“Siamo qui oggi – ha spiegato Deborah Lucchetti, di Abiti Puliti – perché abbiamo due domande ancora senza risposta: di chi era la responsabilità di quelle morti? Cosa chiedono oggi le famiglie delle vittime perché sia ottenuta piena giustizia“.
I familiari delle vittime e dei sopravvissuti sono oggi in Italia insieme alle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e dei lavoratori nella tappa conclusiva della “Week of Justice“, la settimana della giustizia, partita a Ginevra il 26 novembre e proseguita alla Bochum University e al tribunale di Dortmund, in Germania; un’occasione per far conoscere in Europa lo stato dei procedimenti in corso.
“Siamo qui oggi – ha spiegato Deborah Lucchetti, di Abiti Puliti – perché abbiamo due domande ancora senza risposta: di chi era la responsabilità di quelle morti? Cosa chiedono oggi le famiglie delle vittime perché sia ottenuta piena giustizia“.
Saeeda Khatoon, il cui figlio di 18 anni, Ayan è morto nel rogo della Ali Enterprises, dove lavorava da 4 anni, ha dichiarato: “Abbiamo ricevuto un indennizzo parziale ma vogliamo giustizia anche da parte di RINA, il revisore che ha rilasciato un certificato di morte: esigiamo delle scuse e un risarcimento completo. Vi chiediamo inoltre di far sentire la vostra voce verso quei brand e quelle aziende che, invece di fare il meglio per i lavoratori, permettono che accadano queste tragedie. Ho perso un figlio e voglio che nessuna altra madre debba patire la mia stessa sofferenza. Siamo ancora qui, a lottare, perché la sicurezza sul lavoro sia un diritto e non un privilegio“.
Ben Vanpeperstraete, coordinatore della Clean Clothes Campaign, ha aggiunto: “Gli incendi possono accadere ma quello alla Ali Enterprises era evitabile. La conseguenze tragiche del rogo potevano essere scongiurate con allarmi e estintori funzionanti, con uscite di sicurezza adeguate, e una scala di emergenza. RINA deve chiedere scusa alle vittime e deve risarcire i danni, ma è fondamentale che si compiano delle azioni strutturali, perché quello di Karachi non è stato un evento isolato: c’è stato il crollo del Rana Plaza a Savar, in Bangladesh, ad esempio, solo qualche mese dopo l’incendio in Pakistan. Gli auditor non rilevano problemi evidenti che mettono a rischio la vita dei lavoratori. C’è un problema sistemico: chi controlla i controllori?“.
Carolijn Terwindt del ECCHR (European Center for Costitutional and Human Rights) ha dichiarato: “C’è stata una causa a Karachi per far luce sugli enti coinvolti nella strage. Chiedevamo che il tribunale prendesse in considerazione anche le responsabilità delle aziende europee, ma il procedimento non è andato avanti. Quindi abbiamo presentato una causa civile al Tribunale di Dortmund, dove ha la sede legale la KiK, distributore tedesco per cui la Ali Enterprises produceva i jeans e che avrebbe dovuto verificare le condizioni du sicurezza del finitore. In Italia, la ECCHR sostiene la causa penale per la responsabilità della RINA, in corso a Genova, per il reato di falsificazione della certificazione rilasciata alla fabbrica. Ci siamo inoltre rivolti alla Forensic Architecture di Londra per effettuare la simulazione dell’incendio che ha distrutto la fabbrica tessile e dimostrare l’inadeguatezza delle misure di sicurezza. Il video della simulazione è stato consegnato come prova al PM di Genova, ma è visibile online da tutti. Si intitola “Outsourcing Risk“, delocalizzare il rischio.
Deborah Lucchetti ha quindi aggiunto: “Lo scopo ultimo è riuscire a fare un passo avanti e migliorare il monitoraggio delle filiere perché il controllo è stato privatizzato, mentre c’è necessità di enti pubblici che verifichino e di sindacati dei lavoratori più forti, coinvolti direttamente nei processi“.
Oggi, 4 dicembre, le organizzazioni e la Ali Enterprises Factory Fire Affectees Association incontreranno presso il MISE i responsabili del Punto di Contatto Nazionale OCSE in Italia.