“Si conferma quindi il fallimento dell’ultima puntata dell’operazione Guaidò, il ragazzotto fascistoide allevato dalla Cia e proclamato da Trump e, sulla sua scia, da alcuni Stati latino-americani ed europei, presidente del Venezuela al posto di Maduro”.
Venezuela, fallisce miseramente la farsa degli aiuti umanitari come pretesto per l’intervento militare
di Fabio Marcelli
Alla fine il cerchio mediatico allestito con grande dispendio di mezzi e denaro alla frontiera tra Colombia e Venezuela ha fatto flop. Unico evento di un certo rilievo, un episodio ancora in parte oscuro: una camionetta della guardia nazionale bolivariana che sarebbe stata dirottata da tre disertori che hanno forzato il blocco in direzione della Colombia facendo, su territorio colombiano, alcuni feriti, tra i quali una fotografa cilena e distruggendo alcuni camion di aiuti attribuendone la responsabilità al governo venezolano, in netta contraddizione con testimonianze e filmati disponibili. Un altro episodio è quello dell’avvelenamento a fine di rapina di due deputati dell’opposizione da parte delle prostitute colombiane cui si stavano accompagnando, uno squallido episodio di criminalità comune strumentalizzato da Guaidò e dalla stampa sua sodale.
Si conferma quindi il fallimento dell’ultima puntata dell’operazione Guaidò, il ragazzotto fascistoide allevato dalla Cia e proclamato da Trump e, sulla sua scia, da alcuni Stati latino-americani ed europei, presidente del Venezuela al posto di Maduro. Con notevole sprezzo del ridicolo lo stesso Guaidò continua a lanciare proclami presidenziali e a distribuire ordini a destra e manca che ovviamente nessuno rispetta. Pare che sia espatriato in Colombia per partecipare al grande concerto organizzato dal discografico Branson e ci auguriamo che ci resti o meglio ancora si trasferisca definitivamente a Miami.
L’operazione “umanitaria” costituiva in realtà una scusa per tentare di violare la sovranità nazionale e popolare venezolana. In Venezuela ci sono difficoltà di approvvigionamento ma non certo una crisi umanitaria. La fame e la denutrizione colpiscono certamente anche i Paesi i cui presidenti erano in prima fila ad ascoltare i cantanti reclutati con ricchi ingaggi da Branson, e cioè Colombia, Cile e Paraguay (Paesi che, specialmente il primo, ma anche il secondo, mostrano record negativi in materia di assassinii politici e violazioni dei diritti umani in genere). Secondo la FAO sono attualmente 39,3 milioni, e in aumento, i latinoamericani che soffrono la fame e non certo tutti venezolani. L’esperto delle Nazioni Unite Alfred De Zayas ha chiarito come responsabili per la critica situazione del popolo venezolano siano le sanzioni statunitensi. Le umanitarie potenze occidentali con una mano soffocano e affamano il popolo venezolano, con l’altra elargiscono generosamente qualche briciola di aiuti umanitari per ottenere la copertura a un intervento militare condotto con grande dispiego di mezzi bellici e con il prevedibile risultato di un numero indeterminato di vittime.
Per ora non ci sono riusciti, ma ovviamente continueranno a provarci, perché il boccone è troppo appetitoso.
Guaidò ha dichiarato che il sangue che sarà versato in Venezuela costituisce un “investimento per il futuro”. Di recente ha ribadito che la guerra è la soluzione per i suoi problemi di presidente autoproclamato da operetta. Un cinismo davvero ributtante. Bisogna invece impegnarsi per una via d’uscita pacifica alla crisi. L’eroica resistenza del popolo venezolano dovrebbe scoraggiare ogni aggressore e preparare le condizioni per restituire la parola ai negoziati e al dialogo. Ma purtroppo gli Stati Uniti hanno capito che quest’ultimo terreno, come pure quello della democrazia, elettorale o di altro genere, è loro chiaramente sfavorevole e per questo stanno operando consapevolmente e lucidamente per la guerra. Per questi stessi motivi hanno screditato i tentativi di mediazione operati da Zapatero e dal Papa, agendo direttamente su Guaidò e le altre loro emanazioni locali per impedire ogni negoziato costruttivo con il legittimo governo venezolano. Ci sarebbe lo spazio per definire insieme (governo ed opposizione) le condizioni per la partecipazione e lo svolgimento delle prossime elezioni politiche, ma Trump e l’amministrazione statunitense non vogliono perché sono consapevoli del fatto che Maduro vincerebbe ancora. D’altronde Trump, in difficoltà sul piano interno e su quello internazionale, non sembra oggi avere la forza per scatenare un nuovo Iraq in America Latina. Come scrive Fabrizio Casari “il Pentagono ha perfettamente chiaro che portare soldati USA in Venezuela sarebbe un disastro politico e militare per Washington. Il Congresso ha già dato l’alt ad ogni opzione militare ed anche lo scenario internazionale è sfavorevole all’ipotesi: Onu, OSA e Caricom sostengono Maduro, la UE ha espresso il suo rifiuto ad una azione militare e il Gruppo di Montevideo ha ripreso i suoi lavori per una soluzione diplomatica della crisi”. Ma mai dire mai, si sa che le belve ferite sono quelle più pericolose. Ne consegue tuttavia, per il momento, una situazione di stallo, di cui fa le spese il popolo venezolano, affamato dalle sanzioni e diffamato dalla stampa internazionale, ma, come dimostrano le immagini del grande comizio di Maduro di sabato, ancora in piedi per difendere la propria e altrui dignità contro ogni intervento imperiale.