“L’attacco alla Libia del 2011 è forse il più lampante esempio dell’inganno che si nasconde dietro gli interventi umanitari e di promozione della democrazia intrapresi di recente e progettati per il futuro”.
Pino Arlacchi – Libia: l’intervento NATO che bombardò la ragione
di Pino Arlacchi – Il Fatto Quotidiano
L’attacco alla Libia del 2011 è forse il più lampante esempio dell’inganno che si nasconde dietro gli interventi umanitari e di promozione della democrazia intrapresi di recente e progettati per il futuro.
Come nel Kosovo 12 anni prima, i bombardamenti NATO in Libia furono giustificati con l’urgenza di impedire uno sterminio di innocenti. Secondo l’allarme lanciato dai media e dai governi europei le truppe di Gheddafi stavano per compiere un bagno di sangue a Bengasi, l’ultima roccaforte dei ribelli antigovernativi ispirati dalla Primavera araba. L’intervento militare fu rapidamente autorizzato dal Consiglio di Sicurezza.
Il suo scopo doveva essere quello di salvare le vite di migliaia di dimostranti per la democrazia dalla brutalità delle forze armate di Gheddafi, composte in larga parte da mercenari di pelle scura che si erano macchiati di stupri di massa.
L’aviazione del regime aveva usato elicotteri d’assalto e caccia da combattimento per falciare civili inermi, ed erano già perite migliaia di persone.
Due giorni dopo l’autorizzazione ONU del 17 marzo 2011, fu stabilita la no-fly zone e la NATO iniziò a bombardare. Grazie al martellamento aereo, e al sostegno logistico dei paesi europei, dopo solo sette mesi i ribelli avevano assunto il controllo della Libia ed eliminato fisicamente Gheddafi.
Il successo dell’operazione sembrava totale. Media e capi di governo europei – gli stessi che fino a pochi mesi prima si erano scambiati baci e abbracci con Gheddafi durante le sue suggestive visite di Stato – erano inebriati per esserselo tolto di mezzo.
Con l’operazione libica si era riusciti a difendere la Primavera araba, evitare un genocidio stile Srebenica e creare le premesse di migliori rapporti tra Libia e Occidente.
Ma il verdetto si è rivelato prematuro. Ad un esame retrospettivo, l’intervento in Libia è stato un miserevole fallimento. Non solo la Libia non si è trasformata in una democrazia ma è diventata uno stato fallito.
Dal 2011 in poi abbiamo visto susseguirsi in quel paese una decina di primi ministri e governi, per non parlare dei due parlamenti e della frammentazione tribale. Dopo otto anni di caos e di tragedie, il paese più ricco dell’Africa, abitato da una popolazione ben istruita e ben nutrita, è divenuto una landa desolata e senza legge, nella quale scorazzano bande di delinquenti e terroristi di ogni risma.
La giustificazione dei sostenitori dell’ingerenza armata è la solita: non c’erano altre strade percorribili. Non è vero. Anche questa volta, la migliore cosa da fare era di non intervenire del tutto.
Le menzogne fabbricate per favorire la guerra contro la Libia sono state smentite dagli osservatori indipendenti presenti sul posto, che non hanno trovato alcuna traccia degli stupri di massa. Non si è trovato un solo mercenario al soldo di Gheddafi, e sia il segretario alla difesa USA, Gates, che il chairman del Joint Chief of staff, Mullen, hanno testimoniato di non avere avuto alcuna conferma dell’esistenza di aerei di Gheddafi impiegati per fare strage di civili. Si sono potute confermare solo 110 vittime a Bengasi, distribuite tra le parti in lotta.
Dove sono finite,allora, le migliaia o le decine di migliaia di morti sbattuti in prima pagina dai giornali occidentali? Da nessuna parte, perché sono esistite solo nella fantasia dei cronisti e degli inviati “embedded “, cioè dei manovali dell’inganno.
In Libia orientale, si sono documentate solo 233 morti durante il primo giorno degli scontri, e non le 10mila riportate dalla TV saudita Al Arabya e citati poi dai media euroamericani.
La pioggia di bombe lanciate dall’aviazione di Gheddafi all’inizio del 2011 su Bengasi e Tripoli,poi,fu inventata di sana pianta.
Nel mese precedente l’Intervento NATO le perdite totali in Libia, tra civili, soldati e ribelli, ammontavano a circa 1000 persone. Il numero così basso si deve al fatto che le forze governative si erano astenute dalla violenza indiscriminata, avevano assunto come bersaglio solo i maschi combattenti e si erano sforzate di risparmiare i civili.
D’accordo, si potrebbe dire. Ma si può negare che Gheddafi abbia minacciato il bagno di sangue se i ribelli di Bengasi non si fossero arresi?
Certo che si può negare, perché è l’esatto contrario di quanto avvenuto. Il 17 marzo Gheddafi si era impegnato a proteggere la popolazione civile di Bengasi ed aveva offerto ai ribelli di lasciare loro aperta una via di ritirata in Egitto. Il suo impegno era credibile perché nelle settimane precedenti le sue forze avevano riacquistato il controllo di tutte le altre città libiche senza compiere massacri di civili.
Il genocidio degli abitanti di Bengasi fu pura propaganda, confezionata dagli espatriati anti-Gheddafi in Svizzera, e bevuta pari pari dai media nostrani smaniosi di sguazzare entro le emozioni forti della guerra e del sangue.
Ma l’intervento NATO ribaltò le sorti dello scontro. Ed i combattimenti divennero più sanguinosi perché le milizie sostenute dalla NATO si abbandonarono ad atti di violenza incontrollata, e continuarono ad usarla in ostilità reciproche che si prolungano a tutt’oggi. Poiché la stima corrente è di circa 11mila vittime totali, e le perdite prima dell’attacco NATO erano di 1000 vite umane, quest’ultimo ha accresciuto di 11 volte il pedaggio pagato dai libici all’intervento dei “liberatori” occidentali.
Nonostante perfino Obama abbia riconosciuto che l’aggressione della Libia è stato un errore, ci sono ancora dei fan delle bombe umanitarie che sostengono che il non intervento avrebbe lasciato Gheddafi in sella peggiorando le cose.
Questi “esperti “ ignorano che era in corso una transizione, preparata da vari anni dal figlio di Gheddafi, Saif, strutturata intorno ad una serie di riforme in direzione di libere elezioni, una nuova costituzione, e una serie di ammende rispetto ai traumi del recente passato.
Saif aveva convinto il padre a fare un’ammissione di colpa per il massacro nelle prigioni del 1966 e a risarcire le famiglie di centinaia di vittime. Tra il 2009 e il 2010 Saif aveva ottenuto il rilascio di quasi tutti i prigionieri politici della Libia ed aveva creato un programma di deradicalizzazione per gli islamisti che gli esperti occidentali citavano come un modello.
È ovviamente impossibile sapere se Saif avrebbe dimostrato la capacità di trasformare la Libia, ma egli sembrava deciso ad eliminare le più eclatanti storture del regime paterno.
Nel corso dei bombardamenti NATO, lo stesso Saif tentò di intavolare una trattativa con esponenti di governi i cui capi avevano mostrato grande amicizia verso il padre, ma fu catturato e imprigionato dalle milizie filo-NATO. Come in Iraq e nel Kosovo, quindi anche in Libia la ragione dei bombardamenti è finita col coincidere con il bombardamento della ragione.