“Il socialismo arabo doveva sparire”

Il socialismo arabo si è rivelato un modello vincente ovunque è stato applicato. I paesi che lo hanno adottato hanno sempre sperimentato un sviluppo tale da permettere agli stessi di emanciparsi dalle potenze occidentali, e forse proprio per tale ragione sono stati vittime di grandi conflitti. Vediamo di capire cos’è il socialismo arabo e perché da tanto fastidio.

 

Il socialismo arabo doveva sparire

Di Sara Brunetti – 11/03/2018

Il socialismo arabo si è rivelato un modello vincente ovunque è stato applicato. I paesi che lo hanno adottato hanno sempre sperimentato un sviluppo tale da permettere agli stessi di emanciparsi dalle potenze occidentali, e forse proprio per tale ragione sono stati vittime di grandi conflitti. Vediamo di capire cos’è il socialismo arabo e perché da tanto fastidio.

Con il termine socialismo arabo intendiamo la fusione del panarabismo e del nazionalismo arabo, alle idee socialiste. Tale ideologia può a tutti gli effetti essere considerata come una risposta che leader e intellettuali arabi hanno trovato per uscire dalla condizione di povertà e di privata identità in cui il mondo arabo si è trovato con la fine della prima guerra mondiale, dunque con gli accordi di Sykes-Picot e con il collasso dell’impero ottomano.

Due sono i punti centrali di questo nuovo indirizzo. Il primo consiste nell’incremento della presenza dello Stato nell’economia, attraverso le nazionalizzazioni delle grandi compagnie presenti nel territorio nazionale e spesso di proprietà straniera, le quali operando nei redditizi settori che coinvolgono le materie prime, una volta nazionalizzate hanno garantito ingenti profitti allo Stato, ricchezze che sono state redistribuite alla popolazione seguendo l’ideale socialista. Il secondo aspetto consiste nell’ottenimento della maggiore indipendenza possibile dalle potenze occidentali, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche da quello militare attraverso l’espulsione delle basi straniere e la rimozione di qualsiasi accordo che leda la sovranità statale, in accordo con i principi del nazionalismo. Il socialismo arabo nella sua concreta applicazione istituzionale si è espresso, nel secondo dopoguerra, diviso in due principali filoni: il Ba’thismo e il Nasserismo. Il primo nacque ufficialmente nel 1940 a Damasco in Siria, ispirandosi al giacobinismo rivoluzionario francese, con il motto: “unità, libertà e socialismo”. Questo si basò sulle teorie di Zaki al-Arsuzi, Michel Aflaq e Salah al-Din al-Bitar ovvero sulla volontà di costruire una rinascita araba simile a quella che in Europa si ebbe con il Rinascimento e con l’Illuminismo. Secondo tale teoria i paesi arabi dovevano trasformare la società dotandola di uno Stato laico (posto che tra i suoi sostenitori vi erano inevitabilmente musulmani e cristiani di lingua araba) ma non ateo, tollerante rispetto ad ogni religione e portatore di politiche economiche socialiste. A differenza del marxismo la proprietà privata doveva essere tollerata, il fine non era l’uguaglianza economica ma il progresso economico e sociale. Oltretutto il movimento Ba’thista identificava come nemico da abbattere qualsiasi forma di fondamentalismo islamico. Trovò espressione politica nel partito Ba’th, scisso in due correnti, quella siriana che ebbe come suo leader il Presidente della Siria Hafez al-Assad dal 1971, tutt’ora presente sotto la guida del figlio Bashar al-Assad, e quella irachena che identificava come suo leader, sin dal 1979, il Presidente dell’Iraq Saddam Hussein. Quest’ultimo costruì un sistema dittatoriale, considerato di destra, basato sul controllo ferreo del territorio attraverso il rafforzamento dell’apparato militare e sulla repressione delle minoranze etniche come gli sciiti e i curdi. Assad invece costruì un modello di Stato dove al partito Bat’h era affidato un ruolo di guida nella società, il presidente della repubblica corrispondeva con il segretario del partito dominante e il suo mandato era confermato con un referendum a suffragio universale, inoltre il presidente doveva promulgare le leggi approvate dal consiglio del popolo. Per tutte queste ragioni il partito di Assad a differenza di quello di Hussein era considerato di sinistra. In ogni caso entrambi adottarono come primi provvedimenti l’abolizione della sharia e l’adozione di un sistema legislativo di tipo occidentale. La seconda declinazione del socialismo arabo è invece identificabile nel “nasserismo”, termine nato dal nome del leader egiziano Gamal Ab del-Nasser, presidente dell’Egitto dal 1956 al 1970. In accordo con i principi sopra descritti, Nasser agì nel tentativo di attuare alleanze tra paesi arabi, infatti dal 1 febbraio del 1958 fino al 1961, per sua iniziativa, furono federate nella RAU (Repubblica Araba Unita) l’Egitto e la Siria. Il presidente egiziano fu anche un alfiere dell’interventismo statale, basti pensare che la nazionalizzazione del Canale di Suez , precedentemente posseduto da compagnie francesi e inglesi, operata nel 26 luglio del 1956, ebbe effetti talmente dirompenti da far esplodere la Crisi di Suez. Furono oltretutto nazionalizzate le grandi imprese operanti in settori strategici e le banche, la proprietà terriera fu frammentata e i grandi patrimoni privati furono espropriati. Con i proventi derivanti da tali politiche Nasser introdusse uno stato sociale comprensivo di assistenza sanitaria e istruzione gratuita, affiancato da riforme che rafforzavano i diritti delle donne, stabilivano un salario minimo e la riduzione dell’orario di lavoro. Nonostante l’Egitto abbia trovato più volte nell’Unione Sovietica un alleato geopolitico, nell’idea di socialismo nasseriana il comunismo venne messo al bando in quanto il materialismo e l’ateismo propri di questa ideologia erano considerati incompatibili con le tradizioni e le basi religiose della società araba. Il nasserismo proprio come il baathismo condannava il sionismo , considerato come un estensione del colonialismo occidentale nei territori arabi. Elemento innovativo del nasserismo fu la “Teoria dei tre cerchi” elaborata nel 1954, nella quale il leader egiziano identificava come missione dell’Egitto la costruzione di una teoria economica e sociale frutto della sintesi tra i “tre cerchi”  ovvero arabismo, africanismo e islamismo che garantisse la non prevalenza di nessuno dei tre.

Anche il leader libico Mu’ammar Gheddafi tentò di costruire ed applicare in Libia un modello simile, ma con due elementi di distacco. Il primo era rappresentato dal rifiuto della laicità come principio base dello Stato, in quanto la teoria gheddafiana nasce da una reinterpretazione del corano in senso socialista. La seconda sostanziale differenza, almeno fino agli anni duemila, era che Gheddafi ridusse ai minimi termini l’iniziativa privata nell’economia, ciò era legato al fatto che la tradizione beduina, posta a fondamento delle teorie di Gheddafi, si caratterizzava dalla preferenza per la comunione dei beni. Il socialismo arabo si è rivelato un modello vincente ovunque è stato applicato. I paesi che lo hanno adottato hanno sempre sperimentato un sviluppo tale da permettere agli stessi di emanciparsi dalle potenze occidentali, e forse proprio per tale ragione sono stati vittime di grandi conflitti. È evidente che gli stati arabi impostati su laicismo e socialismo a qualcuno non vanno bene. Quello siriano rimane oggi l’unico governo socialista arabo sopravvissuto alla storia. Fino a qualche anno fa la Siria era un perfetto esempio di integrazione, armonia e sviluppo tra le diverse confessioni religiose e culturali, oggi è invece devastata dal più tragico conflitto del terzo millennio.

da: www.ilmediterraneo.org

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