“L’imperialismo in mezzo al guado”

J.Biden è una tigre di carta? Affermarlo sarebbe sbagliato, ma è evidente che gli ultimi incontri, al G7, alla NATO e poi con Putin appaiono più una sceneggiata che la dimostrazione di una sostanziale capacità americana di rilanciare a tutto campo una strategia che faccia uscire gli Stati Uniti dalle difficoltà.

Il primo obiettivo del presidente americano era quello di consolidare l’alleanza con l’Europa per fronteggiare le minacce che incombono sulla ripresa del dominio mondiale a stelle e strisce. Sarebbe impensabile infatti per gli americani affrontare la Russia senza avere l’Europa dalla loro parte e fronteggiare la Cina senza condizionare la vasta rete di relazioni economiche che coinvolge anche l’occidente capitalistico. Lo schema avrebbe dunque la sua logica, ma la realtà si presenta in maniera assai diversa.

Come impedire a Russia e Cina di avere un ruolo mondiale sul piano economico, militare e politico? Questo nodo non è stato affatto sciolto. Partito per proclamare una nuova guerra fredda, Biden si è dovuto accontentare di proclamare che gli USA sarebbero pronti a reagire a ‘nuove iniziative ostili’ contro il blocco atlantico. Incontrarsi per dir questo però è un’ ovvietà, anche perchè cinesi e russi non pensano certo di attaccare gli americani o qualcuno dei loro alleati NATO e infatti la questione sul tappeto non è affatto questa. La partita dei rapporti di forza e degli equilibri si gioca su un altro terreno che è quello delle mille contraddizioni che segnano l’area geopolitica imperialista su cui gli americani vorrebbero continuare a esercitare il loro potere mentre proprio questo potere sta sfuggendo sotto i colpi di situazioni che vanno fuori della loro possibilità di controllo. Lo si è visto in Medio Oriente con l’atroce guerra contro la Siria che ha compattato un fronte antiamericano molto vasto e che alla fine ha impantanato sia l’azione militare che quella politica degli USA. Poi c’è stata la decisione americana di ritirarsi dall’Afghanistan assieme ai loro lacchè, tra cui l’Italia. La decisione è stata fatta apparire come un fatto di normale amministrazione, ma è invece una sconfitta clamorosa che si somma agli altri risultati negativi in Medio Oriente.

I guai americani però non finiscono qui. La debolezza degli USA si manifesta, almeno per ora, con lo stop al progetto di ripresa su larga scala della guerra in Ucraina, dove si è capito che un intervento occidentale a guida USA avrebbe portato la Russia ad agire di conseguenza. Certo ci sono sempre le provocazioni come quella degli inglesi nelle acque della Crimea, ma la risposta russa è stata immediata e decisa.

Anche la campagna sui ‘diritti umani’ che avrebbe dovuto precedere il rilancio della nuova guerra fredda non ha avuto i risultati sperati, al contrario. A Hong Kong, in Bielorussia, in Russia i tentativi messi in atto per destabilizzare le situazioni e poi avanzare non hanno portato ai risultati sperati. Si può quindi affermare che gli USA, nonostante la voce grossa, si trovano in mezzo a un guado. Questo è evidente, anche perchè quella che dovrebbe essere la linea del fronte mostra molte crepe, a partire proprio dall’Europa che non dimostra di esser molto convinta che i suoi interessi coincidano oggi con quelli americani sul piano degli affari.

Poi ci sono ampie zone destabilizzate dove i conti americani non tornano. In America Latina dove la tendenza di destra sostenuta dagli americani trova una resistenza sempre più dura da parte delle popolazioni, come in Cile, in Colombia, in Brasile e i governi indipendenti e progressisti riescono a tenere testa ai golpe e ai tentativi di aggressione.

Anche in Palestina il gendarme israeliano, l’avamposto occidentale in terra araba, sta entrando in crisi di prospettiva. La crisi è politica e investe uno stato posticcio di occupazione e anche la sua tenuta militare dopo la prova dell’ultimo scontro a Gaza dove, nonostante gli eccidi di palestinesi, il sionismo non riesce a liquidare la partita.

C’è infine un fattore mondiale che rende precario il futuro dell’occidente capitalistico ed è quello della crisi economica, ambientale e umanitaria. Per quanto gli USA e l’UE si sforzino di rilanciare il loro dominio, esiste e si allarga la convinzione dentro l’impero che dall’inizio della ‘guerra infinita’ in poi le condizioni delle popolazioni che vivono nel ventre molle del capitalismo stanno peggiorando e non si percepisce nessun futuro radioso, aldilà degli effetti della pandemia. E’ vero che siamo in una fase in cui il turbocapitalismo sta accelerando il suo sviluppo tecnologico e i suoi modelli di realizzazione dei profitti, ma questo avviene in un contesto sociale di degrado e supersfruttamento, in America come in Europa.

Su tutto questo incombe poi il peso della Cina, che oscura il ruolo dell’occidente come punta avanzata dello sviluppo economico, tecnologico e scientifico.

Possiamo dunque dormire sonni tranquilli? Niente affatto. Sia per i rischi di nuove guerre più o meno estese, sia per le ulteriori sofferenze che saranno inflitte ai popoli ancora oppressi dall’imperialismo, sia per i disastri sociali e ambientali che lo ‘sviluppo’ imperialista comporta. C’è bisogno quindi che in questo contesto ognuno faccia la sua parte, in modo che l’imperialismo a guida americana rimanga più a lungo possibile nel guado e si modifichino ancora di più i rapporti di forza a favore della pace e dell’indipendenza dei popoli.

Aginform
28 giugno 2021

 

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