“Dai cocci non nasce nulla”

Rifondazione comunista ha aperto la discussione, attraverso la teleconferenza del 28 marzo, su una proposta di ricostituzione di una forza di sinistra che raccolga la sfida di Draghi e crei le condizioni per una alternativa. L’intenzione è sicuramente interessante e va esaminata attentamente.

In premessa però va detto che la parola ‘alternativa’ risulta un po’ pretenziosa. Alternativa a chi? Creare un’alternativa significa dire alla gente che il nostro progetto oggi possa essere quello di sostituire l’attuale regime liberista con un governo popolare e progressista? E’ questa la previsione?

L’ipotesi ci sembra azzardata ed è invece necessario dire le cose come stanno. Sembra una questione di lana caprina, ma in effetti non lo è, perchè col romanticismo ‘rivoluzionario’ circolato in questi anni dire ‘alternativa’ vuol dire andare ancora una volta fuori strada e non far capire a quello che dovrebbe essere il nostro popolo che cosa ci proponiamo realmente di fare.

Già, che cosa vogliamo dunque effettivamente fare? Dalla discussione aperta da Rifondazione si deduce che la sinistra dovrebbe ritrovarsi in un progetto unitario che faccia fronte al nuovo governo di unità nazionale a guida liberista (e militare) per difendere gli interesse popolari e combattere per un modello di società che, detto in sintesi, si basi sui principi costituzionali: rifiuto delle guerre, intervento economico pubblico per uno sviluppo sociale dell’economia, rispetto dei diritti costituzional­mente garantiti.

Se questo è il progetto l’intenzione è ottima e, come l’uovo di Colombo, servirebbe a superare la solita dicotomia tra chi in questi decenni si è sentito, ‘antagonista’ e chi ‘istituzionale’ e ci si ritrovi insieme per proiettarci sugli obiettivi concreti e su come realizzarli e, soprattutto, per creare un movimento politico che sia capace di sorreggere un tale programma. Dal dibattito del 28 marzo però questo non è emerso con chiarezza. Soprattutto non si è detto che l’apertura di un processo unitario implica l’abbandono di pratiche che hanno reso sterili e fallimentari i tentativi di creare in questi decenni un movimento politico organizzato e rappresentativo dei ceti popolari e progressisti. Non si tratta di fare abiure, ognuno arriva necessariamente all’appuntamento con il proprio bagaglio di esperienze, ma dovrebbe avere anche l’intenzione di voltare pagina e di fare sul serio. E qui entriamo nel merito della discussione sui punti essenziali di un possibile progetto, che non può essere basato su discorsi generici che non trovano riscontro nella capacità di tradurli in pratica. Sappiamo tutti che questo modo di procedere ha portato a pratiche politiche autistiche, a situazioni di nicchie ideologiche senza riscontri nella realtà, a forme artigianali di lavoro politico e sociale che non hanno costituito un terreno effettivo di confronto col nemico che si voleva combattere.

Per imboccare un percorso diverso bisogna partire dunque da due punti essenziali: la coscienza che senza un movimento politico unitario e organizzato non si va da nessuna parte e che senza un programma che agganci i settori sociali a cui siamo interessati non vi è prospettiva politica.

Come si attua questo passaggio? Intanto avendo consapevolezza della necessità di un dibattito in profondità che superi le miserie attuali dei movimenti ‘alternativi’ e faccia crescere sulle loro ceneri un settore politico cosciente dei compiti da affrontare. Senza questo, eventuali processi ‘unitari’ sarebbero soltanto di facciata e minati fin dall’inizio da finalità elettoralistiche.

Questo dibattito porta necessariamente a definire le caratteristiche che dovrebbe assumere un’ipotesi di movimento politico organizzato. A partire dall’immagine che questo movimento dovrebbe assumere, non di fronte ai soliti addetti ai lavori, ma di fronte a milioni di persone che sono e devono essere il nostro referente.

La nostra storia ci dice che siamo partiti con l’idea di rifondare un movimento comunista o di proiettarci su un’ipotesi politica antisistema. Ambedue le ipotesi però, come i fatti hanno dimostrato, non avevano basi concrete di realizzazione per cui ci si è ridotti a manifestazioni identitarie o ad azioni di lotta spesso virtuali.

Se non vogliamo che la normalizzazione Draghi-Letta avanzi e si affermi, la lezione che ci viene dai fatti ci indica la necessità di definire l’immagine di un movimento politico che si batte per un cambiamento concretamente ipotizzabile nel contesto storico attuale. Noi riteniamo che i tre punti che abbiamo indicato, politica di pace, economia con finalità sociale e tutela dei diritti costituzionali siano la base di un ampio compattamento che ci permetta di combattere nella trincea giusta e con risultati diversi dal passato. Una battaglia vera, coinvolgente e articolata che non ci riduca ancora una volta nei ghetti dove siamo confinati.

Aginform
5 aprile 2021

 

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