Nel pomeriggio il centro storico di Firenze viene invaso da un imponente corteo di migliaia persone, provenienti anche da altri comuni toscani, in occasione della manifestazione regionale contro l’aggressione della Turchia del dittatore Erdogan alla confederazione della Siria del Nord.
Firenze. La polizia attacca il corteo contro la guerra in Siria del Nord
Nel pomeriggio il centro storico di Firenze viene invaso da un imponente corteo di migliaia persone, provenienti anche da altri comuni toscani, in occasione della manifestazione regionale contro l’aggressione della Turchia del dittatore Erdogan alla confederazione della Siria del Nord. Poi la manifestazione punta alla stazione Santa Maria Novella, nel tentativo di bloccare i gate di accesso ai binari ferroviari per far ascoltare le richieste della piazza e mostrare tutto il proprio sostegno a chi, proprio in queste ore, sta resistendo in Siria sotto le bombe turche.
Nonostante le numerose cariche della polizia sui manifestanti dentro la stazione, centinaia di giovani non si muovono di un millimetro, chiudendo di fatto l’ingresso principale per alcune ore, mentre al megafono si alternano interventi contro il fascista Erdogan. Un gruppo di manifestanti riesce a eludere gli sbarramenti polizieschi e raggiunge l’atrio della stazione sventolando le bandiere della rivoluzione confederale. Ancora quattro cariche e violenze della polizia fuori dalla stazione mentre il corteo defluisce, a cui si resiste con rabbia e determinazione.
Il messaggio della piazza di Firenze è chiaro: questo è il momento di agire e di usare tutte le nostre energie finché le istituzioni italiane non prenderanno provvedimenti seri contro la vile aggressione turca. Non è più il tempo delle mobilitazioni per gli” addetti ai lavori”, né per iniziative di testimonianza e autorappresentazione. È il momento in cui siamo chiamati a dispiegare un conflitto vero, vivo. È il momento di portare richieste chiare all’attenzione internazionale, facendo il possibile perché queste richieste trovino lo spazio di essere ascoltate. Fare ciò che, da qui, davvero può servire a fermare le bombe di Erdogan e difendere la rivoluzione.
“Stop bombing Northern Syria!” è la voce che si leva forte e prolungata dal corteo rivolta alle istituzioni italiane ed europee, perché agiscano in maniera davvero concreta contro la Turchia, in primis con un blocco delle esportazioni di armi e con una no-fly zone sull’area. Soprattutto in un momento quanto mai drammatico in cui la finta tregua di Trump non è altro che uno sporco gioco per lasciare campo aperto alla Turchia e ai suoi piani genocidi. La manifestazione ricorda chiaramente come nessuna tregua sia in atto: mentre le SDF resistono con tenacia all’invasione, gli aerei continuano a sganciare bombe sui civili, alcune delle quali trasportate da mezzi prodotte da fabbriche italiane, come la Leonardo Finmeccanica. Dopo aver attraversato il centro, il corteo sosta sotto Palazzo Vecchio per ribadire ancora che le istituzioni cittadine, regionali e nazionali (presente al corteo il Presidente del consiglio regionale Eugenio Giani) devono agire subito e concretamente contro la guerra.
Tantissimi gli interventi che cercano di comunicare come a essere sotto attacco sia la rivoluzione confederale, unica speranza e elemento concreto di pace in un Medioriente devastato dalla guerra, esempio di convivenza tra popoli, di autonomia delle donne, di ecologismo, di una società egualitaria e democratica. Soprattutto si ricorda come sotto le bombe siano proprio coloro che hanno sconfitto l’Isis: i tantissimi giovani presenti in massa, che ricordano bene quanto successo negli scorsi anni al Bataclan e nelle altre capitali europee, sentono che la lotta della confederazione democratica è anche la loro, che questa guerra è una guerra anche contro di loro, e contro tutti coloro che lottano in questo presente per una società democratica e più giusta.
L’atteggiamento nervoso della polizia mostra come finora lo Stato italiano si sia schierato solo a parole. C’è bisogno di agire subito, andando oltre a prese di posizioni testimoniali o retoriche radicali che in verità non si pongono alla altezza del nostro compito: fare tutto quanto in nostro potere per fermare questa guerra, mentre i nostri fratelli e sorelle in Siria stanno morendo per difendere una rivoluzione che è anche la nostra.
Come hanno detto anche genitori di Lorenzo Orsetti, fiorentino ammazzato in un’imboscata delle milizie di Daesh: “È il momento di chiedere e imporre ai nostri governanti, all’Europa e agli organi internazionali di fare qualcosa di concreto per fermare la guerra. Scendiamo in piazza, manifestiamo la nostra solidarietà e chiediamo la pace per il Rojava, perché è la nostra lotta, quella per un mondo migliore e più giusto, libero dal fascismo, dal capitalismo, dal sessismo e dalle violenze”.
Parole importanti, che pesano e si scontrano tanto con l’ipocrisia dell’Italietta, che schiera la polizia davanti a chi vuole fermare il genocidio in corso, quanto con le retoriche autoreferenziali dei politici di professione, che elevandosi a giudici della situazione vogliono sfruttare la tragica occasione per ritagliarsi notorietà e pubblicità, senza mettere nulla di concreto in campo contro gli orrori perpetrati dalla Turchia.
La giornata di ieri manda un segnale chiaro a tutti: c’è una generazione che non è disposta ad accettare altre prese in giro, che rifiuta di guardare impotente a quanto accade in Medioriente e che continuerà ad agire e mobilitarsi, sensibilizzando e ponendo ogni possibile rigidità che possa determinare un cambiamento dell’esistente.
20 Ottobre 2019