[n p c i] Impedire la chiusura della GKN, della Gianetti Ruote, della Timken!

GKN, Gianetti Ruote, Timken: l’operazione Stellantis, la distruzione di aziende, la disoccupazione e la speculazione finanziaria

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22 luglio 2021

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GKN, Gianetti Ruote, Timken: l’operazione Stellantis, la distruzione di aziende, la disoccupazione e la speculazione finanziaria

Impedire la chiusura della GKN, della Gianetti Ruote, della Timken!

Organizzarsi e organizzare contro l’operazione del gruppo Agnelli-Elkann!

Bloccare la liquidazione del comparto autoveicoli e componenti!

L’unione fa la forza! Vincere è possibile: sta a noi creare le condizioni per vincere, sta a noi vincere!

Proprio perché la borghesia imperialista e le sue autorità impongono in tutti i campi – dalla salute, all’ambiente, all’emigrazione, agli sfratti e in ogni campo – un corso catastrofico delle cose, vi sono le condizioni per una mobilitazione dei lavoratori su larga scala. Uniti siamo più forti dei padroni e dei loro servi!

L’operazione Stellantis è un’altra tappa dell’abbandono da parte del gruppo Agnelli-Elkann della produzione di autoveicoli in Italia per trasferirla in altri paesi dove può sfruttare i lavoratori e l’ambiente con meno vincoli e per ampliare la sua attività nel campo della speculazione finanziaria mondiale, che ai fini della valorizzazione dei suoi capitali è più redditizia e meno impegnativa della produzione di autoveicoli.

Questo processo è in corso da alcuni decenni. In Italia ha comportato chiusura di stabilimenti, delocalizzazione all’estero della produzione (ricordare l’operazione FCA condotta da Marchionne nel 2010), mancanza di investimenti per la produzione di autoveicoli ecocompatibili, abuso della cassa-integrazione e dei contratti di solidarietà, ecc. Non è il frutto di una sfortunata congiuntura economica bensì l’esito di un progetto perseguito con determinazione (i padroni sanno fare i loro conti per cercare di valorizzare al meglio il loro capitale). Si inserisce nella competizione globale tra i grandi capitalisti: “siamo in una guerra globale” diceva il non compianto Marchionne. Ogni gruppo imperialista è in guerra con gli altri per la valorizzazione del proprio capitale, si fanno alleanze e accordi che durano quel che durano perché la costante è la contesa. Una “guerra tra capitalisti” che nel caso dell’ex FIAT sta avendo come esito l’espropriazione da parte di gruppi capitalisti stranieri delle capacità produttive di autoveicoli a motore e di componentistica del nostro paese e che per i lavoratori si traduce in licenziamenti, più precarietà, salari più bassi, condizioni peggiori e meno diritti. La GKN, la Gianetti Ruote, la Timken sono casi esemplari: tutte e tre aziende di componentistica per autoveicoli e tutte e tre vendute a fondi speculativi stranieri. E l’uso che i fondi speculativi fanno delle aziende lo illustra, trattando del caso della GKN, l’articolo di Fabio Pavesi I vertici del fondo che controlla GKN hanno venduto azioni per 22 milioni di sterline. Tre mesi prima dei licenziamenti di massa (il Fatto Quotidiano – 20 luglio 2021), che riportiamo in appendice.

Per lottare per la sovranità nazionale, bisogna impedire l’ingresso in Italia a gruppi imperialisti stranieri!

La vendita di aziende italiane a multinazionali industriali straniere e a gruppi finanziari nove volte su dieci è la premessa di delocalizzazioni, chiusure, smembramenti o ridimensionamenti! I gruppi multinazionali comprano aziende italiane per appropriarsi di conoscenze (know-how), avviamento industriale, struttura di ricerca e marchio, per speculare sul mercato finanziario, per conquistare fette di mercato ed eliminare concorrenti, per accaparrarsi aiuti statali e poi chiudono, smembrano, riducono o delocalizzano in paesi dove possono avvalersi di lavoratori con meno diritti e di leggi di protezione dell’ambiente e della sicurezza più permissive. In questo modo il nostro paese sta diventando un cimitero di fabbriche!

Per porre fine alla speculazione finanziaria, bisogna farla finita con il capitalismo!

Tutti odiano o dicono di odiare gli speculatori (lo dicono perfino i reazionari: Salvini, Meloni fino alla destra più estrema: CasaPound, Forza Nuova e simili). Molti di questi attribuiscono la speculazione finanziaria all’avidità, alla perfidia o comunque alla cattiva volontà dei capitalisti che cercano di fare denaro con il denaro anziché investire i loro capitali nella produzione di merci. Ma la speculazione finanziaria (plusvalenze nella compravendita di titoli, negli acquisti a consegna ritardata e nelle altre procedure speculative) non è il frutto dalla cattiveria della classe borghese in generale o di singoli capitalisti. Da decenni la speculazione (finanziaria, su materie prime, su diritti di sfruttare giacimenti, su brevetti e altro) è il campo in cui i capitalisti riversano i capitali che non possono investire con profitto nella produzione di merci: il capitale accumulato è diventato infatti talmente grande che i capitalisti non riescono più a valorizzarlo tutto facendo produrre e vendendo merci. La borghesia è l’insieme dei capitalisti e dei loro funzionari. Ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale, ma siccome dalla fine dell’Ottocento in qua è divenuto impossibile, salvo che in periodi e circostanze limitate, investire con profitto tutto il capitale nella produzione di merci, la borghesia ha ricercato freneticamente altri campi di investimento: la speculazione sul corso di titoli finanziari e sul prezzo delle merci è appunto uno di questi. Oggi il suo sviluppo è allo stesso tempo un rimedio, temporaneo e gravido di conseguenze, e una manifestazione della seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso. Il capitale speculativo è diventato la forma dominante (dirigente) del capitale e ha assunto oggi dimensioni gigantesche: basti pensare a fondi speculativi come BlackRock, che nel 2019 da solo controllava direttamente più di 6 mila miliardi di dollari e indirettamente 18 mila circa: cifre di gran lunga superiori al PIL dell’Italia e degli USA messi insieme (che nello stesso anno ammontavano rispettivamente a 1.700 e a 12.000 miliardi di dollari).

Per farla finita con la speculazione finanziaria occorre mettere fine al capitalismo produttivo di merci da cui essa nasce e su cui poggia, cioè organizzare diversamente il modo di produrre i beni e servizi che servono agli uomini per vivere e alla società per funzionare. Il motore dell’economia capitalista (ciò che spinge un capitalista a impiegare proletari) non è la produzione di merci ma la produzione di profitti: l’intoppo sta proprio qui, nasce proprio dal fatto che oltre certi limiti l’aumento della produzione di merci non determinerebbe un aumento bensì un diminuzione della massa dei profitti e nessun capitalista assume più operai per avere meno profitto, quindi per valorizzare il suo capitale si dà alla speculazione finanziaria. Predicare contro i “cattivi speculatori” sorvolando sul legame genetico che esiste tra loro e i “bravi capitalisti che producono merci” è come prendersela con la febbre sorvolando sull’infezione che la provoca. Vagheggiare il ritorno al “buon capitalismo produttivo”, cioè a un’economia reale capitalista ma senza quell’insieme di attività con cui il denaro (sotto forma di contanti, depositi bancari, azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico, fondi di investimento, ecc.) crea nuovo denaro senza passare attraverso la produzione di merci, ha lo stesso senso di voler far tornare un vecchio a essere il bambino che è stato. Vagheggiare il ritorno alla produzione naturale del “buon selvaggio” è un’evasione dalla realtà e dalla lotta in corso per instaurare il socialismo.

Nessuna azienda deve essere chiusa, smembrata, ridotta o venduta a gruppi

multinazionali industriali stranieri e a gruppi finanziari!

Che in ogni azienda e in ogni quartiere i lavoratori avanzati si aggreghino, formino organismi operai e organismi popolari! Che gli organismi operai e popolari si colleghino tra loro, per ingrossare il movimento di protesta e di difesa dei diritti e dei posti di lavoro, fino ad avere la forza di costituire un nostro governo d’emergenza che

– impone a ogni grande azienda che opera sul territorio italiano di sottoporre al Ministero dello Sviluppo Economico i propri piani industriali per ottenere il benestare dal punto di vista della qualità dei prodotti, dell’occupazione, dell’impatto ambientale,

– vieta lo smembramento delle aziende, la riduzione del personale, la chiusura e la delocalizzazione,

– vieta la vendita di aziende a gruppi esteri che per loro natura sfuggono all’autorità dello Stato italiano.

Avere a che fare con capitalisti italiani consente maggiori possibilità di pressione e di manovra che avere a che fare con una multinazionale: a un capitalista italiano il governo può sequestrare beni e proprietà che ha nel nostro paese, bloccare il denaro che ha in banca, interrompere le commesse o non pagargli i lavori svolti; con una multinazionale o un fondo di investimento straniero invece no o comunque è molto più complicato.

È il primo ed elementare modo per far valere la sovranità nazionale iscritta nella Costituzione del 1948, contro il Vaticano e contro la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti e le loro istituzioni UE, BCE, FMI, NATO! Non c’è sovranità nazionale né benessere popolare né sicurezza personale senza direzione delle autorità italiane e dei lavoratori sulle attività economiche che si svolgono in Italia!

La lotta contro la vendita dell’apparato produttivo a gruppi multinazionali stranieri e a fondi speculativi è un aspetto importante e indispensabile della lotta per la sovranità nazionale, che è un aspetto della rivoluzione socialista!

La lotta contro il sistema finanziario internazionale è anche la lotta delle masse popolari e noi comunisti dobbiamo esserne alla testa. Ma bisogna condurla in modo da vincerla. Questa lotta sarà vittoriosa solo se le aziende produttive esistenti resteranno aperte nonostante lo sconvolgimento del sistema finanziario e bancario che le sovrasta e circonda e nonostante la fuga dei capitalisti. In definitiva sarà vittoriosa solo se le aziende produttive, che sono i più solidi centri già esistenti di aggregazione dei proletari, si rafforzeranno, se soddisferanno ai bisogni della massa della popolazione con quello che producono e con quello che sarà possibile scambiare con altri paesi aggirando le sanzioni commerciali e finanziarie che gli Stati asserviti al sistema finanziario internazionale certamente decreteranno.

Questa è l’opera che noi comunisti dobbiamo guidare le masse popolari a compiere. La combattività e la coscienza delle masse popolari cresceranno man mano che vedranno che la loro opera è proficua: impareranno dall’esperienza e per questa via accederanno alla cultura e alla scienza da cui le classi dominanti le hanno da sempre tenute fuori.

La nostra impresa è difficile, ma possibile e necessaria!

Avanti quindi, con coraggio e abnegazione, con scienza e coscienza!

Il nuovo Partito comunista italiano è l’associazione dei promotori di questa impresa

Costituire Comitati di Partito clandestini

in ogni azienda, scuola, università, istituzione, quartiere e paese!

La riscossa delle masse popolari è possibile! Ciascuno può e deve dare il suo contributo!

Il Partito comunista è il fattore decisivo della vittoria, esso orienta

– alla fusione di tutte le lotte in un fronte anti Larghe Intese,

– al coordinamento tra tutte le organizzazioni delle masse popolari,

– alla costituzione del Governo di Blocco Popolare,

– all’instaurazione del socialismo!

Appendice

il Fatto Quotidiano– 20 luglio 2021

I vertici del fondo che controlla Gkn hanno venduto azioni per 22 milioni di sterline. Tre mesi prima dei licenziamenti di massa

di Fabio Pavesi

È bastato un semplice clic per far partire via mail le lettere di licenziamento di tutti i 422 dipendenti della Gkn driveline di Campi Bisenzio, nei pressi di Firenze. Con lo stesso clic, pochi mesi prima della decisione di chiudere l’impianto toscano, i manager di Melrose, il fondo speculativo inglese che ha preso il controllo di Gkn nel 2018, andavano all’incasso. Un clic dal computer per dare ordine di vendita delle azioni di Melrose da parte del Ceo Simon Peckham e del vicepresidente Chistopher Miller.

Il primo Peckham ha venduto in aprile, secondo quanto riporta la banca dati S&P Global market Intelligence, 4 milioni di azioni Melrose per un incasso di circa 7 milioni di sterline; il secondo Miller è passato all’incasso vendendo tra marzo e aprile 8,7 milioni di titoli per un incasso di circa 15 milioni di sterline. Ironia della sorte se sommate le due cifre – 22 milioni di sterline equivalgono a più di 25 milioni di euro – i due manager di Melrose hanno portato a casa insieme più di quanto costano alla controllata Gkn i 422 dipendenti mandati a casa all’istante. Il costo del personale nel 2020 dell’azienda di Campi Bisenzio è stato di 19 milioni di euro. Meno del valore in azioni incassati dai due manager del fondo inglese.

Sta in questa discrasia profonda, tra le sorti di chi lavora e di chi governa, la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia reale. A Melrose, che acquistò nel 2018 le attività di Gkn che opera nella componentistica per auto, importa poco o nulla cosa si produce e vende a Campi Bisenzio. Importano solo i dati finanziari, quanti margini e profitti si riescono a produrre. Se si compra nel 2018 un’azienda che fa componentistica auto in un mercato che soffre da tempo di eccesso di offerta e di concorrenza sui prezzi, non ci si può aspettare poi rendimenti da capogiro del capitale investito.

E invece per il fondo schiacciasassi l’impresa era semplice. Del resto il motto per Melrose è “buy, improve, sell”, cioè “compra, migliora e vendi”. Ai padroni del fondo non importa l’investimento duraturo nel tempo. Entrano nelle aziende, ristrutturano con l’obiettivo di vendere al più presto a un prezzo più alto di quanto hanno pagato. Ma per far ciò devi raggiungere target di margini e profitti tali da far salire il valore dell’azienda. Non sempre come nel caso di Gkn ci si riesce e allora si stacca la spina. Il prezzo lo pagano i lavoratori, mentre la fuga di chi ha congegnato l’operazione Gkn come altre, si traduce nella vendita delle corpose azioni assegnate come bonus e si incassano cifre milionarie.

Che il polo di Gkn a Firenze non andasse bene è nei numeri, che però non sono così negativi da portare a una scelta così drammatica come la chiusura e i licenziamenti. Nel 2020, complice il Covid, il polo di Firenze ha fatturato 103 milioni contro i 140 milioni del 2019. Un calo forte dei ricavi, compensato in parte però dalla cassa integrazione che ha fatto scendere il costo del lavoro da 24 milioni a 19 milioni. La perdita è stata di 4,5 milioni dopo i 3,5 milioni del 2019. Ma negli anni precedenti la fabbrica di Campi Bisenzio aveva prodotto utili per 10 milioni. Una battuta d’arresto, quindi, non una slavina.

E sono gli stessi vertici aziendali a rassicurare. Nel bilancio dello scorso anno scrivono che nella seconda parte del 2020 le cose hanno ripreso a funzionare e che il primo trimestre del 2021 ha visto una crescita dei ricavi del 7% e del 14% sul budget di previsione. La Gkn di Campi Bisenzio stava, come sostengono i vertici aziendali nella relazione di bilancio, risalendo la china, dimostrando che la caduta non era irreversibile. E voilà ecco arrivare lo stesso la scure dai padroni inglesi di Melrose. Il 2020 non è stato affatto disastroso per il fondo. Anzi. Melrose ha prodotto cassa per la bellezza di 628 milioni di sterline su 9 miliardi di ricavi. E i gestori del fondo, padroni dal 2018 di Gkn, si vantano di aver restituito ai loro azionisti tra performance delle azioni e dividendi dalla nascita del fondo nel 2003, la cifra imponente di 4,7 miliardi di sterline.

Una macchina da soldi, per i suoi azionisti, non certo per il destino delle imprese che comprano, ristrutturano e rivendono come nel caso di Gkn di Firenze, chiusa in un lampo per pochi milioni di perdite in due anni, che stavano per essere recuperate. Ma mentre a Firenze si apre il dramma di oltre 400 famiglie senza più stipendio, i manager di Melrose hanno di che dirsi soddisfatti. Nonostante gli incassi milionari dalla vendita delle loro azioni, Simon Peckham, l’ad di Melrose e il vicepresidente Christopher Miller non sono rimasti a mani vuote. Peckham siede tuttora su un pacchetto di 13,4 milioni di azioni Melrose che valgono ai prezzi attuali 20 milioni di sterline e Miller vanta un pacchetto di titoli da 25 milioni di sterline. Se la chiusura di Campi Bisenzio alzerà i margini totali del gruppo allora il titolo in Borsa finirà per salire gonfiando ancora di più il valore del loro pacchetto di azioni.

 

Comitato Centrale del (n)PCI http://www.nuovopci.it

 

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