60 anni fa il Che e Fidel entravano a L’Avana: la Rivoluzione aveva vinto

60 anni fa il Che e Fidel entravano a L’Avana: la Rivoluzione aveva vinto

Quando gli 83 rivoluzionari cubani erano sbarcati dal Granma il 2 dicembre 1956 non era facilmente immaginabile che 2 anni e un mese più tardi sarebbero entrati vittoriosamente a L’Avana, dopo avere sconfitto un esercito sostenuto dagli Stati Uniti e dotato di aviazione, carri armati e armamento pesante.

 

60 anni fa il Che e Fidel entravano a L’Avana: la Rivoluzione aveva vinto

60 anni fa il Che e Fidel entravano a L’Avana: la Rivoluzione aveva vinto

 

Quando gli 83 rivoluzionari cubani erano sbarcati dal Granma il 2 dicembre 1956 non era facilmente immaginabile che 2 anni e un mese più tardi sarebbero entrati vittoriosamente a L’Avana, dopo avere sconfitto un esercito sostenuto dagli Stati Uniti e dotato di aviazione, carri armati e armamento pesante. Erano sbarcati dal Granma stipato all’inverosimile dopo una traversata travagliata durata più del doppio del previsto, in un punto sbagliato nell’Oriente cubano, trovandosi impantanati in una foresta di mangrovie (il Che ricorda che “più che uno sbarco fu un naufragio”), furono individuati dall’esercito del dittatore Batista, furono decimati, sopravvissero in una dozzina. Erano tutti poco più che ragazzi: Fidel aveva 29 anni, Che Guevara 28, Raul Castro 25, Camilo Cienfuegos 24. Sul Granma c’era anche un ex-partigiano italiano, Gino Donè (1924-2008), il quale salvò il Che che era rimasto staccato e in difficoltà.

Due anni dopo, fra il 29 dicembre 1958 e il 1° gennaio 1959 il Che vinse la battaglia decisiva di Santa Clara. L’aveva ingaggiata (infortunato a un braccio) con appena 320 uomini, ai quali si aggiunsero 1.000 volontari, contro forze governative soverchianti e meglio armate. Il suo capolavoro fu il deragliamento del Treno Blindato, la risorsa strategica inviata da Batista, carico di armi e munizioni (si prova una certa emozione visitando il treno deragliato conservato così com’era a Santa Clara): i 350 ufficiali che si trovavano sul treno furono arrestati, mentre i loro soldati semplici passarono dalla parte dei castristi.

All’alba del 1° gennaio 1959 il dittatore Fulgencio Batista salì su un aereo e riparò negli Stati Uniti.

Da 60 anni la Rivoluzione Cubana è rimasta una spina nel fianco dell’impero statunitense, malgrado gli incessanti tentativi di liberarsene: dall’aggressione militare organizzata dalla CIA il 17 aprile 1961 alla Baia dei Porci, a più di 600 attentati a Fidel organizzati ancora dalla CIA, al bloqueo più lungo della storia. La Rivoluzione è sopravvissuta anche, contro tutte le previsioni, al crollo dell’Unione Sovietica e del blocco comunista.

La Rivoluzione è ancora lì anche se ha perduto quasi tutto il retroterra che aveva acquisito in America Latina. Anche se Trump ha chiuso le aperture operate da Obama, che avevano consentito agli scienziati e alle organizzazioni scientifiche statunitensi di avviare finalmente collaborazioni concrete con gli scienziati e le istituzioni cubane, delle quali conoscevano bene l’alto livello scientifico raggiunto.

Infatti la baldanzosa dichiarazione di Fidel del gennaio 1960 – “Il futuro della nostra patria non può che essere un futuro di uomini di scienza” – ancorché sembrasse velleitaria per un piccolo paese povero di risorse, si è realizzato pienamente: la Rivoluzione ha realizzato un sistema di istruzione gratuito e aperto a tutti, un sistema sanitario universale che ha rapidamente portato Cuba ad uguagliare gli indici di salute dei paesi sviluppati, e dagli anni Ottanta un’industria biotecnologica di indiscusso livello mondiale con un modello alternativo e più efficiente di quello capital-intensive dominante.

Certo Cuba non è più quella che negli anni Sessanta l’ONU qualificava come il paese più egualitario del mondo. Soprattutto il crollo dell’URSS e del sostegno dei paesi comunisti generò una crisi drammatica, il PIL crollò del 40%. Si generarono e crebbero le differenze sociali. Poi la crisi che dal 2008 ha colpito duramente l’economia mondiale e peggiorato le condizioni anche si paesi ben più solidi di Cuba. Ho visto con i miei occhi molti cubani che erano emigrati in Italia negli anni precedenti fare ritorno definitivamente a Cuba.

E inoltre l’involuzione politica dell’America Latina e la crisi del “Socialismo del XXI Secolo”. Ma è un fatto incontrovertibile che le condizioni delle classi subalterne dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi sono molto peggiori di quelle del popolo cubano.

Senza dubbio sono legittime, e in parte anche condivisibili, molte riserve sul regime cubano. Ma spesso esse sono smaccatamente strumentali. Come l’insistente denuncia di violazioni dei diritti umani da parte di Trump, il quale governa un paese in cui i diritti della popolazione afroamericana e dei latinos sono brutalmente violati, e i neri sono il bersaglio preferito della polizia!

Certo, anche la nuova Costituzione cubana in corso di approvazione (dopo essere stata discussa in miglia di assemblee popolari!) contempla il partito unico, ma per me è necessario fare almeno due osservazioni: la prima è che i partiti politici non sono certo un modello di vera democrazia ovunque (da noi da quanto si vota “tappandosi il naso”?) e proprio in America Latina sono stati strumenti di corruzione e di penetrazione degli USA; la seconda, correlata alla prima, è che, a mio modesto parere, se Fidel avesse consentito la formazione di altri partiti politici, la Rivoluzione cubana non avrebbe resistito 60 anni alla famelica aggressione di Washington.

01.01.2019 – Angelo Baracca

 


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