Il balzello sui sacchetti imposto dal PD

Sui social network è rivolta: l’obbligo a partire dal 1° gennaio per i supermercati di fornire sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento per imbustare frutta e verdura (ma anche salumi, formaggi, pane, ecc.) non è andato giù ai consumatori, che l’hanno interpretato come l’ennesimo balzello ai danni di chi fa la spesa, e l’hashtag #sacchettibiodegradabili vola in testa tra i trend.

 

Sacchetti biodegradabili:

dietro le bufale del Pd, gli affari milionari della grande distribuzione

Leonardo Filippi (3 gennaio 2018)

Sui social network è rivolta: l’obbligo a partire dal 1° gennaio per i supermercati di fornire sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento per imbustare frutta e verdura (ma anche salumi, formaggi, pane, ecc.) non è andato giù ai consumatori, che l’hanno interpretato come l’ennesimo balzello ai danni di chi fa la spesa, e l’hashtag #sacchettibiodegradabili vola in testa tra i trend. Per il Codacons, secondo una indagine perfezionata tra i suoi iscritti, l’85% dei consumatori sarebbe nettamente contrario alla nuova norma.

L’articolo 9 bis della legge di conversione 123/2017 (il decreto Mezzogiorno), approvato lo scorso agosto, impone che i bioshopper debbano avere una percentuale di materia prima rinnovabile almeno del 40%, che non possano essere distribuiti a titolo gratuito e che il prezzo – tra l’uno e i tre centesimi, in genere, nei supermercati – debba essere segnalato nello scontrino. E la regola vale sia per la grande distribuzione che per le piccole botteghe: chi la infrange rischia dai 2.500 ai 25.000 euro di multa.

Per difendersi dalle accuse di danneggiare i consumatori, il Partito democratico ha diffuso una infografica firmata dalla deputata dem Alessia Morani, che è un vero e proprio concentrato di gaffes. Nel meme si scaricano innanzitutto le colpe sull’Europa, chiarendo che la nuova norma si era resa necessaria per ottemperare alla direttiva europea 2015/720. Poi Morani precisa che la novità incentiverà i consumatori a riciclare i vecchi sacchetti, individua il costo medio in un euro ogni 50 sacchetti, e afferma che eventuali richieste da parte degli esercenti di far pagare più di 2 centesimi un singolo sacchetto sono illegali (termine sottolineato in giallo e rigorosamente in maiuscolo).

Peccato, però, che si tratti di una bufala. Anzi, di una doppia bufala.

Innanzitutto: al punto 2 si rivendica questa natura green della norma, che favorirà il riciclo. Che Morani esplicita meglio in un commento nella propria bacheca Facebook, presa d’assalto da chi non ha digerito questa nuova voce di spesa. «Basta portarsi dietro i sacchetti comprati il giorno dopo», scrive, per evitare di pagare di più e fare bene all’ambiente.

Ma il ministero dell’Ambiente, in una lettera di risposta ai dubbi di Coop, Conad e Federdistribuzione, aveva escluso in precedenza la possibilità di utilizzare borse riutilizzabili o comunque di consentire che i clienti si portino borse da casa, per questioni di igiene e sicurezza alimentare.

Inoltre, l’affermazione per cui sarebbe illegale far pagare un bioshopper più di 2 centesimi non trova riscontro da nessuna parte, come sottolineato dal mensile il Salvagente. A smentire il Partito democratico, poi, è il quotidiano del Partito democratico stesso, con un articolo che incredibilmente titola “Quattro bufale sui sacchetti della frutta che hanno provocato la ‘rivolta’ social”, nel quale la parlamentare dem Stella Bianchi afferma che per i nuovi sacchetti biodegradabili «non c’è un prezzo fissato dalla legge, perché la legge non può imporre un prezzo a un prodotto». In che senso sia “illegale” far pagare più di 2 centesimi i bioshopper, pertanto, non è dato sapere.

Ma c’è di più.

La amministratrice delegata della azienda leader in Italia nella produzione di bioshopper, la Novamont (che ha ottobre ha diffuso una nota secondo la quale invece il 58% dei consumatori sarebbe entusiasta della norma), è Catia Bastioli, che 6 anni fa presenziò e addirittura salì sul palco della seconda Leopolda renziana come oratrice. Alcuni quotidiani di destra hanno colto la palla al balzo e sottolineato la curiosa concidenza, e la notizia per cui la norma favorirebbe una ditta “amica” del premier Matteo Renzi è presto diventata virale anche con catene di messaggi su Whatsapp. Una replica arriva da Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, che su Repubblica prova a smentire il conflitto di interessi, affermando che «quella del monopolio è un’accusa senza fondamento», in quanto «le bioplastiche le fanno le maggiori aziende al mondo».

Ma forse, il tornaconto più “goloso” di questa norma potrebbe averlo la grande distribuzione organizzata e i big dell’ortofrutta, ossia chi vende e chi produce ortofrutta nella cosiddetta “quarta gamma”, ossia quella serie di prodotti preconfezionati in buste di plastica o polistirolo, dalle insalate ai pacchetti di frutta. Questi prodotti, su cui è possibile effettuare un “ricarico” estremamente più alto rispetto alla frutta e alla verdura sfuse, non subiranno questo famigerato balzello, e potrebbero alla fine risultare un prodotto più appettibile per i consumatori, scoraggiati dal costo supplementare del sacchetto.

«Poiché per legge il costo dell’imballaggio non può essere assorbito nel prezzo complessivo del servizio, molti consumatori abbandoneranno il prodotto sfuso e si rivolgeranno ai prodotti già confezionati. Invece di prendere i frutti con il guanto usa-e-getta, pesarli nel sacchetto biodegradabile, etichettarli e poi alla cassa pagare il sacchetto, molti consumatori prenderanno la vaschetta di polistirolo con i frutti già imbustati. In altre parole, più imballaggi in circolazione», avverte Jacopo Gilberto dalle colonne del  Sole 24 Ore.

A sottolineare i possibili maggiori introiti per i colossi della Gdo è anche il saggista Wolf Bukowski (autore di La danza delle mozzarelle e La santa crociata del porco, entrambi editi da Alegre), che su Twitter segnala: «Non escludo che la ridicola normativa sui sacchetti biodegradabili sia un assist del governo alla Gdo per spingere la verdura già confezionata e soprattutto la temibile quarta gamma (insalate già lavate etc), sul cui prezzo il ricarico è enormemente superiore che sullo sfuso».

Insomma: la classe dirigente del Pd conferma per l’ennesima volta di avere una sensibilità assai lontana da quella della gente comune, e di conoscere poco o niente i bisogni di chi ogni giorno fa la spesa. E, per l’ennesima volta, i vantaggi di questa “piccola rivoluzione” potrebbero finire in gran parte nelle tasche dei giganti che già spadroneggiano nella catena agroalimentare. Quelli che, di questi centesimi, ne avrebbero davvero meno bisogno.

da: left.it

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