“È vero, l’Africa continua ad essere una terra di conquista”

Ogni Stato fa un po’ quello che gli pare, anche perché nel battibecco quotidiano sono entrati fattori che, se presi da soli, nulla hanno a che fare con il fenomeno migratorio. L’Africa possiede il 30% delle risorse naturali dell’intero pianeta, il suo Pil vale il 3% di quello mondiale.

 

È vero, l’Africa continua ad essere una terra di conquista

Povertà in Benin (Foto di Toundea, Wikimedia Commons)

 

Ogni Stato fa un po’ quello che gli pare, anche perché nel battibecco quotidiano sono entrati fattori che, se presi da soli, nulla hanno a che fare con il fenomeno migratorio. L’Africa possiede il 30% delle risorse naturali dell’intero pianeta, il suo Pil vale il 3% di quello mondiale.

L’Africa continua a essere una terra di conquista, oggi più che ieri nonostante le indipendenze ottenute. Non si tratta più di colonialismo o di influenze determinate dalla guerra fredda, ora si tratta di neo-colonialismo. Di un tutti contro tutti, dal punto di vista economico, politico e, anche, militare. Sullo sfondo rimangono i paesi e i popoli che abitano il continente africano. E oggi, nella polemica politica globale è entrata, a pieno titolo, la questione dei migranti. O meglio le politiche che i vari paesi, che si contendono l’Africa, mettono in atto per arginare o fermare un fenomeno che non è possibile arginare con il mostrare i muscoli. Le politiche migratorie globali, e anche quelle dell’Unione europea, possono essere riassunte così: “Liberi tutti”. E non appaia irriverente.

Ogni Stato fa un po’ quello che gli pare, anche perché nel battibecco quotidiano sono entrati fattori che, se presi da soli, nulla hanno a che fare con il fenomeno migratorio. Solo un dato: nel continente africano si muovono, tra Stato e Stato – per ragioni legate alla guerra, alla fame, alle carestie, ai cambiamenti climatici, alla mancanza di prospettive per il futuro – circa 50 milioni di persone. Quelle che arrivano a toccare le coste dell’Unione europee sono solo la punta di un iceberg.

Il caso del franco

E ora, nel bailamme politico, è entrato anche il franco Cfa, la moneta coloniale comune a 14 paesi africani. La Francia, non vi è dubbio, è rimasta ancorata ai propri principi. Forse l’unica realtà che non ha mutato, nella sostanza, la sua politica nei confronti dell’Africa francofona.

Se il continente africano durante l’epoca coloniale era al cappio delle potenze che lo hanno occupato e se lo sono spartito, a partire dagli anni ’60 con le indipendenze anche l’Africa ha risposto a logiche dettate dalla guerra fredda e le influenze erano determinate dai due blocchi. Oggi, se vogliamo usare un’immagine forte, è al cappio della Cina che, grazie ai suoi investimenti miliardari, detiene il debito di decine di paesi africani. Non c’è paese in Africa che non abbia a che fare con l’influenza di Pechino. E questo grazie, e soprattutto, ai governanti o dittatori che agevolano questa influenza per fini propri.

La Cina

Il piano di investimenti di Pechino si inserisce nel piano strategico diplomatico-economico della “nuova via della seta”. Basta questo dato: negli ultimi 15 anni l’interscambio commerciale tra la Cina e il Continente africano aumenta annualmente del 20%. Nell’ultimo vertice sino-africano Pechino ha deciso di stanziare altri 60 miliardi. La Cina è il primo partner commerciale con un volume di scambi pari a 180 miliardi di dollari annui. E tutto ciò non accade per il buon cure di Pechino. I governanti africani sono ben consapevoli di svendere i propri paesi al gigante cinese, gli hanno affidato il proprio debito. Pechino si presenta con offerte che sembrano troppo belle per essere vere e spesso non lo sono. Prima o poi chiederà il conto.

Gli Stati Uniti

L’America ha deciso, così come altri paesi dello scacchiere mondiale, di contrastare questo strapotere cinese.  Il Senato ha approvato la creazione di una agenzia finanziaria per lo sviluppo: Us International Development Finance Corporation (Usidfc). L’intento americano è quello di arrivare a stanziare 60 miliardi di dollari in investimenti diretti. Non è trascurabile, inoltre, che tornare a essere protagonisti in Africa, significa rafforzare la presenza militare, visto che la Cina ha messo gli “scarponi” sul terreno con una base a Gibuti, dove sono presenti americani e francesi. Tra Corno d’Africa, Sahel e Libia sono 34 le basi militari statunitensi.

La Russia

L’attenzione di Mosca non è affatto trascurabile. Con l’Angola, la Namibia, il Mozambico, l’Etiopia e lo Zimbabwe ha stretto accordi di collaborazione in ambito minerario, di cooperazione militare e per stabilire zone economiche di libero scambio. La Russia non può offrire, come la Cina, prodotti di consumo, ma armi sì e in abbondanza. Ora il centro strategico militare di Mosca è Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Ma l’intenzione della Russia, come ha annunciato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, è quello di realizzare un centro logistico in Eritrea, nell’area strategica del Corno d’Africa, già affollato di presenze straniere. Per esempio, la più gande ambasciata turca in Africa è proprio a Mogadiscio, capitale della Somalia. Il Corno d’Africa interessa moltissimo a Recep Tayyip Erdogan.

L’Arabia Saudita

Al Corno d’Africa guarda con attenzione anche Riad, che ha avuto una parte fondamentale nell’accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea. Un interesse in funzione anti iraniana e, dunque, strategico per la partita che l’Arabia Saudita sta giocando in Yemen. Ma non è tutto. Riad sostiene e alimenta investimenti in molti altri paesi, specialmente musulmani, africani o anche in aree specifiche di alcuni, come il Kenya. Non solo. Riad da anni ha lanciato una campagna di acquisto di terre coltivabili proprio in Africa, quello che viene definito “land grabbing”, accaparramento delle terre.

La Francia

Parigi ha mantenuto saldi i legami con le ex colonie, che non sono da meno in termini geopolitici e minerari, rispetto ad altri paesi del continente. Uno di questi modi è appunto il franco Cfa, sotto la lente di ingrandimento in questi giorni di una parte politica italiana. Sono 14 i paesi che hanno adottato questa moneta che viene stampata a Parigi, la cui stabilità è garantita dal Tesoro francese al quale i paesi che aderiscono alla moneta devono depositare il 50% delle loro riserve monetarie. L’Economist spiega che “negli ultimi 50 anni l’inflazione ha raggiunto una media del 6% in Costa d’Avorio, che utilizza il franco Cfa, e il 29% nel vicino Ghana, che invece non lo utilizza. La valuta facilita gli scambi con l’Europa, il principale partner, e libera gli investitori stranieri dai rischi delle fluttuazioni dei tassi di cambio”. Moneta, inoltre, adottata anche dalla Guinea equatoriale, ex colonia spagnola, e la Giunea – Bissau, ex colonia portoghese.

Ma sono molti ancora i paesi nel mondo che hanno investito sul continente: Canada, Brasile, Giappone, Italia, India. Paesi che stanno cercando, compresa la Ue attraverso il Fondo fiduciario di emergenza per il continente, di investire e affrontare le cause alla base delle crisi umanitarie nelle aree più critiche.

L’Africa suscita un interesse straordinario grazie alle sue materie prime. L’Africa possiede il 30% delle risorse naturali dell’intero pianeta, il suo Pil vale il 3% di quello mondiale. Gli investimenti sono enormi, il denaro circola eccome. I Pil dei paesi africani crescono molto, a volte a due cifre, ma i tassi di sviluppo umano stagnano, tanto che nell’Africa sub sahariana il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Le transazioni commerciali interafricane sono state pari a 128 miliardi di dollari, nel 2017, e nello stesso anno il commercio all’interno del continente è sceso al di sotto del 15% del volume totale degli scambi, mentre quelli con il resto del mondo hanno un valore molto più alto: oltre 900 miliardi di dollari. Insomma la realtà è molto più complessa di quello che ci vogliono far credere.

https://www.agi.it/blog-italia/africa

22.01.2019 – Angelo Ferrari

 


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