Il 4 aprile ricorre il settantesimo anniversario della firma del Patto Atlantico avvenuta appunto il 4 aprile 1949. Un anniversario da ricordare proprio nel momento in cui la creazione della “Via della Seta” da parte cinese fa emergere un segnale tangibile della fine del “ciclo atlantico”.
70 anni bastano?
di Franco Astengo
Il 4 aprile ricorre il settantesimo anniversario della firma del Patto Atlantico avvenuta appunto il 4 aprile 1949.
Un anniversario da ricordare proprio nel momento in cui la creazione della “Via della Seta” da parte cinese fa emergere un segnale tangibile della fine del “ciclo atlantico”.
Il ciclo atlantico è stato infatti inteso come perno del sistema di relazioni internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.
E’ proprio il punto della fine del “ciclo atlantico” quello in discussione oggi e non tanto il tema di questo o quell’altro accordo commerciale.
Allora vale la pena ricordare come nacque quella fase storica e come l’Unione Europea ne abbia rappresentato una delle costruzioni politiche di riferimento proprio in diretto riferimento con la NATO.
Si tratta di tornare indietro, analizzando quelle che furono le intenzioni più profonde dei cosiddetti “padri fondatori” della Comunità. Si tratta di ricostruire il pensiero sulla base del quale – proprio all’indomani della stipula del Patto Atlantico e in diretta correlazione – fu costruita l’Europa Unita, a partire da CECA, Euratom e poi Trattati di Roma (1957) passando per il fallimento della CED.
In questo senso si può, infatti, affermare, che l’Unione Europea fosse considerata, nel pieno della guerra fredda, quale avamposto di quello che al tempo si autodenominava “mondo libero” posto sotto il protettorato USA.
Un ciclo quello che è stato qui denominato come “atlantico” caratterizzato prima dalla divisione in blocchi, poi da un periodo di “superpotenza unica” e ancora dall’aprirsi della fase contraddistinta dalla cosiddetta globalizzazione con l’emergere del multipolarismo e del ritorno, infine, alla geopolitica caratterizzata da forme di nuovo protezionismo economico e di nazionalismo anche e soprattutto militare.
Al fine di comprendere meglio la fase storica immediatamente seguente la conclusione del conflitto 1939-1945 potrebbe essere utile ricostruire le vicende riguardanti la stipula del Patto Atlantico ponendo questa ricostruzione in parallelo con quella riguardante le fasi di avvio della costruzione dell’Unione Europea. Si trattò, infatti, a cavallo degli anni’50 di un processo politico e di relazioni internazionale nel corso del quale la formazione della NATO, successiva alla stipula del Patto, consegnò un vero e proprio “imprinting” all’Unione Europea quale “braccio politico” della presenza USA in Europa nel fronteggiamento diretto, sul campo, del blocco sovietico.
In Italia la stipula del Patto fu fortemente osteggiato dalle sinistre. Si erano appena svolte le elezioni del 18 aprile 1948 che avevano segnato un’indiscutibile egemonia della DC e la formazione di un governo “centrista”con repubblicani, liberali e socialdemocratici. Il Partito Comunista e quello Socialista – allora legati da un patto di unità d’azione e che si erano presentati alle elezioni con liste comuni sotto l’insegna del Fronte Democratico Popolare – svilupparono una forte azione di contrasto sia nel Paese sia in Parlamento dove si mossero usando l’arma dell’ostruzionismo allungando a dismisura i tempi del dibattito.
Si svolsero grandi manifestazioni: A Terni in uno scontro morì l’operaio Luigi Trastulli.
Il 18 marzo si arrivò al voto alla Camera con un lungo discorso del presidente De Gasperi (interrotto più volte da “tumulti” in aula). L’ordine del giorno presentato da Fausto Gullo per «bloccare l’esame» fu bocciato con 334 contrari e 2 astenuti, contro 166 favorevoli. L’ordine del giorno del governo fu invece approvato con 342 voti contro 179 (10 astenuti).
Nelle annotazioni di Giulio Andreotti, in quel momento sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è riportato che De Gasperi «rivolge un appello-radio agli italiani, molto vigoroso». Igino Giordani invece «si scaglia contro il papa», al quale «non perdona» di aver dato all’Azione Cattolica una «direttiva favorevole» al Patto, «dopo una decisiva udienza del nostro ambasciatore a Washington Alberto Tarchiani». Andreotti ricorda anche che «L’“Osservatore Romano” pubblica per intero il testo del Patto Atlantico». Ed ecco l’annotazione conclusiva di Andreotti: «Finalmente si è votato, con il previsto successo governativo: 188 contro 112 e 8 astenuti» . La Santa Sede ha mantenuto una posizione di vigoroso e continuo sostegno al fatto, durante tutta la procedura parlamentare.
Dopo questa forzatura mirata all’inclusione nel Patto, una conseguenza inevitabile fu il ridursi del potere negoziale dell’Italia negli affari esteri, quello stesso potere che proprio De Gasperi aveva contribuito a costruire. Ci si ritrovò in una condizione forse quasi peggiore di quella all’indomani della sconfitta, quando almeno le prospettive potevano ampliarsi. Un’altra conseguenza fu l’inasprirsi dei rapporti del governo con l’opposizione politica e con una parte consistente della popolazione.
Con la fine del monopolio atomico (agosto 1949) e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese si era aperto, negli USA, un dibattito sui limiti della politica di contenimento e sulla necessità di correlare gli strumenti politici sui quali essa si era basata con altre risorse, di efficacia più immediata.
La conseguenza diretta di quella discussione fu la scelta di militarizzare la presenza americana in Europa, preparare il riarmo della Germania e trasformare il Patto Atlantico nella NATO (North Atlantic Treaty Organisation) come struttura organizzativa tale da rendere possibile la creazione in Europa di un esercito permanente in tempo di pace.
Alla contrapposizione prevalentemente politico-economica tendeva a sovrapporsi quella politico-militare.
I problemi della ricostruzione venivano considerati risolti o lasciati sullo sfondo rispetto alle questioni più urgenti da fronteggiare e a una minaccia che in quel momento si considerava come meno remota e più grave. I sovietici, infatti, avevano scelto nel 1946 la via della competizione atomica e nel 1949 avevano dimostrato di essere in grado di reggerla adeguatamente.
Per inciso si ricorda che il Patto di Varsavia fu firmato nel 1955, sei anni dopo la formazione della NATO, proprio alla vigilia del XX congresso del PCUS e dell’avvio del processo di destalinizzazione.
Negli USA fino al 1949 era prevalsa l’opinione che l’URSS non rappresentasse una minaccia militare immediata ma solo un pericolo indiretto: la minaccia sovietica però aveva raggiunto successivamente, almeno a giudizio degli Usa, un’intensità tale da richiedere una risposta di maggior impegno.
Fu in questo quadro che si realizzò il rapporto diretto tra NATO e costruzione dell’Unione Europea. In quel momento si mise in movimento, sul piano politico-diplomatico, il processo (già avviato comunque in Europa fin dal 1947) lungo due binari: il binario europeistico e quello della trasformazione del Patto Atlantico in NATO , operazione completata dal riarmo della Germania Ovest.
Si tende a vedere nelle intersezioni fra europeismo e politica di solidarietà atlantica qualcosa di occasionale o, secondo sfumature diverse, due ordini di iniziative politiche mosse da un diverso disegno ma rese talora convergenti dalle circostanze.
Tuttavia questa separazione concettuale appare forzata e i due momenti dell’azione politica sviluppatasi in Europa dalla metà del 1950 appaiono, a partire dalla dottrina Truman e dal piano Marshall, due facce della stessa medaglia. La medaglia da coniare era la costruzione di un sistema istituzionale europeo funzionale all’integrazione sempre più stretta dei Paesi che si consideravano oggetto della minaccia sovietica e che, al tempo stesso, giudicavano indispensabile far partecipare a tale integrazione il più esposto dei Paesi europei, appunto la Germania Ovest.
Partirono così le iniziative riguardanti la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e della CED (Comunità Europea di Difesa): questa seconda fallì per l’ostilità della Francia alla ratifica del trattato in relazione all’ostilità convergente di forze eterogenee, nel timore proprio del riarmo tedesco.
Questo abbozzo di ricostruzione si ferma qui. dopo aver ricordato l’esistenza di un nesso diretto tra Patto Atlantico, NATO e Unione Europea: un segno distintivo che, nel progressivo mutamento del quadro di relazioni internazionali fino alla caduta del Muro di Berlino, avrebbe comunque caratterizzato l’orizzonte politico della Comunità Europea come soggetto direttamente collegato alla politica USA in Europa.
Un segno che si è mantenuto nel tempo e che oggi, forse, trova il momento di una ridefinizione radicale che si sta realizzando nel nome di mutate condizioni di proprietà tecnologica a livello globale.
Rimane la possibile valutazione di quello che può essere considerato un segno tracciato nel tempo: quello della contiguità in fase di partenza fra NATO e Comunità Europea.
Un segno che non è proprio il caso di dimenticare quando si tenta la difficile via delle ricostruzioni storiche in funzione di una possibile attualizzazione sul piano politico.
LA “BOTTEGA” RICORDA – vedi 4 aprile contro gli euromissili e contro le basi NATO – CHE E’ ATTIVO UN VASTO FRONTE POLITICO CONTRO LA “NUOVA” NATO, SEMPRE PIU’ ARMATA E AGGRESSIVA
LE VIGNETTE SONO DI GIULIANO SPAGNUL
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega
da: http://www.labottegadelbarbieri.org/nato-e-unione-europea/