Quella che si combatte in Yemen non è una guerra dimenticata. Tutti sanno tutto. Il problema è un altro, sta nella fragilità ipocrita di un sistema che ha deciso di continuare a produrre per il sistema delle armi.
Le nostre bombe sullo Yemen
Quella che si combatte in Yemen non è una guerra dimenticata. Tutti sanno tutto. Il problema è un altro, sta nella fragilità ipocrita di un sistema che ha deciso di continuare a produrre per il sistema delle armi. Bollettini vittoriosi sono stati diramati quando Finmeccanica, ora Leonardo, si è aggiudicata la commessa di 28 caccia Eurofighter da parte del Kuwait. Accettando di fermare il cammino di quelle bombe, invece, si metterebbero in crisi le scelte di fondo di politica economica e industriale adottate in Italia e negli altri paesi che sanno e fingono di non avere alternative. La distrazione di massa è una responsabilità di tutti.
Foto tratte dal blog perlapace.it
di Carlo Cefaloni
Il 19 settembre 2017 la Camera dei deputati ha approvato una mozione umanitaria a favore delle popolazioni colpite dal conflitto in Yemen. Quel giorno il sangue di san Gennaro si è sciolto a Napoli ma quello della maggioranza dei deputati è rimasto freddo nella obbedienza agli ordini di scuderia che invitavano ad ignorare e contrastare altre mozioni dirette a fermare l’invio di bombe dal territorio italiano all’Arabia Saudita. Il Paese alleato di ferro degli Usa in Medio Oriente accoglie pellegrinaggi di delegazioni occidentali in cerca di soldi. Trump ha il merito di essere onestamente pacchiano, come quando ha esposto, come un comune piazzista, le foto della sua mercanzia ad un sorridente Moḥammad bin Salmān, uomo forte della dinastia saudita che guida una coalizione che bombarda i ribelli houthi in Yemen.
Non è una guerra dimenticata. Tutti sanno tutto. Anche il cosiddetto uomo della strada. Rapporti Onu, risoluzioni del parlamento europeo, i media dal New York Times alle Iene della tivù berlusconiana. Il guaio grosso è l’enorme incapacità di passare dall’indignazione all’azione coerente di fermare una strage o almeno non concorrere ad essa come truppe di complemento. La cancelliera Merkel ha fatto finta di non sapere nulla quando un giovane studente universitario ad Assisi ha rotto il protocollo di una solenne cerimonia per chiedergli semplicemente perché la tedesca Rehinmetall continua a far produrre in Sardegna quelle bombe d’aereo destinate ai sauditi. Andiamo assieme a Marzabotto a commemorare le vittime di un orrore, ci vergogniamo delle leggi razziali vilmente adottate nel 1938 in Italia seguendo l’esempio teutonico, e ora non riusciamo a fermare quei carichi di morte che colpiscono scuole e ospedali? Non possiamo collaborare assieme per portare un lavoro giusto nel Sulcis Iglesiente martoriato dalla disoccupazione? Quale Europa abbiamo in mente? Appare sempre più un’ulteriore violenza mostrare le foto dei bambini che muoiono di stenti mente dilaga il colera. A che serve violare la sacralità di quell’immagine se poi non andiamo a fermare con le mani quelle bombe?
E il presidente Mattarella, che giustamente manda segnali controcorrente andando a visitare l’arsenale della pace di Torino, cosa attende per dire che la legge 185/90, che quelle bombe dovrebbe fermare, non può essere umiliata perché è il tentativo di dare attuazione alla Costituzione? Forse perché non è il sentire comune di questo nostro tempo? Eppure ad Assisi il consiglio comunale ha votato per chiedere la fine della nostra collaborazione a tale banalità del male. Si spera e si lavora perché questo leggero fuoco della coscienza divampi dal più piccolo comune alle metropoli come un riconoscimento della nostra comune umanità.
Ma il vero scoglio probabilmente è un altro. La questione Yemen è il caso più semplice da comprendere ma rivela la fragilità di un sistema che, in grande, ha deciso di produrre per il sistema delle armi. Bollettini vittoriosi sono stati diramati quando Finmeccanica, ora Leonardo, si è aggiudicata la commessa di 28 caccia Eurofighter da parte del Kuwait. Accettando di fermare il cammino di quelle bombe si metterebbero in crisi le scelte di fondo di politica economica e industriale adottate nel nostro Paese.
Il Piano Sulcis, così come Invitalia, non saprebbero cosa fare e proporre per convertire un territorio impoverito anche da questa residua produzione bellica richiesta dalla multinazionale germanica. Non gli mancherebbero le competenze. È l’orizzonte culturale ad essere determinato da visioni ben precise come quelle promosse, ad esempio, della Fondazione “Italia decide” guidata da Luciano Violante, che a febbraio 2018, prima ancora del voto e in maniera bipartisan, ha promosso la linea di grandi investimenti nel settore della Difesa. Lo stesso Violante è da ottobre anche presidente della Fondazione Leonardo. Come fa notare Michele Nones dell’Istituto Affari internazionali, per paventate ogni riduzione di investimenti nel comparto, anche il governo attuale «ha confermato con gli alleati, bilateralmente e nel quadro Nato, l’impegno ad aumentare le spese per la difesa, puntando a un quasi raddoppio entro il 2024».
Foto tratta dal sito EUROPEAN CENTER FOR CONSTITUTIONAL AND HUMAN RIGHTS E.V.
Considerando il valore della continuità delle politiche del settore, assume, quindi, un certo valore la nomina, da parte della ministro della Difesa Trenta, in quota M5S, del generale di squadra aerea Carlo Magrassi, già direttore generale degli armamenti, a consigliere del ministro per la politica industriale.
Come è noto, per motivi sconosciuti, Il senatore sardo pentastellato Roberto Cotti, da sempre in prima fila per una politica di pace e coerentemente molto attivo contro le bombe inviate ai sauditi, non è stato ricandidato dal suo partito movimento. Mercoledì 28 novembre, presso il Senato della Repubblica, le stesse associazioni che hanno presentato il 21 giugno 2017 le istanze riprese dalle mozioni parlamentari del 19 settembre dello stesso anno, hanno riproposto le medesime motivazioni, dopo ulteriori stragi in Yemen, per chiedere un cambio di passo alla politica italiana.
È solo un anno fa e sembra un secolo. I pochi dem dissidenti di allora non son rientrati in Parlamento. La sinistra è decimata. Al di là delle sigle, oggi come sempre la leva della coscienza è l’unica che resta per salvare la nostra umanità. L’esempio del comitato riconversione Rwm, che sul territorio si espone ripudiando la logica della guerra, è un esempio di mite ostinazione da seguire. Già capire questo è un buon inizio. Lasciando da parte la pigrizia mentale dei media che si compiacciono a mostrare il solito abitante di quella terra, che si dice convinto dell’importanza del lavoro piuttosto della vita di persone lontane, che tanto verrebbero comunque uccise da armi provenienti da altri siti. È pura distrazione di massa che serve a coprire una responsabilità nazionale, cioè di noi tutti. Nessuno escluso.
Carlo Cefaloni | 30 novembre 2018
da: comune-info.net