La Siria è dappertutto e in essa si riflette lo stato del mondo. Il bombardamento di Trump non dovrebbe farci dimenticare l’attacco chimico di Assad – o viceversa – e nemmeno ciò che hanno in comune: il disprezzo assoluto per l’ordine giuridico internazionale, per i diritti umani e per la democrazia in Medio Oriente e nel mondo.
NEWSLETTER DI COMUNE
L’ULTIMO TWEET DI TRUMP
La Siria è dappertutto e in essa si riflette lo stato del mondo. Il bombardamento di Trump non dovrebbe farci dimenticare l’attacco chimico di Assad – o viceversa – e nemmeno ciò che hanno in comune: il disprezzo assoluto per l’ordine giuridico internazionale, per i diritti umani e per la democrazia in Medio Oriente e nel mondo. E il disprezzo per il loro stesso paese e per la loro gente. Dovremmo contestare l’ordine globale con un globale “Non ci rappresentano”, invece che cedere alla tentazione di rifugiarci nelle mani di uno degli assassini o di giustificare i suoi crimini. Non si tratta di condannare con moderazione o d’indignarsi con ragione. Si tratta di sapere chi ci governa e cosa vog liamo. E se arriviamo alla conclusione che nessuno governa con i nostri principi, abbandoniamo i governi e non i principi e chi lotta per essi nelle condizioni più difficile ed estreme
SANTIAGO ALBA RICO
UN SILENZIO ASSURDO SULLA GUERRA “A PEZZI”
Nel pianeta dilaga una guerra mondiale “a pezzetti”, l’Italia spende 64 milioni di euro al giorno per le armi e la ministra Pinotti, tanto sensibile alle pressioni di Trump, si dice disposta a incrementare il bilancio. La stessa, invasata ministra afferma che l’Italia andrà in guerra ovunque i suoi interessi vitali saranno minacciati, un autentico golpe democratico che cancella l’articolo 11 della Costituzione. Vendiamo armi all’Arabia Saudita per massacrare i civili dello Yemen, al Qatar e agli Emirati per armare i jihadisti in Iraq, in Siria e in Libia. Siamo in guerra da quindici anni in Afghanistan. Ci siamo abituati? Alex Zanotelli lancia un grido contro l’ipocrisia irresponsabile e affaristica dei governi, la vergogna dell’indifferenza e il quasi silenzio del movimento italiano per la pace, delle comunità cristiane, dei sacerdoti e dei vescovi italiani: “Rimettiamo le bandiere della pace ai balconi, convochiamo una Perugia-Assisi straordinaria, fermiamoli!”
ALEX ZANOTELLI
COSA RESTA A GAZA DI VITTORIO ARRIGONI?
Con una cerimonia al porto di Gaza oggi centinaia di palestinesi ricordano l’attivista italiano assassinato sei anni fa da un gruppo qaedista. Michele Giorgio ha intervistato a Gaza, per Nena News, Khalil Shahin, vice direttore del Centro per i diritti umani e grande amico di Vik: “Vittorio aveva svolto un lavoro enorme per far arrivare in Italia l’urlo della nostra gente. Qui nessuno dimentica quando usciva in mare con i pescatori sperando di proteggere con la sua presenza le imbarcazioni palestinesi e quando saliva sulle ambulanze dirette nelle zone più rischiose per aiutare a recuperare i civili feriti”
MICHELE GIORGIO
ABBANDONARE L’ECONOMIA
È tempo di immaginare e mettere in pratica visioni alternative allo sviluppo. I movimenti della decrescita ci invitano ad abbandonare il pensiero economicistico. Non si tratta di proporre un’altra economia ma di mettere in discussione l’esistenza di quella sfera autonoma chiamata “economia”. Di certo le alternative della decrescita hanno cominciato a fiorire ovunque, includono la produzione di cibo nei giardini urbani, il co-housing e le eco-comuni, i circuiti alternativi per i prodotti agricoli, le cooperative di produzione-consumo, le cucine popolari, le cooperative sanitarie e di cura (per bambini e anziani), l’open software e le forme decentralizzate di produzione e distribuzione di energie rinnovabili. Queste alternative sono spesso accompagnate da nuove forme di scambio come le monete comunitarie, i mercati del baratto, le banche del tempo, le cooperative finanziarie e le banche etiche. Si tratta di proposte che enfatizzano la riproduzione e la cura, la centralità dei valori d’uso a scapito dei profitti. Queste pratiche di “messa in comune” [commoning] coltivano prima di tutto la solidarietà e le relazioni sociali
GIORGOS KALLIS
CHE CALPESTIAMO CON GEOX, TOD’S E PRADA
Sì, è davvero umiliante dover dire: “Scusi, potrei andare al bagno?” invece di “Devo andare al bagno” quando sei una donna adulta. Le condizioni di lavoro alla Geox che produce in Serbia, raccontate nelle interviste del video “In my shoes” che trovate qui sotto, offendono la dignità di tutti. Segnalano però in modo efficace il prezzo di una competizione globale selvaggia che ha condotto oggi grandi marchi italiani a preferire le condizioni dell’Est europeo alla (un tempo) imbattibile produzione asiatica. La Campagna Abiti Puliti e Change your Shoes annunciano la nuova inchiesta realizzata dal Centro Nuovo Modello Di Sviluppo e FAIR, un lungo viaggio lungo le filiere produttive di Tod& rsquo;s, GEOX e Prada per mostrare quanto l’industria calzaturiera sia ancora lontana dal rispettare i diritti umani e sindacali degli operai che confezionano le sue scarpe
ABITI PULITI
LE DOMANDE DI GENUINOCLANDESTINO
Un incontro nazionale importante, quello del 21-21-23 aprile a Bologna di GenuinoClandestino. Servirà a raccontare e discutere le pratiche di ogni giorno per opporsi a un sistema agroalimentare fondato sullo sfruttamento della terra e delle persone che tende a produrre cibo di lusso per pochi e spazzatura per tutti gli altri. La Tre giorni mira però anche a interrogarsi sui nefasti danni causati da un artificioso immaginario “green” di cibo buono pulito e giusto, un mezzo ideale per occultare l’essenziale utilizzo della produzione e distribuzione di quel che mangiamo come strumento di insaziabile accumulazione
ANDREA ZAPPA
UN CONTADINO PUÒ PARLARE DI AMBIENTE?
Dovevano aver fatto grandi sacrifici nel villaggio di Antsoso, sulla costa sud-orientale del Madagascar, per inviare a Londra Athanase Monja, contadino, pescatore e assistente del sindaco. Avrebbe dovuto spiegare all’assemblea degli azionisti della multinazionale mineraria Rio Tinto che le attività di estrazione, grazie al cosiddetto piano di compensazione della biodiversità, impediscono l’accesso alla terra e alla foresta alla comunità locale privando così le famiglie malgasce di un sostentamento essenziale. L’ufficio immigrazione del Regno Unito ha negato il visto perché, a suo parere, un contadino e pescatore non sarebbe qualificato per ‘parlare di ambiente e diritti umani’. Per fortuna, la denuncia è stata raccolta e resa pubblica anche a Londra da Re:Common e altre associazioni ambientaliste
LUCA MANES
STANNO VENDENDO MACAO
C’è era una volta in una grande città un palazzo gigantesco morto, improvvisamente rinato cinque anni fa grazie a migliaia di persone che lo hanno trasformato in un vulcano di cultura e relazioni sociali, e ora pronto per essere ancora sacrificato. Indovinate un po’? Ma al dio profitto, naturalmente, e al suo braccio destro il bando. Chi ha ridato vita a Macao, a Milano, ha atteso i tavoli annunciati dal Comune per immaginare un futuro di quello spazio e ora scopre che è in arrivo il cartello Vendesi. Nonostante questo, a Macao non rinunciano a pensare e a proporre di usare gli spazi urbani in modo creativo, magari insolito. Hanno trovato la pazienza, l’ironia e la fantasia per scrivere una lettera splendida a sindaco e assessori per ragionare a voce alta di proposte diverse, per ricordare che partecipazione non significa ricerca del consenso elettorale, per annunciare l’apertura delle iscrizioni all’Associazione per comprare Macao e per convocare un incontro dove parlare alla città (è un loro vizio, non sanno farne a meno). Ma, prima di tutto, hanno scritto per far sapere che sono e saranno “spina nel fianco qui così come altrove…”
MACAO
UNA MADRE DA MANUALE
“Ogni tanto non ce la facciamo. Cadiamo, e andiamo giù.
Chissà se i nostri figli lo sanno.
Essere madre non è un mestiere, perché i mestieri qualcuno te li insegna. Qui facciamo tutto da sole.
(…) Chissà se i nostri figli sanno che, a volte, cambiamo d’abito alla nostra anima e ci travestiamo per ingannarci un po’.
Che abbiamo una paura matta di non essere abbastanza per loro.
(…) Che balliamo da sole e piedi scalzi quando nessuno ci vede.
(…) Non siamo madri da manuale. Che stendono la pasta alla perfezione e confezionano consigli (…)”A
PENNY
NELLA SCUOLA PIENI DI SPERANZA
Capita ancora di sentire, a inizio anno scolastico, alcuni insegnanti e genitori dire che sanno già chi sarà bocciato a fine anno. Eppure tutte le bambine e tutti i bambini entrano nella scuola pieni di speranza. Anche i ragazzi più problematici, con alle spalle un passato difficile, sperano di essere accompagnati a utilizzare al meglio le proprie risorse. Per farlo è il mondo degli adulti che deve rompere qualsiasi giudizio precostituito, quelli con cui si divide il mondo in chi può farcela e chi no. Si tratta di imparare a plasmare I programmi sugli alunni e non viceversa “Quando incontriamo con i bambini delle difficoltà, ci dobbiamo porre questa domanda: è lui a non essere adatto alla scuola o è la scuola a non essere adatta a lui?… Se all’inizio dell’anno qualcuno può già stabilire chi è bocciato e chi no, vuol dire che la scuola ha fallito il suo compito educativo: quello di far sì che chi entra in essa esca un uomo migliore…”
EMILIA DE RIENZO
IL CALVARIO DELLE TUNISINE CON BEN ALI
“Qualche ora prima dell’audizione, mio fratello mi ha chiamato per dirmi di non raccontare tutto. ‘Pensa alle tue figlie’, ha detto. Ma io volevo che si sapesse quello che vivevamo nel paese che tutti vantavano come esempio di rispetto dei diritti delle donne”. Le testimonianze delle donne tunisine all’Istanza per la verità e la dignità continuano a raccontare tra le lacrime l’orrore e le umiliazioni: “Mi dicevano: se tu fossi una brava ragazza, non saresti qui tutta nuda”. Ma mostrano anche tutto il coraggio di donne straordinarie che rifiutano una vergogna che le schiaccerebbe sul ruolo di vittime, ancora una volta ‘oggetto’ della tortura. Era la Tunisia di Ben Ali, salito al potere grazie a un golpe promosso dai servizi segreti italiani su ispirazione di Bettino Craxi nel 1987 e deposto solo con la rivoluzione (oggi largamente tradita) del 2011. Ben Ali, intanto, scrive le sue memorie nell’esilio dorato procuratogli dagli amici sauditi a Gedda
THIERRY BRESILLON
LA DEPORTAZIONE DEGLI AFRO-MAURITANI
Sono già passati sei giorni e a Comune non abbiamo un enorme trasporto per gli anniversari. Però, diciamo la verità: di uno dei regimi di apartheid più ignorati dal mondo, quello che domina la Mauritania, non sappiamo veramente nulla. Per questo c’è sembrato giusto, grazie a Luciana De Michele, ricordare un evento tanto lontano nel tempo quanto grave e sconosciuto forse non solo in questo angolo del mondo. Il 9 aprile 1989 si consumava una delle più gravi e taciute tragedie razziali della storia africana: 120 mila afro-mauritani furono cacciati dalla Mauritania dalla minoranza di mauri arabi bianchi al potere. Domenica 9 aprile i rifugiati mauritani in Senegal hanno commemorat o quell’evento, punta d’iceberg di una politica violentemente discriminatoria iniziata dall’indipendenza e che continua ancor oggi. Il razzismo ci riguarda ovunque
LUCIANA DE MICHELE
IL FARAONE HA TANTI VOLTI
Se pasqua significa liberazione, ribellione al faraone, allora dobbiamo essere consapevoli che oggi il faraone ha tanti volti: quello della guerra, i cui tamburi in queste settimane rullano a più non posso, quello dei mercanti che schiavizzano e impoveriscono, nel Sud del mondo come nelle campagne italiane, ma anche il volto di chi approva leggi speciali, come dimostrano i nuovi decreti firmati dai ministri Minniti e Orlando. Tonino Bello e Dino Frisullo lo hanno ricordato più volte e in tanti modi: non abbiamo alternative, occorre rimettere al centro ogni giorno gli ultimi e i penultimi. E imparare a guardare il mondo, anche il nostro, con i loro occhi
ALES SIO DI FLORIO
NON CI STO: CONTINUERÒ A CHIAMARLE CELLE
Ci sono celle in carcere nelle quali c’è solo lo spazio per fare due passi: due avanti e due indietro. Celle con uno spioncino rotondo nel muro dalla parte del bagno, per consentire alle guardie di vedere l’interno senza essere visti. Celle dal forte odore di umidità e di urina. Celle la cui finestra piccola ha un muretto davanti per impedire di vedere l’orizzonte. Celle in cui le formiche sono le padrone durante il giorno e gli scarafaggi nel corso della notte, mentre i topi lo sono sia di giorno che di notte… Una circolare del Dipartimento Amministrativo Penitenziario cambia il linguaggio burocratico delle carceri trasformando il lessico e, tra le varie, dispone di chiamare le “celle” in “camere di pernottamento“. Scrive Carmelo Musumeci: “Io penso che nella stragrande maggioranza dei casi, sia già troppo chiamarle celle perché le chiamerei piuttosto con il loro vero nome: tombe, o ossari, o fogne, o loculi…”
CARMELO MUSUMECI
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