Per moltiplicarsi, diffondersi e dilagare, i virus che fanno tanta paura hanno bisogno delle condizioni adatte. Questo insegna da secoli la storia sociale della medicina. Nel nostro tempo, quelle condizioni sono state create da un sistema dominante “libero” di servire un solo signore: il denaro (e la sua insaziabile accumulazione). Per questo sono state devastate le foreste e invasi gli habitat, fino a sconvolgere gli equilibri dell’ecosistema; e per questo si continua ad alimentare un’economia che produce enormi mutazioni del clima. L’epidemia che sta terrorizzando il mondo, dicono alle Nazioni Unite, è “riflesso della degradazione ambientale”. Per la stessa ragione di cui sopra i governi italiani hanno sottratto decine di miliardi alla spesa pubblica per la nostra salute e, poco più di un mese fa, quando il virus era solo “cinese”, la Spagna ha mandato a casa 18 mila lavoratori della sanità. Oggi ci viene chiesto di sospendere ogni diritto e ogni relazione sociale fino all’isolamento dei corpi. Sarebbe troppo pretendere, visto che non possiamo più neanche uscire di casa, che si cessi di consegnare le nostre speranze di vivere alla volubilità dei mercati e che la salute di tutti, ma proprio tutti, compresi gli anziani e i detenuti, diventi davvero più importante dell’accumulazione di denaro? Se davvero l’Italia ha tagliato almeno 37 miliardi dalla spesa pubblica per la nostra salute, cominci a pensare di rimettercene 74, perché non è difficile prevedere che a questa letale crisi, più prima che poi, ne seguiranno diverse altre. Dove andarli a prendere, quei soldi, dovrebbe ormai essere piuttosto evidente: ovunque ce ne sono troppi in mano a pochi
Sono trascorsi secoli da quando abbiamo imparato a conoscere l’importanza dei contesti sociali e naturali in cui si radicano e moltiplicano i virus, anche perché conviviamo con essi e non sempre ci minacciano. La peste nera ci ha insegnato che virus preesistenti si moltiplicano e diffondono quando si creano le condizioni appropriate perché ciò avvenga. Nel nostro caso, quelle condizioni sono state create dal neoliberismo.
In “La peste nella storia” (Einaudi, 2012), William McNeill rileva alcune questioni, ancora di grande attualità, quando analizza la peste nera che infuriò in Europa dal 1347. I cristiani, a differenza dei pagani, si prendevano cura degli infermi, “si aiutavano tra loro in epoche di pestilenza” e in quel modo contenevano gli effetti della peste. La “saturazione di esseri umani”, la sovrappopolazione, è stata invece un fattore chiave nell’espansione della peste.
La povertà, una dieta poco variata e la non osservanza delle “superstizioni”, cioè dei costumi locali delle popolazioni, a causa dell’arrivo di nuovi abitanti, trasformarono le pestilenze in disastri. Fernand Braudel aggiunge che la peste,l”idra dalle mille teste”, costituisce una costante, un elemento strutturale della vita degli uomini (“La struttura del quotidiano”).
Quanto poco abbiamo imparato!
La peste nera ha distrutto la società feudale a causa dell’acuta scarsità di mano d’opera in seguito alla morte, avvenuta in pochi anni, della metà della popolazione europea, ma anche a causa della perdita di credibilità delle istituzioni. È soprattutto il timore di quella stessa perdita di credibilità che oggi spinge gli Stati a rinchiudere milioni di persone.
L’epidemia di coronavirus (ora dichiarata ufficialmente pandemia dalla OMS, ndr) in corso ha alcune particolarità. Provo a focalizzare lo sguardo su quelle sociali, anche perché non ho competenze su questioni scientifiche elementari.
L’epidemia attuale non avrebbe l’impatto che ha se non fosse per i tre lunghi decenni di neoliberismo che abbiamo alle spalle. Essi hanno causato danni ambientali, sanitari e sociali probabilmente irreparabili.
Le Nazioni Unite, attraverso l’Unep, riconoscono che l’epidemia “è riflesso della degradazione ambientale“. Il rapporto segnala che “le malattie trasmesse da animali a esseri umani stanno crescendo e peggiorano man mano che gli habitat selvaggi vengono distrutti dall’attività umana”, perché “gli agenti patogeni si diffondono più rapidamente verso le mandrie o le greggi e gli esseri umani“.
Per prevenire e limitare le zoonosi (le malattie infettive degli animali, ndt), bisogna fermare “le molteplici minacce agli ecosistemi e alla vita selvaggia, tra le quali (spiccano, ndt) la riduzione e la frammentazione di habitat, il commercio illegale, la contaminazione e la proliferazione di specie invasive e, in misura sempre maggiore, il cambiamento climatico“.
La seconda questione che moltiplica le epidemie sono i forti tagli al sistema sanitario. In Italia,negli ultimi 10 anni, si sono persi 70 mila posti lettoospedalieri con 359 reparti chiusi, oltre ai numerosi piccoli ospedali che sono stati abbandonati. Tra il 2009 e il 2018 la spesa sanitaria è cresciuta del 10 per cento, contro il 37 della media dei paesi dell’Ocse. Oggi in Italia ci sono 3,2 letti per ogni mille abitanti mentre in Francia 6 e in Germania 8.
Tra gennaio e febbraio, già durante la piena espansione del coronavirus, il settore sanitario spagnolo ha perso 18.320lavoratori. I sindacati delle categorie denunciano: “l’abuso della contrattazione temporanea (interinale, ndr) e della precarietà nell’occupazione”, mentre le condizioni di lavoro si fanno ogni giorno più dure.
Questa politica neoliberista è una delle cause per le quali l’Italia è stata costretta a mettere in quarantena tutto il paese e la Spagna potrebbe seguire lo stesso cammino.
La terza questione è l’epidemia di individualismo e disuguaglianza, coltivata dai grandi media che si dedicano a diffondere la paura, informando in maniera distorta. Per oltre un secolo abbiamo subito una potente offensiva del capitale e degli Stati contro gli spazi popolari di socializzazione, mentre vengono invece benedette le cattedrali del consumo, come quelle dello shopping.
Il consumismo spoliticizza, provoca una sorta di smarrimento di sè e comporta una “mutazione antropologica” (come denunciò Pasolini). Al giorno d’oggi, come segnala invece un’indagine dell’università colombiana, ci sono più persone che desiderano avere animali da compagnia che figli. È questo il mondo che abbiamo creato e del quale siamo responsabili.
Le misure che vengono prese aggravano l’epidemia. Lo Stato sospende la società nell’isolare e confinare la popolazione nelle sue case, proibendo perfino il contatto fisico.
La disuguaglianza è la stessa del Medioevo, quando i ricchi correvano nelle loro case di campagna al momento in cui si annunciava la peste, intanto i poveri “restavano soli, prigionieri nella città contaminata, dove lo Stato li alimentava, li isolava, li bloccava, li vigilava” (Braudel).
Il modello del panopticoncarcerario digitalizzato, che sospende le relazioni umane, sembra essere l’obiettivo strategico del capitale per non perdere il controllo nell’attuale transizione sistemica.
“Siamo spaesati. Non sappiamo quanto durerà e quanto trasformerà le nostre vite. Quanto sono già mutate. I primi a mostrare la loro debolezza e a scomparire sono stati gli argomenti che infiammavano il paese, dai bar ai talk show televisivi. Chi se lo ricorda più il governo Conte uno?…”. Abbiamo nuovamente sbirciato nel diario di Ascanio Celestini
Le ore delle rivolte in carcere (foto, Bologna). Il quarto decreto del governo in una settimana. Le critiche contro i precari, rimasti senza lavoro, tornati dai genitori nelle regioni del sud. La campagna comunicativa «Restate a casa» che dimentica chi lavora nei front office, chi manda avanti gli uffici pubblici e i servizi, o quelli delle catene di montaggio. E ancora: la consapevolezza che in Italia, nel periodo da dicembre (esplosione dell’epidemia a Wuhan) a fine febbraio non si è fatto nulla per rafforzare i presidi sanitari. La lettura delle misure di contenimento da cui sembra che ciascun italiano ha almeno una stanza tutta per sé e un bagno separato dentro una casa spaziosissima. Chi per «emergenza» intende il pericolo da cui l’emergenza prende le mosse, cioè l’epidemia, e chi, invece, chiama da tempo «emergenza» quel che viene costruito sul pericolo (il clima che si instaura, la legislazione speciale…). Ma soprattutto l’infinita voglia di cercare chiunque non abbia ancora ceduto all’insensatezza…. La terza puntata del “diario virale” di Wu Ming merita molte, molte attenzioni
“Tu resti fuori”: è quanto rischia di sentirsi dire in ospedale, in questi giorni, chi, qualora insieme a lui e lei dovessero giungere altre persone con più probabilità di guarire. “Tu resti fuori” dai confini dell’Europa si sentono gridare i migranti. “Tu resti fuori” è quanto di fatto viene detto ai 50.000 senza dimora che non hanno una casa in cui rifugiarsi per evitare il contagio. E se cominciassimo subito ad aprire le caserme inutilizzate e altri spazi pubblici per garantire una casa a chi non ce l’ha, con i dovuti servizi collaterali?
Le persone in fila, distanti un metro tra loro, che scambiano due chiacchiere più del solito. Le coppie a braccetto e con la mascherina. I saluti agli anziani che normalmente restano poco visibili… Perfino al tempo del Covid-19 possiamo allenare la nostra capacità di riconoscere e alimentare ciò che nei piani bassi della società e nella vita di ogni giorno crea cambiamenti importanti
Facciamo che ognuno di noi chiama 3 amici al telefono e gli racconta una favola. Niente video né audiomessaggi. La proposta comincia a rimbalzare in rete e al telefono. I destinatari delle chiamate non hanno età. Federica ha riso tutto il tempo della telefonata, racconta Stefano. Ecco come l’idea è nata intorno a Cento Rodari e come partecipare. Raccontiamo l’esito delle chiamate, insomma, riempiamo il Paese di favole
Ridurre gli spazi di democrazia nella scuola in nome dell’efficienza, pensare la didattica on line come un fine invece che un mezzo (per altro non neutrale), lasciare la porta spalancata ai colossi informatici, smettere di fare domande su cosa, come e perché apprendere. Sono molti i rischi per l’universo della scuola in questi giorni. Scrive Matteo Saudino, insegnante di filosofia: “La domanda ineludibile è pertanto sempre la stessa: che scuola vogliamo? E per costruire quale società? Senza rispondere in modo consapevole a tale quesito continueremo a navigare a vista, passando da un’emergenza all’altra e subendo le volontà di un potere politico sempre più subalterno ai poteri economici e ormai rinchiuso nelle aride logiche del profitto e della competizione…”
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