“I giudici al servizio della finanza. L’inaccettabile condanna di Lula”

Le prove ancora non si sono trovate. João Pedro Gebran Neto, relatore del caso e primo dei tre giudici a votare, ha ribadito in sostanza quanto affermato dal giudice di primo grado Moro: l’accusa è quella di corruzione “passiva” e riciclaggio di danaro. “Non siamo riusciti a provare che Lula sia colpevole, ma neppure che sia innocente”, queste le parole di Gebran Neto.

 

I giudici al servizio della finanza. L’inaccettabile condanna di Lula e la rabbia del suo popolo

Non vi sono prove. Come non ve n’erano per il primo grado.

Lula viene condannato in secondo grado a dodici anni di prigione più un mese ai domiciliari: la pena è addirittura aumentata rispetto ai nove anni che erano stati decisi in primo grado.

Ma le prove ancora non si sono trovate. João Pedro Gebran Neto, relatore del caso e primo dei tre giudici a votare, ha ribadito in sostanza quanto affermato dal giudice di primo grado Moro: l’accusa è quella di corruzione “passiva” e riciclaggio di danaro. “Non siamo riusciti a provare che Lula sia colpevole, ma neppure che sia innocente”, queste le parole di Gebran Neto.

Lula avrebbe commesso il reato perché non avrebbe potuto far diversamente dato il ruolo che ricopriva all’epoca dei fatti, ovvero il Presidente della Repubblica.

Neto ha riaffermato la decisione di Moro, dicendo senza vergogna che il verdetto nei confronti di Lula si basa su una serie di accuse la cui veridicità è possibile ma mai provata. Tali accuse bastano però ai giudici per decidere, tre su tre, di spedire in carcere l’ex presidente del Brasile, l’inasprimento della pena e – verosimilmente ciò a cui puntavano – l’impresentabilità di Lula alle elezioni di quest’anno in Brasile, che lo vedono vincitore con un largo scarto.

Della stessa solfa l’intervento degli altri due relatori, che ci hanno tenuto anche a ringraziare il giudice Moro per il lavoro svolto precedentemente per questa causa e a chiedere invece la diminuzione della pena per Léo Pinheiro, per aver collaborato con la giustizia. Per chi non lo sapesse, Pinheiro è l’ex presidente dell’impresa di costruzioni OAS, intestataria dell’immobile per il quale si sta accusando Lula, e già coinvolta nel caso “Lava Jato” (assieme alla Petrobras). Pinheiro era stato condannato a 16 anni di prigione nell’agosto del 2015 per riciclaggio di denaro, corruzione e attività criminale. Nel 2016 ha rilasciato delle deposizioni al Ministero Pubblico Federale e da allora le sue parole sono l’unica fonte di accusa nei confronti di Lula.

Quindi: non viene accettato un contraddittorio, non esiste una sola prova che dia credibilità alle accuse di Léo Pinheiro, eppure la magistratura ha costruito l’intero procedimento sulla base di queste dichiarazioni.

Proprio oggi, 25 gennaio, Lula avrebbe dovuto rendere ufficiale la sua candidatura alle prossime presidenziali: queste accuse risuonano perciò più che come un avvertimento come una vera e propria guerra che l’establisment di sempre, magistratura-imprese-media, gli ha dichiarato già alla fine degli anni Novanta. Basterebbe conoscere la storia politica di Luis Ignacio Lula da Silva per sapere quanto i tre poteri legati alla ricchezza liberista brasiliana (collegata a doppia mandata agli USA) abbiano tentato, fin dagli inizi, di bloccare l’ascesa politica di Lula.

In attesa del giudizio di ieri centinaia di migliaia di brasiliane e brasiliani si sono riversati nelle piazze e nelle strade del Paese, in difesa dell’amato ex presidente che vorrebbero rivotare quest’anno.
A seguito del verdetto sono cominciati gli scontri, che hanno causato durante la notte i primi feriti e arresti da parte della polizia. In particolare, 26 giovani tutti militanti di movimenti popolari (MTST o Levante Popular do Juventude) sono stati arrestati dal Dipartimento militare di Porto Alegre, dove stavano manifestando contro quel che sembra un vero e proprio colpo di Stato, l’ennesimo ai danni di Lula, l’ennesimo che colpisce il diritto di autodeterminazione del popolo brasiliano, che manifesta in maniera reiterata dal golpe parlamentare che ha destituito la legittima presidente del Governo, Dilma Rousseff.

I movimenti denunciano che vi è nel Paese una volontaria criminalizzazione di tutta la sinistra brasiliana da parte della polizia, del Governo, della Magistratura, che produce continui arresti e aggressioni durante le manifestazioni e i cortei. Riteniamo doveroso ricordare che proprio questi movimenti popolari, negli anni della presidenza Lula, non sempre furono teneri rispetto ad errori del governo peteista dell’ex presidente, ma non per questo adesso rinunciano ad unirsi in una unica lotta contro il pericolo non più remoto di un’altra lunghissima e tetra epoca dittatoriale.

Le mobilitazioni sono ancora in corso e c’è motivo di credere che non si fermeranno.

Le vicende che vi raccontiamo, le immagini che prendono forma dinnanzi ai nostri occhi non sono mere notizie che meritano di esser passate oltre e dimenticate come ordinaria amministrazione in America Latina: sono la prova tangibile di come sia in corso un secondo Plan Cóndor che non necessita i carri armati, ma si serve dei mezzi legali della giustizia e del Governo, sotto gli occhi bendati di un mondo al quale fare affari coi neoliberisti brasiliani conviene.

Un mondo in cui gli USA dettano l’agenda degli attacchi liberisti e i mezzi per attuarli, un mondo in cui l’1% per cento deve continuare a detenere la ricchezza della maggior parte degli esseri umani, in cui la vita vale meno di niente.

L’attacco a Lula, come lui stesso ha affermato, non è solo a un uomo ma anche a un popolo. Noi aggiungiamo che è un attacco al tentativo di installare una ipotesi di socialismo, dove l’economia deve piegarsi al benessere del popolo e non il contrario.

“Voglio che sappiano che non sono preoccupato, essi non possono prendere un sogno di libertà, idea, speranza. Lula è solo un uomo di carne e ossa. Possono prendersi Lula, ma le idee sono già collocate nella testa dei brasiliani”: così ha concluso il suo discorso l’ex presidente di Pernambuco, il sindacalista povero, il primo socialista alla guida del Brasile.

In attesa del prossimo giudizio, Lula ha comunque deciso di candidarsi.

Il Partito Comunista Italiano riafferma il suo giudizio di condanna per quanto determinato dalle decisioni dei giudici brasiliani e il totale e netto appoggio al compagno Lula, ai compagni del PCdoB e a tutti i movimenti che sostengono l’ex presidente brasiliano.

Lotteremo anche noi con i compagni brasiliani, affinché quel sogno possa rivivere ancora.

Noi stiamo con LULA!

Giusi Greta Di Cristina (CC PCI, responsabile nazionale Dipartimento Esteri per i rapporti con l’America Latina)

da: www.lantidiplomatico.it

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