Fucili o murales: il dilemma del popolo Sarhawi

“Fucili o murales” è il titolo del documentario che documenta la lotta nonviolenta del popolo Sarhawi contro il Marocco occupante. I Sarhawi, popolazione sconosciuta ai più, vivono nel Sahara Occidentale, ex colonia spagnola che negli anni ’70, quando gli spagnoli se ne andarono, è stata illegalmente invasa dal Marocco e dalla Mauritania, ingolositi dalle risorse presenti nel territorio, tra cui una delle più grandi miniere di fosfati del mondo.

 

Fucili o murales: il dilemma del popolo Sarhawi

Fucili o murales: il dilemma del popolo Sarhawi

 

Fucili o murales” è il titolo del documentario che è stato proiettato questa sera presso l’Auditorium “Stefano Cerri” di Milano, e che documenta la lotta nonviolenta del popolo Sarhawi contro il Marocco occupante. I Sarhawi, popolazione sconosciuta ai più, vivono nel Sahara Occidentale, ex colonia spagnola che negli anni ’70, quando gli spagnoli se ne andarono, è stata illegalmente invasa dal Marocco e dalla Mauritania, ingolositi dalle risorse presenti nel territorio, tra cui una delle più grandi miniere di fosfati del mondo. Ne è seguita una lotta sanguinosa che è riuscita a scacciare l’esercito di occupazione della Mauritania, ma non quello del Marocco. Da allora i Sarhawi tentano di liberarsi dall’oppressione del governo marocchino attraverso forme di lotta nonviolenta, tentando di denunciare la sistematica violazione dei diritti umani operata dagli occupanti.

Denuncia quanto mai difficile, dato che le forze dell’ordine marocchine reprimono brutalmente qualunque tentativo di protesta e cercano in tutti i modi di impedire che escano informazioni su ciò che davvero avviene in quei territori.

Jordi Oriola, il regista catalano che ha realizzato il documentario, lo ha fatto rischiando sulla propria pelle l’arresto e l’espulsione. Il risultato è un documento che racconta la storia di un popolo martoriato e diviso: mezzo milione di persone che vivono in parte presso i campi profughi algerini, parcheggiati lì da decenni e sostentati dagli aiuti umanitari che consentono all’occidente di lavarsi la coscienza e dimenticarsi di loro, e in parte nei territori occupati dal Marocco, perseguitati e abusati dagli occupanti. Racconta anche di un popolo stanco di vivere in queste condizioni, stanco di aspettare da 40 anni che si realizzi il referendum di autodeterminazione promesso dall’ONU e mai realizzato, e del suo dilemma tra la volontà di continuare a perseguire la lotta nonviolenta e quella di tornare in guerra per far sì che finalmente la comunità internazionale si accorga della loro esistenza.

Nei territori contesi del Sahara Occidentale è stato costruito un muro (e l’idea è stata di Israele!) lungo 2700 km. Questo muro – il secondo muro più grande al mondo – divide i territori occupati da quelli liberati, è custodito da un esercito di militari marocchini e il terreno all’esterno del muro è disseminato di mine antiuomo: non dovrebbero più esistere, invece continuano a mutilare e a uccidere i Sarhawi che puntualmente si riuniscono per manifestare contro l’occupazione.

Nessuno stato europeo riconosce il Sarhawi come stato, a differenza di altri 80 paesi del mondo, tra cui il Sudafrica. Jordi ci racconta che proprio il Sudafrica, recentemente, durante la sosta di una nave marocchina in uno dei suoi porti, ha fermato il carico di fosfati che trasportava perchè rubato e lo ha restituito al governo Sarhawi… chapeau al Sudafrica per questo, dunque, e che la lotta nonviolenta del popolo Sarhawi possa continuare e avere esito, e la loro voce possa essere ascoltata.

Domani, sabato 7 aprile, il documentario verrà proiettato a Sesto San Giovanni, presso il Centro Sociale Baldina in via Forlì, 15.

06.04.2018 Matilde Mirabella

 

 

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