Lettera aperta di Rosalba Romano agli organizzatori del convegno “Giustizia è libertà”

“La mia storia politica è sempre stata rivolta all’organizzazione e alla mobilitazione delle masse popolari, sono e rimango fermamente convinta che questa sia l’unica forza in grado di cambiare la società, ma ritengo che iniziative come quella di Fabriano siano molto importanti per vari motivi”.

 
 
Agli organizzatori del convegno di Fabriano “Giustizia è libertà”
 
 

Lettera aperta di Rosalba Romano, Milano, 29 aprile 2019
 
La mia storia politica è sempre stata rivolta all’organizzazione e alla mobilitazione delle masse popolari (lavoratori, studenti, semplici cittadini), sono e rimango fermamente convinta che questa sia l’unica forza in grado di cambiare la società, ma ritengo che iniziative come quella di Fabriano siano molto importanti per vari motivi: sono la dimostrazione che il disastroso corso che la classe dirigente sta imponendo al paese e i tentativi di eliminare progressivamente le conquiste di civiltà e benessere ottenute con le lotte dei decenni passati sono evidenti anche in ambienti interni al sistema politico e giuridico e che i valori fondanti della Costituzione (benché essa sia stata da sempre elusa e violata nelle sue parti più progressiste) sono ancora materia di riflessione e di mobilitazione.
A causa delle mie precarie condizioni di lavoro nonché alle ristrettezze economiche impostemi anche dal processo penale che mi riguarda, non posso permettermi di partecipare all’iniziativa. Lo avrei fatto volentieri, avrei ascoltato con interesse e, qualora me ne fosse stata data la possibilità, avrei posto alcune domande, oltre a portare il mio “caso giudiziario”, uno di quelli – e sono molti- per cui la legge dimostra di non essere ancora “uguale per tutti”.
In particolare avrei chiesto perché nel nostro paese è “di fatto” vietato denunciare l’esistenza di un potere occulto, un potere che ha le radici ben piantate nella storia italiana e che con essa si è evoluto senza mai estinguersi. Un potere di natura eversiva che opera nelle pieghe delle Istituzioni e dei “corpi democratici”, che si manifesta dietro i “servizi segreti deviati” responsabili dei tanti intrighi e stragi di cui è costellata la nostra storia (da Piazza Fontana alla Uno bianca), dietro i numerosi e crescenti casi di abusi di polizia e gli omicidi di Stato (che colpiscono tanto i comuni cittadini quanto anche “lavoratori in divisa” che perdono la vita nelle caserme o in missione in “circostanze misteriose”), oppure ancora dietro “l’anti-Stato” per quanto riguarda i movimenti, prima di tutto economici, rispetto a questione di interesse nazionale (dalle grandi opere allo smaltimento dei rifiuti, per fare due esempi).
Non è necessario possedere spiccate capacità cognitive o competenze investigative per rendersi conto che non è possibile parlare solo di “deviazioni”, di singole “mele marce” o di “anti-Stato”: la verità che oggi nel nostro paese non è ancora “di fatto” possibile affermare, è che esiste, compenetrato alle alte sfere, in ogni ambito e contesto, un potere trasversale ai tre sanciti dalla Costituzione e pertanto eversivo.
Il termine “eversivo” non è impropriamente usato, benché esso evochi scenari cileni o argentini e cospirazioni tipo “Rosa dei venti”: l’uso congruo del termine eversivo attiene infatti, stante le condizioni del nostro paese, alla sistematica violazione della Costituzione, alla costante e inesorabile tendenza ad approvare e applicare leggi che ne contraddicono i valori, i principi e i dettami, all’ordinarietà di “errori giudiziari” o “interpretazioni” che, presi insieme e messi in fila, sono qualcosa di più dell’anticamera dell’arbitrio.
Personalmente sono stata condannata in primo grado per aver diffamato un poliziotto del VII Reparto Mobile, una “squadretta” che ricorre nelle cronache delle violenze di polizia quasi quanto ricorrono alcuni suoi membri nella cronaca nera.
E se ritengo paradossale che io sia stata condannata perché avrei accomunato la “parte lesa” a una delle “singole mele marce” che infangano il nome della Polizia di Stato, una tesi contro la quale mi batto da anni, ritengo però ancor più “preoccupante” che lo si sia fatto attribuendomi (come si evince dalle motivazioni della sentenza) un reato che non mi è mai stato contestato in sede processuale (negandomi in tal modo il diritto a una piena difesa) e imputandomi di aver travalicato il diritto di critica con un articolo che pone al centro i fatti gravissimi e documentati di cui il suddetto reparto si è reso protagonista.
Rispetto ai limiti imposti di fatto alla libertà di espressione e critica pur riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico ritengo di essere in buona compagnia dal momento che anche il Sostituto Procuratore Generale di Genova Enrico Zucca (tra l’altro testimone al mio processo) ha rischiato il trasferimento di ufficio per aver affermato in relazione al caso Regeni, “ I nostri torturatori sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori” e “ L’11 settembre 2001 il G8 hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali. Lo sforzo che chiediamo un paese dittatoriale È uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper fare per vicende meno drammatiche”, ovvero frasi che rispondono purtroppo a drammatiche verità.
Ma l’essere in così buona compagnia è cosa che, ben lungi dal consolarmi, mi sconcerta e preoccupa non poco.
Non so se il giudice d’Appello riparerà a quella che definisco la mia ingiusta e meritata condanna.
Rispetto a Zucca il CSM ha archiviato, con delle motivazioni che sembrano però l’ulteriore triste monito a non perseverare dopo “il primo avviso” che egli ha ricevuto con l’attacco mediatico a cui fin da subito è stato esposto.
Nel mio caso ci si accontenterà della condanna farsesca del primo grado per scoraggiarmi e scoraggiare con me quanti hanno l’ardire di avventurarsi sulla difficile strada della lotta contro gli abusi di polizia, per l’attuazione dell’articolo 52 della Costituzione, per la trasparenza nelle catene di comando, o si vorrà affondare ancor più il coltello arrivando alla sentenza esemplare che più che una mia sconfitta sarà solo l’ennesimo scotto inflitto alla nostra democrazia?
Con la campagna di denuncia e raccolta di solidarietà che ho avviato, ho ricevuto molto calore e molta disponibilità da parte di tanti. Ho raccolto molti attestati di solidarietà, in forma personale e riservata anche da giuristi, professori, avvocati magistrati ed ex magistrati. Ma ho raccolto, fra questi ultimi, moltissimi “mi spiace, non posso metterci la faccia”, “ con certa gente devo lavorarci”, “abbi fiducia e tutto si sistemerà”.
Ci sono casi, tanto “famosi” come “anonimi” come quello che mi vede appunto coinvolta, in cui si fa davvero un’enorme fatica a ottenere il sostegno pubblico di chi in teoria professa la difesa dei dettami della nostra Costituzione, ivi compresa la libertà di critica e di espressione. Non ci si espone per non rompere “equilibri politici”, “accordi non dichiarati”, nutrendo involontariamente anche in questo modo il cancro di quel potere occulto che così metastatizza ancor più rapidamente.
Il titolo del convegno di Fabriano ha un titolo dallo spessore elevato: “Giustizia è libertà” [il neretto è mio].
In un recente articolo pubblicato su MicroMega Assange e le manette alla libertà di stampa l’autore giunge a conclusioni che ritengo condivisibili: “[..] non c’è alcun bisogno di apprezzare Assange per difenderlo. Non c’è alcun bisogno di considerarlo un “eroe” (categoria a cui è sempre meglio non appartenere), né un “paladino della libertà” e neppure un “giornalista senza paura”. Anzi, oggi si può e si deve difendere Assange anche se ci sta antipatico, anche se ne siamo distanti politicamente, perfino se lo consideriamo (pur senza prove) un “hacker al servizio di Putin”. Lo dobbiamo difendere perché non è in gioco lui, ma il principio del giornalismo che ha il diritto (se non il dovere) di pubblicare notizie vere e verificate proteggendo la propria fonte e indipendentemente dalla propria fonte. È, questo, un principio base della libertà di stampa, della sua forza storica, della sua funzione di controllo in una società aperta. [..]
Voi state con questo principio o con quelle manette?”
È, questo, un principio base della libertà di stampa, della sua forza storica, della sua funzione di controllo in una società aperta.
Di Assange si è parlato, anche se davvero troppo poco in relazione alla portata del suo arresto, ma concretamente si è fatto quasi niente per ottenere la sua liberazione.
Cari organizzatori e relatori di questo importante convegno vi indirizzo una speranza che vuole essere anche un invito affinché
– iniziative come il convegno di Fabriano siano sempre più aperti al confronto con tutti quei semplici cittadini, attivisti, poliziotti, magistrati, che già oggi si schierano (rischiando penalmente e con l’isolamento sociale) in difesa delle parti progressiste della nostra Costituzione;
– fiorisca appieno (perché già esiste, anche se minoritaria) e proliferi nel nostro paese una folta schiera di intellettuali, magistrati, avvocati, politici che abbia la forza di essere conseguente con i sani principi di cui si fa portavoce.
I periodi di grande cambiamento hanno bisogno di scelte di campo decise da parte di tutti.
Laddove esistono diritti democratici c’è libertà, ma i diritti perché questo sia, devono poter vivere nelle scelte di ognuno.
 
Rosalba Romano
 
 

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