[Riscaldamento globale] “A rischio anche i diritti umani”

Amnesty International ha dichiarato oggi che i governi devono impegnarsi in obiettivi di riduzione delle emissioni molto più ambiziosi per limitare l’aumento della temperatura media globale o dovranno assumersi le loro responsabilità per la perdita di vite umane e altre violazioni dei diritti umani.

 

COMUNICATO STAMPA

AMNESTY INTERNATIONAL: L’INCAPACITÀ DI AGIRE RAPIDAMENTE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI RISCHIA DI PROVOCARE ENORMI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI

* L’associazione avverte inoltre che anche la maggior parte delle misure alternative per la rimozione delle emissioni potrebbe rappresentare un rischio per i diritti umani

Amnesty International ha dichiarato oggi che i governi devono impegnarsi in obiettivi di riduzione delle emissioni molto più ambiziosi per limitare l’aumento della temperatura media globale o dovranno assumersi le loro responsabilità per la perdita di vite umane e altre violazioni dei diritti umani e abusi su una scala senza precedenti, con innumerevoli persone in tutto il mondo che stanno già soffrendo gli effetti catastrofici di inondazioni, ondate di calore e siccità aggravate dai cambiamenti climatici.

Un nuovo studio del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), pubblicato oggi, mostra che contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali potrebbe ancora frenare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici sui diritti umani. Se le emissioni continuassero al ritmo attuale, si prevede che supererebbero 1,5 gradi tra il 2030 e il 2052, e raggiungerebbero i 3 gradi entro la fine di questo secolo.

“Il rapporto dell’Ipcc dipinge un quadro spaventoso, ma non offre ai leader mondiali il lusso di fingere che sia ormai troppo tardi. Questo studio chiarisce che, mentre un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi avrebbe effetti drammatici e devastanti, un aumento di 2 gradi renderebbe il nostro mondo irriconoscibile. C’è ancora tempo per evitare lo scenario peggiore”, ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International.

“Il mondo ha già superato 1 grado di riscaldamento e abbiamo visto la sofferenza a cui ha contribuito – dalle ondate di caldo letale nell’emisfero settentrionale, ai cicloni distruttivi nel sud-est asiatico. Il rapporto dell’Ipcc chiarisce che un obiettivo di 1,5 gradi non dovrebbe più essere un’aspirazione, è una necessità assoluta, ed è quello che speriamo possa realizzarsi per conservare la possibilità di proteggere i diritti umani nei prossimi anni”.

Nell’accordo di Parigi del 2015, 197 paesi hanno concordato l’obiettivo a lungo termine di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Hanno anche concordato l’obiettivo di limitare l’aumento a 1,5 gradi.

Lo studio dell’Ipcc illustra le enormi differenze tra i due scenari di 1,5 e 2 gradi. Ad esempio, prevede che, entro il 2100, con uno scenario di 1,5 gradi l’innalzamento del livello del mare sarebbe inferiore di circa 10 centimetri rispetto a quanto potrebbe verificarsi con quello di 2 gradi: ciò significherebbe che circa 10 milioni di persone in meno sarebbero esposte ai rischi correlati, come morti e spostamenti forzati dovuti alle inondazioni.

Oltre a invitare gli stati ad adottare misure di mitigazione del clima che limiterebbero l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, Amnesty International sta esortando i governi a evitare o ridurre la dipendenza dai meccanismi di rimozione del carbonio. Le tecnologie attualmente disponibili quasi certamente avrebbero i loro impatti dannosi sui diritti umani. I biocarburanti con sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio (Beccs), ad esempio, richiedono enormi quantità di terra e acqua, con la probabilità che possano provocare sgomberi forzati, carenza di cibo e acqua e aumento dei prezzi, tra le altre insidie.

Il rapporto dell’Ipcc spiega che sono necessarie riduzioni più rapide delle emissioni, tra le altre misure, al fine di limitare la dipendenza dalla rimozione dell’anidride carbonica ed evitare di ricorrere ai Beccs.

“Lasciare che le emissioni aumentino per poi aspettarsi che le persone che sono già estromesse soffrano ulteriormente in modo da poter invertire il danno è un’opzione pigra e insostenibile. Come al solito, saranno i più svantaggiati a pagare il prezzo dell’avidità e della miopia dei governi ricchi”, ha detto Kumi Naidoo.

Le misure di mitigazione del cambiamento climatico che non sono state conformi al rispetto dei diritti umani hanno già portato a violazioni. Ad esempio, nel maggio 2018 Amnesty International ha documentato come il popolo indigeno Sengwer della foresta di Embobut, in Kenya, sia stato costretto a lasciare le proprie case, a volte con l’uso di una forza letale, ed espropriato delle proprie terre ancestrali a seguito di un tentativo del governo di ridurre la deforestazione. Il governo accusa i Sengwer di danneggiare la foresta, ma non ha fornito alcuna prova a sostegno di tale affermazione.

Tali progetti dovrebbero sempre essere soggetti a valutazioni di impatto sui diritti umani prima di essere portati avanti, al fine di stimare con precisione i potenziali danni.

“Proteggere i diritti umani e proteggere il pianeta vanno di pari passo, e questo significa lavorare per impedire in anticipo che le emissioni si verifichino”.

“I governi dovrebbero concentrare tutti i propri sforzi per ridurre le emissioni nel modo più urgente possibile, coerentemente con i diritti umani, al fine di evitare i peggiori impatti sia del cambiamento climatico che delle più pericolose strategie di rimozione delle emissioni”, ha concluso Naidoo.

Roma, 10 ottobre 2018

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