Fino a non molto tempo fa era comune ascoltare ragionamenti sulla fine del cosiddetto ciclo progressista in America Latina. Discorsi forse più vicini al pensiero illusorio, wishful thinking in inglese, che ad analisi fondate sulla realtà dei fatti. E’ vero che negli ultimi anni in America Latina la sinistra aveva perso alcune posizioni, ma nonostante tutto il nocciolo duro di paesi socialisti e integrazionisti ha tenuto.
Si era verificato il tradimento di Lenin Moreno in Ecuador, eletto con i voti del socialista Rafael Correa ma poi passato armi e bagagli nel campo neoliberista; in Argentina era salito al potere il neoliberista Mauricio Macri; il golpe istituzionale contro Dilma Rousseff in Brasile e l’estromissione dalla contesa elettorale di Lula per via giudiziaria che avrebbe portato alla vittoria il fascioliberista Bolsonaro; il golpe in Bolivia contro Evo Morales; la vittoria dei neoliberisti in Uruguay; la sconfitta del PSUV alle legislative del 2015 in Venezuela.
Insomma, la destra aveva recuperato alcune posizioni nel subcontinente sudamericano.
Ma la situazione vista con occhi di oggi nel 2021 appare decisamente differente. Praticamente nessuno in America Latina guarda più agli Stati Uniti con ammirazione e come modello da imitare tranne alcuni neoliberisti fuori tempo massimo come il banchiere Guillermo Lasso in Ecuador, uscito vincitore dall’ultima competizione presidenziale in Ecuador. La richiesta di giustizia sociale sta riportando al potere le forze di sinistra e di conseguenza aumenterà l’influenza di Cina e Russia.
Un presidente marxista in Perù
Nonostante l’incredibile ritardo nella proclamazione ufficiale e le manovre della destra di Keiko Fujimori per annullare il ballottaggio asserendo brogli che non riescono a dimostrare, il maestro rurale, marxista, Pedro Castillo, è il nuovo presidente del Perù, in quello che si annuncia come il primo di un nuovo ciclo di successi della sinistra in America Latina.
Castillo ha vinto le elezioni del 15 giugno (ottenendo il 51 per cento dei voti) promettendo di nazionalizzare le industrie estrattive e garantire un’equa ridistribuzione della rendita nazionale. Allo stesso tempo, il Perù ha mostrato ottimi risultati economici nella regione.
Inoltre Pedro Castillo nel suo programma afferma di voler abbandonare il ‘Cartello di Lima’ (Gruppo di Lima), espellere l’USAID e chiudere le basi militari statunitensi entro i primi 100 giorni di governo. Altre proposte includono nazionalizzazioni, un’Assemblea Costituente e l’acquisto di vaccini contro anti-Covid cubani e russi.
Quando l’epidemia di coronavirus ha colpito anche il Perù, il paese ha sofferto di una catastrofica mancanza di medici, mentre la maggior parte degli ospedali del paese aveva attrezzature e infrastrutture obsolete o rotte. C’erano solo 276 letti di terapia intensiva nel paese.
I peruviani che lavoravano nel campo dell’economia “informale” si trovarono privi dell’assistenza statale. Questi, secondo l’Istituto nazionale di statistica e informatica (INEI), rappresentano il 75,2 percento della popolazione nel terzo trimestre del 2020. Si tratta di persone che non hanno polizze assicurative, conti bancari, i loro redditi sono diminuiti in media del 12 percento, e il livello di povertà generale nel paese è salito al 30 per cento. Il tasso di mortalità per Covid-19 in Perù è tra i più alti dell’intera regione.
Naturalmente, il 75 percento di coloro che lavorano nel campo dell’economia “informale” contro il 30 percento della classe media ha votato facilmente per un marxista. Altro motivo per cui la narrazione sui brogli portata avanti dalla destra fujimorista non sta in piedi.
Un simile stato di cose in termini di giustizia sociale si verifica non solo in Perù, ma anche in altri paesi a cui è imposto il fanatismo neoliberista. Quasi tutti sono scossi da manifestazioni con slogan: “Non ci rappresentano”. Si tratta di élite al potere neoliberali, che non sono riuscite a garantire ai popoli lavoro, assistenza medica, protezione e vaccini.
Un comunista presidente del Cile?
Dopo aver ‘conquistato’ il municipio di Santiago con l’elezione a sindaco di Iraci Hassler continua l’avanzata dei comunisti cileni.
Il candidato del Partito comunista del Cile, Daniel Jadue, risulta in testa alle preferenze in vista delle elezioni presidenziali del 21 novembre, secondo un recente sondaggio.
Il Cile è stato teatro di una e vera e propria rivolta antiliberista. Le proteste sono partite contro i rincari delle tariffe relative ai trasporti, ma si sono poi trasfoormate in una rivolta contro il neoliberismo reale. Un sistema, quello neoliberista, che ha devastato il paese sin dai tempi della dittatura del generale fascista Augusto Pinochet, quando il Cile è divenuto il laboratorio mondiale del neoliberismo.
Il neoliberismo, per meglio dire, ha colpito le classi popolari. Il Cile infatti è uno di quei paesi dove si è osservato il fenomeno della crescita impoverente. Il paese cresceva economicamente, ma le classi popolari non hanno per niente goduto di questa crescita. Hanno continuato a impoverirsi e veder peggiorate le proprie condizioni di vita.
Le rivolte che hanno avuto luogo in Cile indicano chiaramente che “la gente si è resa conto che la politica neoliberista è incompatibile con la democrazia”, sostiene Daniel Jaude.
Il candidato del Partito Comunista propone quindi un programma di governo per un Cile verde e sovrano, plurinazionale e interculturale, femminista e paritario”, lo stop ai prestiti studenteschi, la fine del profitto nell’istruzione, l’estensione al 100% della gratuità nell’istruzione superiore tecnica e professionale statale, maggiori poteri per i comuni, di remunerare il lavoro domestico e aumentare il salario minimo.
Il programma, evidenziano i detrattori, ha un costo totale di 11,2 punti di PIL. Ma i counisti tra i meccanismi di finanziamento hanno pensato a una riforma fiscale – che secondo i calcoli del candidato comunista genererà una raccolta più alta tra l’8 e il 10% del PIL – oltre alla riallocazione e al risparmio, con una riforma dello Stato per rendere più efficienti le risorse.
Allo stesso modo, prevede una modifica delle sezioni superiori dell’imposta sul reddito, delle royalty minerarie sulle risorse naturali e dell’imposta ai super ricchi, oltre all’eliminazione delle esenzioni e un maggiore controllo dell’elusione e dell’evasione. “Con queste misure si raccolgono tra i 25 e i 30 miliardi di dollari in più, oltre al risparmio che comporterà la fine di alcuni sussidi, che, passando al sistema che stiamo proponendo, non sono più necessari”, ha spiegato Jadue.
Altre proposte sono la riduzione della giornata lavorativa a 40 ore settimanali in vista del raggiungimento di 36 ore, “rifondazione della polizia”, ??aborto legale fino a 14 settimane di gestazione e legalizzazione della marijuana.
Il ritorno di Lula in Brasile
Per quanto riguarda il Brasile, il paese si è risvegliato dalla lotta alla corruzione imposta dagli Stati Uniti. Non molto tempo fa, Luis Inacio Lula da Silva, il leader del Partito dei Lavoratori, già presidente dal 2003 al 2011, è stato scarcerato dopo essere stato condannato ingiustamente e senza alcuna prova per corruzione e la presunta acquisizione di un “palazzo”. È stato completamente riabilitato e secondo quanto indicano tutti i sondaggi risulta essere in testa nelle preferenza contro il presidente uscente Bolsonaro nelle elezioni previste per ottobre del 2022.
Cuba, Venezuela e Nicaragua resistono
Questi paesi rappresentano lo zoccolo duro progressista e socialista. Da anni sono nel mirino della destabilizzazione imperialista, ma continuano a resistere. Sanzioni, tentativi di golpe, guerra mediatica sono le armi utilizzate dagli Stati Uniti per provare a rovesciare i governi di questi paesi e installare dei fantocci al potere, ma tutti i tentativi si sono rivelati vani. Il comandante Daniel Ortega in Nicaragua viene annunciato dai sondaggi come netto vincitore delle prossime presidenziali. Gli Stati Uniti stanno lautamente finanziando le opposizioni al sandinismo, il popolo però non si lascia abbindolare, avendo conosciuto la devastazione neoliberista. Lo stesso dicasi per il Venezuela: la guerra economica colpisce forte il paese, ma l’unione civico-militare si rafforza e respinge tutti gli assalti imperiali. Lo stesso accade a Cuba sotto sanzioni da oltre sessanta anni.
La sinistra protegge il popolo dalla pandemia
La situazione è diversa dove le forze di sinistra sono già al potere. Paesi come Argentina, Nicaragua, Messico, Venezuela, Bolivia e Cuba. Questi paesi hanno molti anni di esperienza in questioni di politica sociale, la maggior parte delle persone vive modestamente, ma non c’è stratificazione sociale come nei paesi del neoliberismo reale. In tempi di pandemia Covid, l’acquisto di vaccini in questi paesi avviene senza motivazioni di geopolitica – al contrario di quanto succede in Europa – gli ospedali riescono a gestire bene l’afflusso di pazienti e le persone hanno un’assicurazione pensionistica, sociale e medica.
Gli assalti occidentali sono stati respinti.
Il Venezuela ha resistito all’embargo.
Il Nicaragua si avvia verso una nuova e larga vittoria per Daniel Ortega alle elezioni.
In Bolivia la sinistra è tornata al potere, sia in parlamento che alla presidenza.
Cuba intraprende riforme per espandere e sviluppare anche il settore privato pur mantenendo intatte le politiche sociali e il suo carattere socialista.
Restano stabili i governi di Alberto Fernandez in Argentina e di Andrés Manuel Lopez Obrador in Messico.
Da quando è entrato in carica nel 2018, Lopez Obrador ha ampliato il controllo statale su petrolio, gas ed energia. Il partito del presidente (Morena) ha ottenuto un’altra vittoria nelle elezioni generali per legislature, municipalità e governatori di 17 stati, che si sono svolte in Messico all’inizio di giugno.
I candidati di sinistra sono pronti a vincere in Cile, Colombia e Brasile, dove si terranno le elezioni presidenziali nel prossimo anno e mezzo.
Il Cile ha protestato dalla fine del 2019 contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico,
La Colombia contro la violenza della polizia,
Il Brasile contro l’inerzia delle autorità durante la pandemia.
Nulla di quanto promesso dalle autorità – istruzione rurale, nuove infrastrutture, acqua pulita e servizi igienico-sanitari – nulla è stato fatto. Anche i cittadini, appartenenti alla classe media, sono preoccupati per i loro redditi in calo.
Pertanto, gli elettori preferiscono sostituire l’attuale modello economico neoliberista con un modello diverso, in cui lo Stato svolgerà un ruolo centrale nell’economia.
In Colombia, il candidato di sinistra Gustavo Petro è in testa in tutti i sondaggi elettorali. Con ogni probabilità, diventerà presidente a maggio. La Colombia è sempre stata una roccaforte del neoliberismo e un fedele alleato (leggi vassallo) degli Stati Uniti: non ha mai visto un governo di sinistra. Nel 2018, Petro è arrivato secondo alle elezioni dietro l’attuale presidente di destra, Ivan Duque.
Nessuno guarda più agli Stati Uniti
Andrés Velasco, ex ministro delle finanze cileno, attualmente preside della School of Public Policy presso la London School of Economics, la disuguaglianza e i servizi sociali sono i problemi che preoccupano maggiormente le persone in America Latina oggi, con le prospettive di crescita economica relegate in un ruolo secondario.
Secondo Velasco i popoli del sudamerica hanno “poca voglia di tornare al libero mercato e al libero scambio che gli Stati Uniti hanno sostenuto”.
“Nessuno pensa più a quello che stanno facendo gli Stati Uniti”, ha aggiunto.
L’attuale situazione in America Latina ricorda la serie di vittorie di candidati di sinistra che la regione aveva visto in passato ai tempi del primo ciclo progressista, dopo l’elezione di Hugo Chavez in Venezuela nel 1998.
Con ogni probabilità gli imminenti cambiamenti nel corso politico del continente rafforzeranno le relazioni della regione con Cina e Russia.
Anche in quello che considerano il proprio ‘giardino di casa’ gli Stati Uniti si avviano a perdere ogni influenza e ritrovarsi incapaci di fare il bello e cattivo tempo come accadeva fino a qualche tempo fa.
FABRIZIO VERDE