“Le gigantesche mobilitazioni popolari a Quito, Santiago, Port-au-Prince, come pure quelle che sono comparse sulla scena europea e asiatica in questo autunno, evidenziano due cose: il potere che ha acquisito la mobilitazione popolare e le azioni collettive che sono in grado di scavalcare i governi […]”
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Le gigantesche mobilitazioni popolari a Quito, Santiago, Port-au-Prince, come pure quelle che sono comparse sulla scena europea e asiatica in questo autunno, evidenziano due cose: il potere che ha acquisito la mobilitazione popolare e le azioni collettive che sono in grado di scavalcare i governi, mettendo in discussione un modello che produce miseria in basso e lusso in alto. Il modello neoliberista ed estrattivista mostra evidenti segni di crisi. La stabilità dei governi che, al di là del colore politico, lo considerano il solo possibile è un’illusione che durerà sempre meno, ma nel caos in cui siamo immersi, non si vede per ora alcun orizzonte che possa davvero sostituire quel modello nefasto. Dobbiamo pensare in termini di decenni, più che di anni e, meno ancora, comprimere i cambiamenti in corso in base ai tempi elettorali. Il grande disordine in cui viviamo è comunque preferibile all’ordine del cimitero sociale di cui hanno bisogno i capitali per continuare ad accumulare, però non basta per modificare le cose. Il sistema è abituato a ricondurre la protesta sociale verso i suoi interessi, noi non possiamo che continuare a cercare le vie per trasformare la congiuntura in uno scenario favorevole ai popoli |
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È a scuola che Greta ha visto il documentario con l’isola di plastica più vasta del Messico galleggiare nel Pacifico e non se l’è più tolta dalla testa. È intorno alla scuola, a cominciare magari da almeno un venerdì al mese, che è possibile creare luoghi nei quali moltiplicare le domande e cercare percorsi per affrontare i cambiamenti climatici. “Se non cambiamo – scrive Franco Lorenzoni -, vuol dire che non abbiamo capito…” |
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Sono settimane di rivolte in diversi angoli del pianeta. Cosa sta accadendo? Il sistema-mondo costruito sull’accaparramento delle risorse e su una feroce finanza non riesce a crescere, quelli che sono in basso pagano il conto salato. Tuttavia non basta scorgere i segni dei tempi, abbiamo bisogno di domande nuove, di orizzonti diversi, di imparare a guardare il mondo con gli occhi dei più umili e dei più deboli, magari a cominciare dalle persone che accanto a noi vivono una fragilità fisica che condiziona la vita di ogni giorno. “Per coloro che vivono cercando di cambiare il mondo, le cose da modificare sono spesso considerate solo esterne. Nulla, però di quello che si vive – scrive Antonio De Lellis, da anni impegnato con Attac – è davvero esterno e nulla solo interno… Credo che nulla possa sostituire quella speranza che sono le relazioni umane autentiche, vive e concrete vicine a noi…” |
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Raccogliere e distribuire scarpe ai migranti e a chi li sostiene, incontrare le vittime delle torture della polizia croata, scoprire ristoranti in cui vengono diffusi cartelli con su scritto “Migrants are not allowed to sit in the restaurant!”. Al di là di Trieste, lontano dalle attenzioni dei “grandi” media, c’è chi viaggia lungo la Bosnia per raccontare una rotta invisibile, quella che lega i Balcani al Friuli, e per alimentare la voglia di vita e la “disperata speranza” che i migranti nonostante tutto portano con loro. Il racconto di uno degli ultimi viaggi di due persone comuni (e per tanto, secondo l’idea zapatista, ribelli), Loredana e Gian Andrea |
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Della vergogna dei decreti sicurezza si parla sempre meno. Intanto restano lì in vigore. E ispirano provvedimenti perfino più razzisti. Accade in Lombardia, come denuncia l’Associazione Naga, a proposito di accesso alle cure |
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Sarebbe dunque finalmente arrivato il tempo in cui la città santa, il cuore delle tre religioni monoteistiche, può esser trasformata nella grande attrazione turistica mercificata del Medioriente? Il simbolo attuale di questo nuovo affronto alla storia millenaria di Gerusalemme è una funivia progettata dal governo israeliano che dovrebbe attraversare i quartieri palestinesi per stravolgerli e poi tentare di svuotarli. Una “priorità nazionale” che non ha certo solo finalità economiche. Lo segna la fondata speranza di poter controllare e manipolare una volta per tutte la narrazione della storia della città |
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C’è una cosa che in ogni scuola si dovrebbe fare: imparare ad aiutarsi. Altrimenti, racconta la maestra Penny, ci sarà sempre qualcuno che penserà di essere più intelligente e più forte degli altri. E che saprà soltanto costruire muri. “Da bambina non sapevo niente, non riuscivo a memorizzare le cose… Sono cresciuta pensando di non valere niente… Odiavo la scuola, perché qualcuno mi aveva fatto credere che non ero capace. È una sensazione così brutta che nessun bambino ha diritto di viverla nemmeno per un momento, che, poi, te la porti dietro come fosse una verità su di te. Basta qualcuno che creda in te per farcela…” |
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Questa settimana si è aperto l’anno rodariano. Talmente critico nei confronti della scuola, da chiamarla, nel 1968, «riformatorio a ore», Gianni Rodari, il più grande e per lunghi anni sottovalutato scrittore di favole e filastrocche del Novecento italiano, si è avvicinato al Movimento di cooperazione educativa e ha immaginato una nuova idea di insegnante. Considerava il movimento operaio il suo committente, ma, come rilevò con amarezza il maestro Mario Lodi, i suoi versi, le sue storie per l’infanzia, sono finiti spesso come «uccellini in gabbia» in libri e antologie, addomesticati, resi innocui da una melassa di buoni sentimenti. Con il trascorrere degli anni, però, quell’uccellino ha aperto la gabbia e mostrato tutta la sua straordinaria tenacia e potenza “visionaria”: “Il senso dell’utopia, un giorno, verrà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito, l’odorato, ecc. Nell’attesa di quel giorno tocca alle favole mantenerlo vivo, e servirsene per scrutare l’universo fantastico», scrisse. Grazie per averci insegnato che la fantasia può avere una sua grammatica e che tutto, perfino gli errori, può essere immaginato in modo diverso, Gianni Rodari #Bastaunoscrittore |
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Quando scoppia una rivolta di massa tutti sono costretti a chiedersi le ragioni di quella esplosione. Alcuni degli elementi che possono spiegare l’insurrezione cilena sono legati al modello economico iperliberista di questo paese. Il Cile è il secondo paese più diseguale del mondo dopo il Qatar, affoga nel debito, le multinazionali, a cominciare dall’Enel, gestore dell’acqua e dell’energia, fanno quel che vogliono, la repressione è feroce, protetta com’è da una Costituzione che è ancora quella introdotta da Pinochet |
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Un concorso di scrittura e video per la raccolta di storie di migranti nella città di Roma |
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