Quello che Greta Thunberg non può dirvi

Sul fenomeno politico di Greta Thunberg, visto il modo in cui i media insistono nell’informarci di ogni suo passo, mi sembra sia possibile fare un parallelo con la figura di Giovanna d’Arco: entrambe sono icone costruite ad arte da un’attenta campagna propagandistica in fine di mobilitare le masse verso determinati obiettivi.

Perché?

Una delle caratteristiche dell’homo sapiens è di adattarsi facilmente alla realtà; in natura si tende a  ragionare in termini di individualità, o al limite di un gruppo sociale ristretto verso cui si è legati affettivamente e materialmente (la famiglia); l’essere umano non tende, nel suo stadio naturale primitivo, a ragionare in termini di collettività e totalità.

È vero che l’essere umano può innalzarsi da questa condizione naturale di animalità, avendo la capacità di apprendere quelle che i greci chiamavano le téchne (tecniche), la più elevata delle quali per Protagora era la politica, ossia la tecnica utile a partecipare a governo della polis. Il percorso di formazione (paideia), grazie al quale i sofisti erano convinti che tutti avessero la possibilità di diventare cittadini coscienti e attivi, è però oggi costantemente ostacolato dal totalitarismo “liberale”, che ha bisogno di sudditi incapaci di spirito critico, piuttosto che di “animali politici” consapevoli dei loro diritti. Nella società di massa a suffragio universale si pone però le necessita di mantenere l’egemonia culturale, indirizzando le masse verso bisogni e obiettivi indotti; di qui la necessità di costruire degli “eroi”, dei simboli che incarnino, ammantandoli di un’aura sacrale, gli scopi perseguiti dai sovrani: per Carlo di Valois la “pulzella” era utile a mobilitare la masse popolari francesi, in particolar modo quelle contadine; in quel caso Giovanna era l’immagine iconica della vergine, pura, innocente e in diretto contatto con Dio, una nuova Madonna insomma; un’immagine perfetta per lanciare la crociata patriottica tesa al doppio obiettivo di costruire un’identità nazionale “moderna” su cui garantire il dominio monarchico e liberare la Francia dall’oppressore straniero.

 

Greta Thunberg è la punta di diamante di una campagna più imponente e raffinata. I gruppi più coscienti e potenti delle classe dominanti sono consapevoli del rischio di una catastrofe ecologica imminente; sanno bene che l’unica maniera di risolvere il problema sarebbe procedere alla pianificazione totale dell’economia; non possono però praticare tale piano: distruggerebbero il capitalismo, ossia il potere delle multinazionali e del grande Capitale, di cui i ceti politici reazionari, primariamente liberali e socialdemocratici, fanno gli interessi, seppur con sfumature e blocchi sociali diversi.

Non è questa la soluzione politica, progressista e rivoluzionaria, che le classi dominanti, al comando diretto o indiretto delle principali strutture economiche e politiche, intendono praticare. Il piano strategico della borghesia diventa il seguente: far credere al popolo che la situazione si possa risolvere con la diffusione di buone pratiche individuali ed ecologiche, quali ad esempio la sensibilizzazione alla raccolta differenziata e il rifiuto della plastica. Questa opera di educazione delle masse popolari sulla questione ambientale è senz’altro positiva, perché aiuta a concentrare l’attenzione su un problema urgente per l’umanità intera. La tattica fa leva sulla mobilitazione degli intellettuali e artisti per sostenere una nuova etica ambientale, la quale però rimane scollegata dalla presa di coscienza politico-economica.

Greta Thunberg diventa la nuova Giovanna d’Arco dei tempi moderni: è una ragazza pulita, vergine, innocente, minorenne (rappresenta le future generazioni) e con la sindrome di Asperger. Una ragazza qualunque, eppur speciale (anche per il disturbo cui è affetta, che certamente ne accentua la popolarità), che ha fatto della questione ambientale la propria ragione di vita, tanto da mettere la lotta di fronte alla stessa prosecuzione degli studi. Non è necessario mettere in discussione la sua personale buona fede, anche se molti dubbi sono già sorti sulle strumentalizzazioni attuate dai suoi genitori e dai politici.

Avendo 16 anni Greta molto probabilmente non ha neanche la più pallida idea di chi sia Karl Marx, né conosce gli argomenti storici dell’imperialismo. La sua indignazione per le evidenti storture del sistema si basa su fondamenti morali e scientifici, ma non dal punto di vista economico-politico. I suoi appelli ai leader del mondo, nella misura in cui assumono un tono di esortazione maternalistica e moralistica, possono servire a catturare le simpatie delle masse popolari e delle nuove generazioni, ma non sono in grado di far avanzare il movimento sociale conseguente (specie tra le giovani generazioni) più in là di una presa di coscienza ambientale ma non politica della questione. Il fatto non è evidentemente casuale. Greta diventa il “messia” dai tratti già eroici, se non addirittura semi-divini, con cui si cerca di incanalare le masse popolari ad un cambiamento che sarà comunque insufficiente per risolvere il problema collettivo. Senza un necessario cambiamento strutturale della nostra società, soltanto pochi riusciranno a salvarsi dalla futura catastrofe ambientale, e certo non saranno i più poveri.

L’imperialismo e il Nuovo Ordine Mondiale costruito dagli USA hanno costruito le premesse per l’autodistruzione dell’umanità. Il capitalismo stesso è incompatibile con la sopravvivenza del nostro pianeta, e quindi di noi stessi, che siamo creature della natura. O l’homo sapiens evolve davvero integralmente in un “homo politicus”, oppure è destinato ad estinguersi. È la legge darwiniana dell’evoluzione. Dato che non esiste alcuno spirito provvidenziale che guida la storia, occorre prenderne atto: esiste la possibilità concreta che la razza umana si estingua. Così come esiste la possibilità di una sua sopravvivenza in un strutture sociali diverse: uno scenario verosimile è che lo sfruttamento e il potere di una ristretta élite si rafforzino a livelli tali da costringere l’umanità ad affrontare la catastrofe in sistemi sempre più autoritari e semi-servili. Se arriverà il momento in cui gli oceani si alzeranno di svariati metri, rendendo inabitabili buona parte delle fasce costiere del pianeta, non potrà non derivarne infatti una condizione di profonda crisi politica dei regimi esistenti. I possibili esiti rivoluzionari sono quindi da prevenire, ridefinendo i patti sociali e costituzionali in senso schiettamente borghese al fine di garantire la classe dominante al potere. La borghesia sta cioè rompendo consapevolmente, ormai da almeno 40 anni il compromesso tra Capitale e Lavoro che aveva caratterizzato il capitalismo occidentale negli anni conseguenti alla grande guerra antifascista e della guerra fredda. La borghesia sta vincendo, e sta plasmando con successo nuove strutture economico-politiche per rimettere in discussione la logica dei diritti sociali e della sovranità popolare (vedasi ad esempio l’Unione Europea). Si iniziano ormai apertamente campagne culturali contro il suffragio universali, che hanno successo perfino sui social network.

Movimenti come quello italiano delle “sardine” sono da questo punto di vista perfettamente subalterni all’ideologia dominante, e rimane il dubbio che si tratti di fenomeni costruiti e pilotati ad arte, secondo tecniche simili a quelle delle “rivoluzioni colorate” teorizzate da Gene Sharp ormai oltre 20 anni fa. Se la tendenza storico-politica è ad una vittoria del totalitarismo “liberale”, quanto meno in occidente, davvero pochi proletari si salveranno davvero, mentre i più saranno i nuovi schiavi di un sistema ri-feudalizzato. L’unica maniera di sfuggire a questi processi passa dalla necessità di porre completamente l’economia sotto controllo politico popolare, in modo da poterla riconvertire uscendo dall’anarchia produttiva che caratterizza il capitalismo. Ciò significa, anche per i liberali e i sinceri progressisti, ripensare la necessità di una completa transizione ad un’economia socialista, nell’ambito di un riassetto istituzionale verso una reale democrazia popolare e pluralista, che parta però da premesse costituzionali improntate non solo all’antifascismo e all’ecologismo, ma anche all’anticapitalismo. La borghesia è oggi il più grande nemico della razza umana e ci sta conducendo sul baratro dell’apocalisse. La borghesia va quindi totalmente espropriata del controllo dei mezzi di produzione (fabbriche, banche, grandi aziende, ecc.) e deve smettere di esistere, immediatamente come classe politica ma in breve tempo anche come stessa classe sociale.

Solo un ordine del genere può cancellare le pressioni e il potere del padronato più stolto, incapace di guardare al di là del bilancio di fine anno della propria azienda; solo una rivoluzione di tale portata potrebbe avviare quel mastodontico processo di riconversione produttiva con cui si possa pianificare totalmente l’attività economica ed energetica, comprese le emissioni dannose al pianeta. Tutto ciò è possibile grazie all’esperienza accumulata dagli esperimenti politici del ‘900 (i piani quinquennali sovietici) e all’attuale pianificazione macro-economica cinese; la pianificazione può risorgere anche grazie alle innovazioni avvenute in campo tecnologico: gli enormi progressi avvenuti in campo informatico negli ultimi 30 anni permettono nuove importanti applicazioni nel settore produttivo e nella distribuzione dei beni e servizi, materiali e spirituali, necessari ad una vita universalmente dignitosa e prospera.

Queste tesi politiche, qui velocemente presentate ma i cui fondamenti sono stati approfonditi altrove[1], mi sembrano una base minima di discussione necessaria per affrontare seriamente la questione del futuro della nostra specie. Queste tesi mi sembrano cioè la base minima di una coscienza economico-politica connessa al problema ecologico. Una coscienza di classe per sé. Il pianeta e la specie umana possono salvarsi sacrificando na gran parte dell’umanità stessa, il proletariato. Quest’ultimo deve prendere consapevolezza delle modalità con cui può salvare non solo il pianeta e la specie umana, ma se stesso. Se non lo farà, perirà.

Siccome dobbiamo ipotizzare il caso peggiore possibile, mi sembra abbastanza improbabile che Greta da un giorno all’altro possa maturare una simile coscienza di classe; se anche riuscisse a farlo, le toglierebbero il megafono mediatico o farebbero in modo di eliminarla (come in passato con un Martin Luther King, o oggi con un Julian Assange); non c’è da sperare che il movimento ambientalista ci arrivi per via autonoma (Lenin docet, vd Che fare?). Occorre allora l’azione organizzata della minoranza che ha acquisito coscienza di classe, in senso antimperialista, anticapitalista e socialista.

Bisogna insomma sforzarsi di contribuire al processo di ricostruzione di un’adeguata organizzazione comunista, uscendo il prima possibile dall’attuale frammentazione politica. I comunisti più coscienti sanno che sorgono movimenti assai eterogenei e deboli ideologicamente. Guardando alla situazione italiana, ha senso intervenire in tali movimenti solo in forma organizzata e con l’obiettivo di egemonizzare le assemblee, sapendo che allo stato attuale riuscire ad attirare anche solo alcune centinaia di militanti sarebbe un’importante inversione di rafforzamento. Un obiettivo simile è praticabile solo con un’adeguata organizzazione e laddove si dispongano di energie iniziali sufficienti. Il movimento non è comunque il fine, ma il mezzo con cui si può rafforzare l’avanguardia politica.

I comunisti hanno quindi di fronte due percorsi (superamento della frammentazione politica e intervento mirato sui movimenti) non necessariamente in contrapposizione, che possono accelerare il processo di ricostruzione del partito che ci serve, il solo in grado di ridare speranza e futuro alle masse popolari italiane (quelle mondiali dipendono da altri, in buona misura dai compagni cinesi, e anche di questo occorrerebbe tener conto).

Occorre percorrere entrambe le strade con buona volontà, ma con criterio e raziocinio.

Il superamento della frammentazione non può voler dire unità organizzativa indiscriminata, con chiunque. Rimane valida la riflessione fatta in altra sede[2], perché l’organizzazione che ci serve non può che avere piena compattezza ideologica e politica, altrimenti non sarà mai in grado di sottrarre l’egemonia culturale ai “liberali”:

«L’analisi del passato e la confutazione delle falsità borghesi sono aspetti necessari per qualsiasi tentativo serio di ricostruzione per il presente. Costruire progettualità politiche con chi invece continua a sostenere tesi storiografiche e politiche controrivoluzionarie e borghesi non può portare ad altro che a costruire castelli di sabbia destinati ad infrangersi alla prima mareggiata. In certi casi è meglio andare da soli che male accompagnati, come mostra il caso di Gorbacev e di tanti compagni di viaggio che alla fine si sono dimostrati più opportunisti che comunisti».

La tesi è chiara: l’umanità può sopravvivere solo se distrugge l’imperialismo e il capitalismo che stanno distruggendo il pianeta. Siamo evidentemente in grande ritardo e non c’è da essere molto ottimisti. Eppure rimane granitica la certezza incorniciata dal motto di Rosa Luxemburg: o socialismo o barbarie.


[1]     In particolar modo nelle 2279 pagine di A. Pascale (a cura di), Storia del Comunismo, Intellettualecollettivo.it, 2019, e per le parti riguardanti il totalitarismo “liberale” in A. Pascale, Il totalitarismo “liberale”. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2019. Il primo libro e molti materiali del secondo, sono disponibili liberamente su Intellettualecollettivo.it.

[2]     A. Pascale, Modrow, Rizzo e la fine della DDR, Intellettualecollettivo.it, 22 novembre 2019.

di Alessandro Pascale per l’AntiDiplomatico

 

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