Collaboratore di Emergency morto in uno scontro a fuoco

Samiullah era un ragazzo, aveva una voce, un odore, un carattere, una famiglia, un motorino. Samiullah io l’ho conosciuto. Era uno di quelli che mandava avanti un ospedale. Lui, come altri, erano e sono lì, notte e giorno. E non hanno una missione che finisce con un biglietto di ritorno in patria. Lui, in quel posto sbagliato, c’era nato e ci viveva.

 

SAMIULLAH, UN NOSTRO COLLEGA, È MORTO IN UNO SCONTRO A FUOCO

“L’ho conosciuto nel 2011, quando ero in prima missione a Lashkar-gah e lui era infermiere di Pronto soccorso. Era un ragazzino all’epoca, poco più adesso. Quasi tutti noi espatriati lo chiamiamo “Sami”.
Iperattivo, ridanciano, quando sarebbe bene tacere lui diceva sempre una parola in più, spesso di troppo. Quando non sarebbe prudente far domande lui ne aveva sempre da fare.

Uno di quelli che non stava seduto un momento, girava sempre, che ogni tanto andava ridimensionato. Che però quando non c’era in turno ti chiedevi come mai non ci fosse. Gestiva, anticipava, chiedeva, aveva fame di imparare. Ci vorrebbe una mezz’ora di Samiullah al giorno.

Nel corso delle mie missioni a Lashkar-gah ho fatto con lui decine di corsi, lezioni, esercitazioni, esami, sull’emergenza, sul trauma, sulla rianimazione. Sempre lì, Sami, a imparare e ribattere, a fidarsi e allo stesso tempo metterti alla prova (la pazienza soprattutto). Non ti faceva finire le frasi perché diceva di saperne già un po’. Alle esercitazioni era lui che voleva spiegare ai suoi colleghi perchè “ha già capito”.

Negli anni s’è sposato (chi? Samiullah? Ma pensa…) e ha fatto due figli. Gli è caduto un dente di sotto che non ha mai rimesso, s’è ingrassato un po’ (ahi, il matrimonio), si è comprato un motorino e un orologio giallo brillante che lui giurava esser d’oro (ma va là, Samiullah…).

Quante volte l’abbiamo chiamato in ufficio, col piglio di chi convoca qualcuno che l’ha fatta grossa, “adesso gli diamo un avvertimento, bisogna che capisca”. Poi, quando usciva, io e la Medical Coordinator scoppiavamo a ridere. Come facevi ad arrabbiarti con Samiullah?

L’ultima volta prima di ripartire mi ha regalato un vestito tipico di Lashkar-gah, rosa confetto. Casacca e pantaloni afgani. Rosa confetto? Vabbe’, grazie Sami. Alla prossima, e fai il bravo.

La telefonata di oggi, quella vissuta nei miei peggiori incubi, quella che finora hai solo immaginato potesse arrivare ma che hai sempre sperato non arrivasse mai, stamattina prima di pranzo. Nella mia bella casa nella campagna marchigiana, dopo una notte passata nel mio bell’ospedale italiano. Era Simon, il logista di Lashkar-gah.
“Robi, sono Simon. So quanto tieni ai ragazzi e non volevo lo sapessi per altri canali. Samiullah oggi era di riposo, andava a un matrimonio, s’è trovato nel mezzo di un conflitto a fuoco nei pressi di Shoraki, alle porte di Lashkar-gah. L’hanno ammazzato”.

Sudore freddo, tenaglia alla gola. Samiullah.

Samiullah era un ragazzo, aveva una voce, un odore, un carattere, una famiglia, un motorino.
Samiullah io l’ho conosciuto. Era uno di quelli che mandava avanti un ospedale. Lui, come altri, erano e sono lì, notte e giorno. E non hanno una missione che finisce con un biglietto di ritorno in patria. Lui, in quel posto sbagliato, c’era nato e ci viveva.

E oggi ci è morto, dopo averne visti morire migliaia tentando di curarli.

Vi prego. Quelli che “rimpatriamoli tutti”, “l’Afghanistan non è più un Paese in guerra”, “la missione militare va rifinanziata”…
Vi prego. Diamoci un minuto per pensare.
Ciao Sami. Anzi Samiullah.
Stasera abbraccio quel vestito rosa confetto, spero che l’abbraccio arrivi anche a te, amico mio”.

Samiullah, un nostro collega infermiere nell’ospedale di Lashkar-gah, è stato ucciso sabato scorso in uno scontro a fuoco. Si è ritrovato coinvolto in una sparatoria mentre andava a un matrimonio.
Non era un soldato, non era un combattente: era un uomo di poco più di 30 anni che stava andando a festeggiare le nozze di amici. La guerra è esattamente questo: morte di civili innocenti, prima di tutto.

Samiullah lavorava con Emergency da 9 anni, con l’orgoglio di aiutare ogni giorno, concretamente, il suo popolo. Siamo vicini alla sua famiglia e a tutti i nostri colleghi che continuano a lavorare all’ospedale di Lashkar-gah. Abbiamo voluto ricorarlo con le parole di Roberto, un infermiere che gli ha voluto bene.

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