPO L’ALTRO
Berlino, soluzione finale: mettere barriere di cemento sui marciapiedi, per evitare che i camion e le auto killer travolgano le persone, i mercatini, le passeggiate. “Da qui ai muretti e ai muri, ormai, il passo è breve. E sarà breve. Israele si avvicina a noi – scrive Enrico Euli -, alle nostre vite quotidiane, ad ampi passi. Vivremo come topi….”. Sino a quando non ci troveremo a vivere come la gente d’Aleppo apparentemente all’improvviso
ENRICO EULI

DA DOVE VIENE LA FOLLIA DELLA VIOLENZA
Riesplode la violenza di quella parte di mondo che altrimenti ignoriamo per la fatica di integrarla sia nel mondo occidentale che nella realtà fisica che viviamo. Sembra che solo la violenza che arriva a pochi di noi ci colpisca veramente legittimando parole come quelle del neo ministro degli esteri: “Uno spregevole attacco al cuore dell’Europa”. È la storia del sociale a dirci che la violenza dei potenti gode di uno statuto speciale a cui non possono ambire gli altri, con l’aggiunta che società sempre più mediatizzate come le nostre tendono ad accentuare il carattere familistico delle relazioni tra poteri e cittadini. Nessuna guerra di religione rende ostili l’un l&rsqu o;altro i potenti della terra, è piuttosto la qualità ancestrale della violenza che resta il più redditizio e duraturo processo economico mai concepito dalla storia. Corre il rischio di essere fallimentare, dunque, pensare a soluzioni politiche efficaci nell’immediato quando i drammi generati sono l’esito di processi economici globali che durano da decenni
MONICA PEPE

IL MERAVIGLIOSO ESEMPIO DEL DOTTOR DOMENICO
Cosa vuol dire per te essere un medico? Perché hai scelto di continuare a lavorare come volontario dopo la pensione? Che differenza c’è tra fare il dottore retribuito e come volontario? Cosa pensa la gente, tra parenti, amici e conoscenti, della scelta che hai fatto? Che idea ti sei fatto degli immigrati? Se vi capita di incontrare un dottore come Domenico, che ha lavorato come volontario per vent’anni a curare i migranti, le risposte a quelle domande non saranno scontate. Ciò che spiazzerà molti, probabilmente, è la risposta all’ultima domanda
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER

IL MIO RAP È PER GLI OPPRESSI DEL GAMBIA
Jerreh Badji, in arte Retsam, è un rapper gambiano di 27 anni. Dalla primavera scorsa, vive in esilio in Senegal, paese che circonda completamente il suo. Retsam è fuggito da Banjul in seguito alle minacce che gli sono state rivolte dopo la partecipazione alle manifestazioni nelle quali l’Udp, il partito di opposizione a quello che è considerato – pressoché da tutti – come uno dei regimi più oppressivi del mondo, chiedeva la restituzione del corpo di un leader torturato e ucciso in carcere. A inizio dicembre, Yahya Jammeh, l’uomo che in Gambia amministra con il terrore il potere da 22 anni, ha perso le elezioni e, in un primo tempo, ha sorpreso tutti dicendo d i voler accettare il risultato delle urne. Poi però ci ha ripensato, ha rigettato la vittoria di Adama Barrow, il suo avversario dell’Udp, e ha chiesto di votare di nuovo. Questi sono dunque giorni di grande tensione, pressioni internazionali e inquietante attesa. L’esplosione di conflitti sanguinosi è un pericolo reale contro il quale a Dakar hanno manifestato esponenti della società civile gambiana e senegalese. L’intervista video al giovane musicista è di Luciana De Michele, che cura dal Senegal, dove vive, il blog Afric(a)live, collabora con Nigrizia e ora anche con Comune
LUCIANA DEMICHELE

BIODIVERSITÀ SINTETICA
Alla conferenza mondiale della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica si è discusso di molte cose ma il tema che focalizzava l’attenzione era la biologia di sintesi. Secondo i promotori, si tratterebbe solo di un “aggiornamento” dell’ingegneria genetica che rende possibili nuove costruzioni transgeniche e altre alterazioni sugli esseri viventi. Quel piccolo ritocco, però, dovrebbe fornire la soluzione a problemucci come la fame nel mondo, il cambiamento climatico e le malattie. I propagandisti più audaci si spingono fino all’ambizione di manipolare specie selvatiche, fare ingegneria degli ecosistemi, porre fine alla malaria e perfino far rivivere i mammut. Quel che preoccupa di pi&ugr ave; gli ambientalisti e i contadini della Via Campesina restano però i gene drives, una nuova applicazione dell’ingegneria genetica, volta ad alterare specie selvatiche, dagli insetti alle piante o animali, per forzare la permanenza di un carattere transgenico nel corso di generazioni, cosa che potrebbe portare all’estinzione quando l’alterazione viene effettuata affinché le specie abbiano solo maschi nella discendenza. L’obiettivo è eliminare del tutto una popolazione ritenuta dannosa. Per il resto, ci sono i soliti colossali interessi e la biopirateria di sempre, però digitalizzata e con un più vasto spettro di utilizzo e un maggiore e diverso impatto
SILVIA RIBEIRO

CITTÀ CHE DICONO ADDIO AL FOSSILE
Dopo San Francisco, è Portland, la città più grande dell’Oregon, a rifiutare le infrastrutture fossili. Il 14 dicembre l’amministrazione locale ha approvato una risoluzione in cui la costruzione di nuove infrastrutture fossili – impianti di stoccaggio, trasporto e lavorazione di derivati da petrolio, gas e carbone – saranno vietate a partire dal gennaio 2017. È la prima volta che una città statunitense approva un progetto simile, e di così ampio respiro. Anche la città di Vancouver a Washington State ha vietato nuovi depositi petroliferi sul territorio comunale, mentre Oakland in California ha vietato tutte le nuove infrastrutture di carbone e San Francisco le t rivelle. L”idea è che tutte assieme, sulla grande spinta dal basso dei cittadini, queste città possano creare un “muro verde” sulla West Coast statunitense
MARIA RITA D’ORSOGNA

WOW! CI AMMALIAMO COME GLI AMERICANI!
Se passa il Ttip. Negli Stati Uniti, circa il 75% degli animali cresciuti nei sistemi intensivi per la produzione di carne ricevono nella loro alimentazione ormoni della crescita e la metà altri promotori della crescita, come la ractopamina, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha calcolato con questi vantaggi comparativi che le sue esportazioni verso l’Europa potrebbero raggiungere un 3.983% nel settore della carne di maiale, un 966% nella carne bovina, un 901% nel latte in polvere e un 988% nei formaggi. Oltre a dissolvere i sistemi di produzione nazionali, l’ingresso di questa carne di animali culturisti ci eguaglierà con l’altra riva in molte altre cose: saranno omogenee le diete, uguali le obesità e si livelleranno anche i rischi di intossicazione alimentare
GUSTAVO DUCH

QUINDI, IL CARCERE TI HA FATTO BENE?
“Spesso chi conosce la mia storia e viene a sapere che sono entrato in carcere solo con la quinta elementare, ma che ho preso tre lauree, che pubblico libri, che svolgo attività di consulenza ai detenuti e agli studenti universitari nella stesura delle loro tesi di laurea sul carcere e sulla pena dell’ergastolo, mi chiedono: ‘Quindi, il carcere ti ha fatto bene?’. Quanto odio questa domanda! – scrive Carmelo Musumeci – Prima di rispondere penso ai pestaggi…, ai compagni che si sono tolti la vita.., ai lunghi periodi d’isolamento…, alle foto dei miei figli per terra calpestate dagli anfibi delle guardie…, ai topi che mi giravano intorno…, ai continui trasferimenti….”. “È difficile pensare al male che ha i fatto fuori se ricevi male tutti i giorni… Ciò che mi ha migliorato e cambiato non è stato certo il carcere, ma…. SEGUE QUI:
CARMELO MUSUMECI

BABBO NATALE, I BAMBINI E UN MONDO MIGLIORE
La rivista Lancet psychiatry ha pubblicato un articolo secondo cui lasciar credere ai bambini che esista Babbo Natale provoca un danno. Francis Pharcellus Church nel 1897, rispondendo in un editoriale del New York Sun alla lettera di Virginia (giovanissima figlia di un lettore del giornale), scrisse che “Babbo Natale esiste”, esattamente come “l’amore, la generosità e la devozione” che esistono per donare alla vita “bellezza e gioia”. Viviamo anni nei quali continuamente vien ripetuto che non si crede più in nulla, che è inutile avere ideali e utopie. “Eppure milioni di persone, ad ogni latitudine e longitudine del Pianeta ogni giorno si lasciano guidar e dalla solidarietà, dall’amore, dalla ostinata ricerca di giustizia e pace – scrive Alessio Di Florio -… Insomma, non è Babbo Natale la “minaccia”, ma la nostra adulta ipocrisia, i nostri compromessi al ribasso, le nostre disumane ingiustizie…”
ALESSIO DI FLORIO

 

 

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