“Perché No Tap né qui né altrove”

Banche, governo azero, Commissione europea non hanno apprezzato il ritardo delle operazioni per la costruzione in Salento del gasdotto Trans-Adriatic Pipeline. Elena Gerebizza, di Re:Common, ricorda le molte buone ragioni dei No Tap.

 

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LA FESTA DI COMUNE
Laboratori per bambini, conversazioni, musica, cibo buono, canti, danze
 in un pezzo di campagna dentro Roma, la Tenuta della Mistica.
Non dimenticate qualche telo da pic-nic. Ci vediamo sabato

CASA COMUNE ROSARIA GASPARRO
UNA FESTA È UNA FESTA, NO? ENZO SCANDURRA
  TELA MULTICOLORE EMILIA DE RIENZO
  PENSARE UN MONDO DIVERSO PAOLO MOTTANA
  LA FESTA, LE DANZE E I CERCHI DANIELA DEGAN
 

 

RESISTERE È CREARE
C’è un grande bisogno di capire cosa accade in una città ferita e complessa come Roma. Si tratta di scavare, di cercare prima di tutto gli spazi sociali che tessono, giorno dopo giorno, nuove esperienze comunitarie, che resistono creando mondi nuovi. Si tratta di offrire alcune domande e di mettere in comune qualche riflessione sui temi dell’autogestione e della comunità. Come e perché nasce una ricerca
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PERCHÉ NO TAP NÉ QUI NÉ ALTROVE
Banche, governo azero, Commissione europea non hanno apprezzato il ritardo delle operazioni per la costruzione in Salento del gasdotto Trans-Adriatic Pipeline. Elena Gerebizza, di Re:Common, ricorda le molte buone ragioni dei No Tap
ELENA GEREBIZZA

TAP-PETO PER LA MULTINAZIONALE
La polizia, i carabinieri, la guardia di finanza in tenuta in antisommossa e in borghese (centinaia di uomini), elicotteri, una quarantina di camionette…. Quella di martedì 28 e mercoledì 29 marzo a Melendugno (Lecce) non è stata una grande operazione antimafia ma il sostegno dello Stato, un tap-peto blu e verde militare, per il cantiere di una multinazionale (per ora bloccato), dove è previsto l’espianto dei primi duecento ulivi per lasciare spazio al tracciato del gasdotto che dovrebbe portare in Italia il gas dell’Azerbaijan
UN FOTO-RACCONTO DAL PRESIDIO NO TAP

LA VOCE DEI TERRITORI
Cos’è un “territorio”? Le definizioni potrebbero essere molte. Non sappiamo cosa ne pensano a Melendugno (Lecce), al Presidio NoTap promosso in questi giorni a ridosso del cantiere del gasdotto che dovrebbe devastare le coste pugliesi. Sappiamo però che quel presidio è fatto di famiglie giovani con bimbi da allattare, di bambini che dipingono cieli e salgono sugli ulivi, di gente che arriva in bici o a piedi, di professori che digiunano, di persone che mettono in comune cibo. La voce dei territori, racconta Rosaria Gasparro, fatta di singoli, di associazioni, di comitati, di popolazioni, ma anche di Comuni e Regione, “non è stata abrogata, ha le radici ben salde e lo sguardo rivolto al sole&hell ip;”. Dicono nella Selva Lacandona: «Siamo persone comuni e pertanto ribelli»
ROSARIA GASPARRO
 

IL CAOS, I FIUMI E L’ORA DEI POPOLI INDIGENI
Quando hanno visto passare i camion con i materiali necessari alla costruzione di opere utili solo al business delle imprese e a chi ne tutela i profitti, le comunità si sono organizzate e hanno fermato l’avvelenamento del fiume. Quell’acqua è la fonte della vita, serve agli animali, a lavarsi e al gioco dei bambini. Non permetteranno che ne venga insudiciato neanche un litro, anche se nei rapporti delle autorità le dighe e sistemi di depurazione appaiono come contributi per lo “sviluppo” dei popoli indigeni. La resistenza delle comunità delle montagne di Chinantla, stato di Oaxaca – raccontata in un incontro sulla “Difesa dei territori contadini e indig eni nel nuovo caos” (in un Messico che ora deve vedersela pure con la piaga Trump) -, porta alla luce una buona fotografia del sistema capitalista, dove l’occultamento delle conseguenze e dei rifiuti di ciò che si produce serve a mantenere il sistema, a far credere che non ci siano danni ambientali, a far pagare alla società i costi della contaminazione e a far soffrire le conseguenze dell’inquinamento senza sapere da dove arriva. Quando invece si mantengono la prospettiva collettiva e il rapporto con il territorio, la dimensione della comunità che non perde il rapporto con il ciclo degli esseri viventi, con le generazioni passate e future, con l’acqua, il bosco e la natura, allora diventano evidenti la perversione e i costi occulti di ciò che chiamano progresso
SILVIA RIBEIRO
 

LA DEMOCRAZIA FORMALE NON SERVE PIÙ
Negli ultimi decenni, pur protagonista di un’occupazione coloniale e di una politica segnata dal dominio della violenza, della discriminazione e della segregazione verso i Palestinesi, Israele aveva sempre curato l’immagine di paese “democratico”. Un profilo formale essenziale alla propaganda interna e alla diplomazia internazionale che oggi non sembra più necessario, nemmeno per l’immagine che la società israeliana ha di se stessa. Quello che segnala in questa intervista a Comune-info Michel Warshawski, prestigioso saggista israeliano e profondo conoscitore del sionismo religioso, è un intenso cambiamento di regime. Un regime deciso, per esempio, a li berarsi senza esitazioni di ogni residuo pur formale di democrazia nella libertà d’informazione e nell’indipendenza dell’autorità giudiziaria. L’escalation di aggressività delle pressioni esercitate sulle istituzioni di paesi “amici”, come è avvenuto nel caso dell’università di Roma che ci racconta lo stesso Warshawski, è un ulteriore segnale inequivocabile del nefasto cambiamento in atto
A CURA DI ALESSANDRA MECOZZI
 

SE SEI DONNA, IL DEBITO PESA DI PIÙ
Le misure macroeconomiche associate al debito sono sessualmente definite sia nelle caratteristiche che nei loro effetti. Privatizzazioni, liberalizzazioni, restrizioni di bilancio nell’agenda delle politiche neoliberiste giustificate dal debito tagliano i diritti sociali delle donne in misura diversa e maggiore, ne accrescono la povertà, consolidano e aggravano le disuguaglianze di genere, minano le conquiste femministe. Così come per decenni i Piani di aggiustamento strutturale hanno impoverito e portato allo stremo in modo particolare le donne del sud del mondo, oggi i piani di austerità stanno dissanguando quelle europee, bersagli diretti o indiretti preferiti di una stessa ideologia aberrante nei confr onti della dignità delle persone e della riproduzione della vita
CHRISTINE VANDEN DAELEN
 

L’8 MARZO, VISTO DA UN ANTI-COLONIALISTA
La discussione accesa dalle femministe de-coloniali sullo sciopero internazionale delle donne dello scorso 8 marzo offre uno specchio utile per guardarsi dentro anche a chi si considera un maschio anti-patriarcale e, più in generale, ai movimenti anti-sistemici. Dalla riflessione critica e autocritica sulla radice eurocentrica all’approccio problematico delle strategie quando entrano in contatto con gli “altri” mondi, quelli neri, indios o meticci. Salta agli occhi il riferimento alle idee di Frantz Fanon sulla differenza tra il mondo dove si rispetta l’umanità delle persone e quello dove la vita umana non vale nulla e non è neanche possibile immaginarlo, uno sciopero. Dal Nessuna in meno al Nessuna che sia meno. Al centro la riflessione sulle forme di lotta, capaci di rivelare molto sulla natura delle basi sui cui poggia un movimento
RAÚL ZIBECHI
 

Sulle carte geografiche non c’è ma Monte Inferno esiste, è un nome inventato per un posto molto reale, una discarica al centro dell’Italia. Un cumulo di spazzatura che da decenni custodisce anche rifiuti tossici scaricati di nascosto, di notte. Il documentario Monte Inferno di Patrizia Santangeli – a Roma al cinema Farnese venerdì 31 marzo – è il racconto di un posto segnato dalla presenza di quella discarica. Qui s’intrecciano la vita di una famiglia, di alcuni abitanti della zona, e il ricordo di Cesare Boschi, prete che si ribellò alla camorra e il cui cadavere fu trovato incaprettato nella canonica
R.C.

 

 

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