Libia: topografia di un lager

Le testimonianze dei migranti sopravvissuti al centro di sequestro di Al Harsha

Un’immagine satellitare del centro di sequestro di Al Harsha

Mentre il parlamento italiano ieri ha approvato il rifinanziamento dei fondi destinati alla Guardia costiera libica, emergono con sempre maggior chiarezza di dettagli le atrocità che nel paese nordafricano vengono commesse nei confronti dei migranti all’interno dei centri di detenzione, siano essi controllati dal governo di Tripoli o da gruppi criminali.

Il resoconto che segue si basa sulle testimonianze di cinque migranti raccolte negli ultimi 9 mesi dal team medico-psicologico di Medici per i Diritti Umani (MEDU) presso l’ambulatorio di Ragusa, in Sicilia. Si tratta di migranti vulnerabili assistiti da MEDU e sopravvissuti a diversi mesi di detenzione e torture presso il centro di sequestro di Al Harsha in Libia. Tutti hanno dovuto pagare un riscatto tramite le loro famiglie per essere rilasciati.

I testimoni non solo hanno descritto le atrocità che vengono consumate in questo centro illegale, ma hanno anche denunciato la connivenza tra i criminali di Al Harsha e i miliziani che controllano la prigione Al-Nasr di Al-Zawija, chiamata anche Ossama Prison, sotto il formale controllo del governo libico. I testimoni hanno inoltre illustrato con chiarezza di dettagli la topografia del centro di Al Harsha.

Il lager di Al Harsha si trova ad Al-Zawija, città costiera situata 50 chilometri ad ovest di Tripoli. Essa è uno dei principali punti di imbarco utilizzati dai trafficanti per far salpare i migranti verso l’Italia.

Il centro si trova nelle vicinanze di una moschea ed è circondato da alte mura. Come si evince dalla mappa aerea (foto in alto), al suo interno si trovano diversi capannoni e containers ed un grande cortile che spesso funge anche da deposito di alcune imbarcazioni (il mare non è molto distante).

Secondo le testimonianze dei migranti detenuti in questo centro, esso può arrivare a contenere anche 200-300 persone recluse. Chi è a capo del lager di Al Harsha è un uomo libico di nome Haithem che possiede anche una pompa di benzina a pochi metri dal centro. Haithem dispone di un gruppo di uomini armati e violenti e di un braccio destro, il fratello Ismael.

Questa la testimonianza di un migrante raccolta il 23 giugno scorso dal team medico-psicologico di MEDU: “Haithem è il nome del libico che comanda nella prigione informale di Al Harsha. Lui si fa aiutare dal fratello Ismael: sono violenti e armati e con il loro gruppo mi tenevano rinchiuso insieme ad altri 300 migranti, bengalesi e subsahariani. Mi hanno picchiato e maltrattato per 2 mesi, trattato peggio di una bestia, e mi hanno negato cibo e acqua. Mentre ero recluso ad Al Harsha ho visto decine di migranti bengalesi come me presi a pugni e calci, colpiti col bastone, umiliati. Haithem, il libico, spesso si fa aiutare da altri migranti a torturare le persone rapite: li costringe a farlo ed alcuni li paga. Mentre ero lì dentro ho visto più volte arrivare soldati e altri migranti bengalesi. Ho capito e sentito che provenivano da Ossama Prison. Haithem tiene rapporti con i soldati di quel carcere e fa affari con loro. Anche loro chiedono il riscatto e vendono le persone incarcerate. I soldati di Ossama Prison facevano irruzione nella struttura dove ci tenevano reclusi e facevano festa usando droghe, cibo e alcool assieme al gruppo di Haithem. Spesso ubriachi o sotto effetto di droghe usavano violenza contro di noi e ci colpivano. Era terribile.”

Secondo le testimonianze, i migranti (subsahariani e bengalesi soprattutto) sequestrati ad Al Harsha vengono sistematicamente torturati dai rapitori a scopo di estorsione. Per essere rilasciati occorre pagare un riscatto di 3.000/5.000 euro. Al suo interno vengono praticate le più atroci forme di tortura fisica e psicologica. I criminali libici di Al Harsha esigono spesso l’aiuto di altri migranti nella pratica della tortura. Alcuni di essi, di origine bengalese, si trovano attualmente sotto processo presso il tribunale di Palermo con l’accusa di aver collaborato a diverse tipologie di violenze e soprusi. Alcuni dei migranti che hanno raccontato la loro storia a MEDU stanno attualmente testimoniando alle udienze del processo.

MEDU torna a chiedere un cambiamento radicale del governo italiano nelle relazioni con la Libia in merito alla questione migratoria, con un approccio che anteponga a qualsiasi tipo di collaborazione il prioritario rispetto dei diritti umani dei migranti. Sebbene sia doveroso da parte dell’Italia collaborare con quel Paese al fine di contribuire al suo processo di stabilizzazione e di democratizzazione, il nostro governo non può ipocritamente ignorare le gravissime violazioni dei diritti umani che si compiono nei confronti di decine di migliaia di migranti detenuti nei suoi centri di detenzione formali e informali, né può ignorare il ruolo svolto dalla Guardia costiera libica nel riportare migliaia di persone in questi veri e propri lager contemporanei. Bloccare ad ogni costo i flussi migratori sembra invero l’unico reale obiettivo perseguito oggi dall’Italia e dall’Europa.

Roma, 16 luglio 2021

 

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