Ecco da chi è composta l’opposizione venezuelana!

I media occidentali omettono di dire che la fantomatica opposizione al governo Maduro è composta da Ong, estrema destra, ex sinistra “frastornata”, ex ministri in cerca di gloria, e Fedecamara, equivalente della Confindustria. Insomma, un calderone che richiama agglomerati di segno opposto, il Frente Amplio. Un Fronte Ampio per sconfiggere “la dittatura”, prima durante e dopo il previsto voto del 20 maggio.

 

 

Tutto quello che devi sapere sulla fantomatica “opposizione venezuelana” (e che i media omettono)

di Geraldina Colotti, Caracas

Ong, estrema destra, ex sinistra “frastornata”, ex ministri in cerca di gloria, e Fedecamara, equivalente della Confindustria. Eccola l’opposizione venezuelana, riunita in un calderone che richiama agglomerati di segno opposto, il Frente Amplio. Un Fronte Ampio per sconfiggere “la dittatura”, prima durante e dopo il previsto voto del 20 maggio. L’8 marzo, figuri impresentabili, truffatori fuggiti all’estero e signore spaventate dalla durezza della lotta di lasse, si sono riuniti in un teatro di Caracas, o si sono manifestati attraverso video inviati da fuori. E’ l’ultima trovata dell’opposizione per far fronte al fallimento della precedente coalizione Mud, squassata da pruriti golpisti e piani di rivincita.

L’unica cosa su cui si ritrovano le destre venezuelane e i loro raccogliticci sodali è l’inaffidabilità. Per quanti errori si possano attribuire al chavismo, non potranno mai uguagliare il livello di cialtroneria raggiunto da queste compagini e dagli individui che le compongono: a partire da quel cosiddetto “chavismo critico” che trova normale raggiungere una “intesa minima” con i valletti di Trump e non con il partito e il movimento di cui ha fatto parte e ha partire dal quale ha potuto pavoneggiarsi in seguito.

Dopo aver impegnato il governo in defatiganti trattative nella Repubblica Dominicana per raggiungere un “accordo di convivenza”, al primo fischio di Trump, Borges e i suoi hanno rinunciato a firmarlo, senza un minimo di vergogna. E hanno ripreso a girare il mondo per chiedere l’invasione militare del Venezuela. Perché in un paese che prevede strutture sancite dalla costituzione, anziché a una normale dialettica democratica, anche accesa, si deve ricorrere alle bombe e a conseguenti e grotteschi trattati come in uno stato di guerra? Un paradosso che non inquieta la cosiddetta “comunità internazionale” impegnata a piegare le regole in base alle mire del gendarme nordamericano.

E così, benché non ne abbia legalmente facoltà, il Perù del banchiere Kuczynski vuole impedire a Maduro l’ingresso al Vertice delle Americhe, che si svolgerà a Lima il 13 e 14 aprile. Dopo aver esasperato al massimo le fragilità strutturali dell’economia venezuelana fidando sulle sanzioni decise da Stati uniti ed Europa, il campo dei poteri forti a cui risponde l’opposizione, ora propone la sua “ricetta”: dollarizzare l’economia, privatizzare beni e servizi, tornare insomma alla “democrazia rappresentativa” della IV Repubblica, che quella
“partecipativa e protagonista” guidata da Chavez ha voluto mandare in soffitta.

E’ il programma di Henry Falcon, ex governatore dello stato Lara, ex chavista, volto presentabile delle destre venezuelane che però non raccoglie il consenso delle frange trumpiste: che invitano al boicottaggio e si lanciano nell’avventura del “fronte ampio”. Un’avventura che rischia di riattizzare le proteste violente e nuovi piani destabilizzanti per restaurare il capitalismo in Venezuela. L’agenda prevede di non riconoscere i risultati elettorali del 20 di maggio, quando si svolgeranno elezioni presidenziali, legislative e municipali. Lunedi 12 viene indetta una marcia che terminerà alla sede dell’Onu, a cui sia Falcon che il governo hanno chiesto di inviare osservatori per il voto del 20 maggio. Per sabato 17 marzo, il nuovo cartello chiama a una “protesta nazionale e mondiale” per rifiutare l’Assemblea nazionale costituente, operativa dal 30 luglio, per chiedere “l’aiuto internazionale”, il riconoscimento del parlamento venezuelano (governato dalle destre e considerato “in ribellione”) e per esigere “elezioni libere prima del 10 gennaio 2019”.

Per venire incontro alle schizofreniche richieste dell’opposizione – che prima chiede un’Assemblea nazionale costituente, poi la rifiuta, prima chiede di anticipare le elezioni, poi di rinviarle – Maduro ha posticipato le elezioni, inizialmente fissate per il 22 aprile e ha accettato alcune richieste delle destre. Tuttavia, ancora una volta, gli impegni sono stati disattesi. Una fonte diretta ci ha raccontato delle pressioni esercitate dall’ambasciata Usa su Falcon per farlo rinunciare alla candidatura. L’ex governatore del Lara, che conta sull’appoggio di importanti settori vaticani, intende invece approfittare dell’occasione e promette di fare il pieno di voti. Lo appoggiano tre partiti, Avanzada Progresista, Movimento al Socialismo (Mas) e il Comité de Organizacion Politica Electoral Independiente (Copei).

I candidati che sfidano Maduro sono in tutto 5: tre proposti da partiti politici, uno che si autocandida e un altro appoggiato da un gruppo di elettori. Si tratta di Reinaldo Quijada, che corre per l’organizzazione Unidad Politica Popular 89 (UPP89); Henry Falcon. Vi sono poi il pastore evangelico Javier Bertucci, appoggiato dal gruppo di elettori Esperanza por el Cambio e Alejandro Ratti, che si è autocandidato. Il 13e il 14 marzo potranno iscriversi nella pagina web del Cne, che in seguito dovrà formalizzare le candidature prima presso la Junta Municipal Electoral e poi davanti la Junta Estadal.

da: www.lantidiplomatico.it

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