Seconda udienza processo a Rosalba di Vigilanza Democratica

Il 21 febbraio ’18 presso il Tribunale di Milano (giudice Paola Maria Braggion) si è tenuta la seconda udienza del processo con Rosalba della Redazione di Vigilanza Democratica. L’agente Vladimiro Rulli (ex VII Reparto Mobile di Bologna) questa volta non si è presentato all’udienza. L’avvocato difensore ha depositato, in corso d’udienza, tre sentenze di condanna su abusi di polizia (due delle quali a carico di poliziotti del VII Reparto Mobile di Bologna).

 

 

SECONDA UDIENZA DEL PROCESSO CONTRO ROSALBA DI VIGILANZA DEMOCRATICA:

GLI ABUSI DI POLIZIA E IL VII REPARTO MOBILE

PORTATI IN AULA DAI TESTIMONI E DALL’IMPUTATA!

 

[leggi sul sito]

Il 21 febbraio ’18 presso il Tribunale di Milano (giudice Paola Maria Braggion) si è tenuta la seconda udienza del processo con Rosalba della Redazione di Vigilanza Democratica.

L’agente Vladimiro Rulli (ex VII Reparto Mobile di Bologna) questa volta non si è presentato all’udienza.

 

Sono stati ascoltati i quattro testimoni della difesa:

– due compagni del Partito dei CARC e di Vigilanza Democratica,

– Enrico Zucca, uno dei PM che condussero le inchieste scaturite dal G8 di Genova nel 2001 a cui anche il VII Reparto mobile partecipò come forza di polizia in piazza,

– Salvatore Palidda, professore ordinario di sociologia presso l’Università di Genova, autore di vari saggi sull’operato delle Forze dell’Ordine tra cui “Polizia Postmoderna. Per una etnografia del nuovo controllo sociale”.

 

L’avvocato difensore ha depositato, in corso d’udienza, tre sentenze di condanna su abusi di polizia (due delle quali a carico di poliziotti del VII Reparto Mobile di Bologna), il dossier di Copwatching per documentare l’attività svolta da Vigilanza Democratica, la dichiarazione di solidarietà con Rosalba dell’avvocato Gianluca Vitale e l’articolo de il Manifesto del 10 maggio ’14 “Il SAP più che un sindacato una macchina del consenso” a firma di Federica Dago sui legami tra VII Reparto Mobile e Uno Bianca.

 

La compagna Rosalba ha letto una dichiarazione spontanea, che riportiamo in appendice, al seguito della quale i numerosi compagni presenti in aula (che indossavano tutti una maglietta con la scritta “Io sto con chi applica la Costituzione”) l’hanno applaudita, provocando l’irritazione del giudice che ha fatto sgombrare immediatamente l’aula.

Il giudice, su richiesta del PM Valentina Pistone (che ha molto insistito per ottenere un rinvio “per avere il tempo di studiare gli atti depositati” dall’avvocato della difesa, Benedetto Ciccarone, e da quello di parte civile, avvocato Carella), ha rinviato la conclusione del procedimento all’udienza del 30 marzo prossimo alle h. 13:00.

I compagni espulsi dall’aula hanno atteso la fine dell’udienza e poi, improvvisando un corteo dentro i corridoi del Tribunale, hanno raggiunto quanti erano rimasti in presidio all’esterno di esso.

 

Nei prossimi giorni seguirà un resoconto pubblico dettagliato dell’udienza.

 

Ringraziamo però già da ora Palidda e Zucca per aver reso in aula delle testimonianze che, come racconteremo, sono state particolarmente preziose.

Ringraziamo anche tutti coloro che in vari modi hanno finora espresso solidarietà a Rosalba; quanti hanno voluto essere presenti al presidio di oggi e tutte/i le/i compagne/i, organismi e associazioni che in solidarietà a Vigilanza Democratica stanno promuovendo iniziative in tutta Italia, iniziative che siamo convinti si protrarranno fino all’udienza conclusiva.

 

***

 

DICHIARAZIONE SPONTANEA DI ROSALBA

 

Milano, 21.02.2018

 

Signor giudice,

oggi in questa aula lei è chiamata a pronunciarsi sul fatto che io abbia diffamato o meno l’agente del VII Reparto Mobile di Bologna Vladimiro Rulli tramite l’appello pubblicato sul sito Vigilanza Democratica dal titolo “Cosa deve ancora accadere perché il VII Reparto mobile di Bologna venga smantellato?” e questo sostanzialmente perché io sono l’intestataria del sito.

Accettare anche solo di intestarsi un sito online che porti avanti un lavoro coerente di approfondimento e inchiesta su tematiche particolarmente scomode come può essere quello degli abusi di polizia, vuol dire esporsi comunque ad un rischio “di ritorsioni” e io di questo rischio sono stata sempre perfettamente consapevole.

Io non ho né scritto né pubblicato l’Appello incriminato. Oggi mi piacerebbe molto assumermi tutto il merito del lavoro che negli anni Vigilanza Democratica ha portato avanti, perché penso sia stato un lavoro importante.

Ma farlo equivarrebbe a dire il falso e soprattutto a sminuire, fare un torto alla forza potente del collettivo. Vorrebbe dire rinnegare un principio che è alla base di quei movimenti popolari, di massa che sono arrivati a incidere, a determinare cambiamenti significativi nella società civile, a dispetto di certi poteri forti, di certi ingranaggi che in alcuni momenti sembrano impossibili da scalfire.

Dove non arriviamo da soli, arriviamo insieme, forti delle differenze che si trasformano in ricchezza.

Quella che chiamiamo Redazione di Vigilanza Democratica è in realtà un insieme composito di persone, dotate di sensibilità e capacità molto diverse, che hanno operato talvolta indipendentemente le une dalle altre, a partire anche da differenti realtà territoriali.

Vigilanza Democratica è stato il contenitore che ha permesso di veicolare un lavoro ampio di denuncia, di controinformazione, di dossieraggio, di promozione di campagne, di iniziative che seppur legate a episodi specifici e diversi tra loro, con il tempo ha assunto sempre più chiaramente un comun denominatore: l’esigenza di porre un argine all’arbitrio e all’impunità delle FdO con la richiesta dell’adozione del codice identificativo e del reato di tortura all’interno del nostro ordinamento giuridico e anche attraverso il sostegno e la promozione, in assenza di leggi adeguate, di forme di autorganizzazione popolare che come il copwatching permettono di documentare, far emergere episodi a cui poi possiamo almeno attribuire il nome che meritano, ovvero quello di “abuso di polizia”.

Il lavoro di ricerca e di denuncia di Vigilanza Democratica è stato sempre condotto a più mani e su più fonti (articoli di giornali, atti giudiziari, saggi). E tra le fonti non è stato infrequente nemmeno l’utilizzo di materiale interno alle stesse Forze di Polizia (attraversate com’è immaginabile da forti contraddizioni interne).

Nel lavoro di ricerca condotto, ci si è trovati più volte di fronte a notizie che ci hanno imposto di focalizzare l’attenzione sul VII Reparto Mobile di Bologna.

Noi di Vigilanza abbiamo solo ricostruito il quadro, ma i pezzi che narrano della lunga sequela di abusi di cui questo Reparto si è reso responsabile nel corso del tempo, delle protezioni ad alto livello di cui evidentemente gode, sono stati altri a fornirceli, ce li hanno forniti le “gesta” che loro stessi non sono riusciti a coprire.

“Cosa altro deve accadere perché il VII Reparto mobile di Bologna venga smantellato?”, chiedeva la Redazione di Vigilanza Democratica anni addietro.

Di sentenze e ricostruzioni discutibili sull’uso della forza fatto dal VII Reparto mobile di Bologna, continuano ad essercene. Allego a questa l’articolo del Corriere di Bologna del 23 settembre 2017: Bologna, braccio rotto dalla manganellata: il pm archivia l’inchiesta, ma Làbas non ci sta”.

Di particolari che legano il VII Reparto mobile a pagine ancora oscure della nostra storia (vedi Uno Bianca), ne sono usciti sulla stessa stampa nazionale. Vedi articolo (allegato) de Il Manifesto del 10 maggio 2014, a firma di Federica Dago, dal titolo “Il Sap, più che un sindacato una macchina del consenso”.

Nell’articolo oggi incriminato Vigilanza Democratica lanciava l’invito ad alcuni esponenti/organismi, sicuramente più rappresentativi di quella Redazione, a presentare un’esposto alla Magistratura sulle vicende del VII Reparto Mobile. Questo esposto non è mai stato presentato, ma io credo che oggi questo passaggio “formale” sia da considerarsi addirittura superato.

Appelli come quello di Vigilanza Democratica sono di per sé degli esposti e chi ha realmente interesse a difendere quanto resta della democrazia, della libertà di critica, dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione, tanto più se investito di una carica pubblica, non può non prenderli in esame nella loro interezza, contesto ed essenza, riducendoli al contrario a strumenti di ritorsione e dissuasione contro chi non accetta di nascondere la polvere sotto il tappeto, contro chi non accetta la comoda teoria delle singole “mele marce”, ma cerca invece di far emergere il sistema di connivenze, omertà e impunità che tanti singoli fatti, messi insieme, purtroppo rivelano.

La democrazia vive di un paradosso, che ci piaccia oppure no: deve garantire le forme di dissenso e deve garantire diritti anche e soprattutto, a chi “appare” molto diverso da noi, sia esso un tossicodipendente, una persona portatrice di un disagio mentale, finanche un cosidetto “terrorista”. Quando chi impugna un’arma e una divisa si erge a giustiziere di chi non riconosce simile a sé e quindi decide che quel soggetto è meritevole di “punizioni esemplari” ogni arbitrio diviene possibile. Se poi l’arbitrio viene condotto da elementi in reparti (o squadrette) che possono agire contando sull’impunità e sulle coperture di superiori e istituzioni allora ogni crimine e illegalità è possibile (vessazioni, tortura, uccisioni). Se il crimine viene poi trasformato in atto eroico da personaggi pubblici che su questo costruiscono la loro carriera garantiti da una certa politica (vedi Gianni Tonelli, in carico al VII Reparto Mobile di Bologna, oggi candidato con la Lega di Salvini, che nel congresso nazionale del Sap da lui presieduto nel 2014 dedicò un’ovazione ai poliziotti che uccisero Federico Aldovrandi); se poi è lo stesso Stato che quando pure arriva ad ammettere l’esistenza di un “cortocircuito”, non va fino in fondo e assegna promozioni invece di punizioni a chi dei suoi “servitori” si è reso autore, quando non mandante di gravi crimini, cosa resta allora della cosiddetta democrazia, dei diritti sanciti dalla Costituzione antifascista? A chi il dovere/diritto di tutelarla? Senza un controllo sui controllori, quanto diviene labile il confine che separa l’esigenza di sicurezza dalle spinte all’eversione?

A conclusione vorrei dire a Vladimiro Rulli che chi ha leso in realtà la sua immagine non sono stata certo io, ma i celerini che quel giorno hanno massacrato Scaroni, riducendolo in fin di vita e che sono andati assolti solo grazie a un fazzoletto che ne mascherava il volto, impedendo un’identificazione certa, e a un filmato manomesso.

Ci sono stati poliziotti che nel tempo con coraggio si sono esposti, che non hanno accettato di coprire abusi compiuti da loro colleghi o di compierne a loro volta e che per questo sovente hanno pagato con l’isolamento all’interno delle stesse FdO. Anche di loro la Redazione di Vigilanza Democratica ha parlato, anche a loro si è rivolta, raccogliendo spesso anche la solidarietà.

 

Rosalba Romano

Sito: www.carc.it

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