“Oltre il danno la beffa”. Lavoratrice denuncia la sua storia con il vaccino e il “green pass”

La pandemia in Italia è stata caratterizzata sin dal suo esordio da una gestione lacunosa e sostanzialmente fallimentare. Dai mancati protocolli di cura domiciliare e precoce a una campagna vaccinale iniziata male e proseguita peggio.

Adesso il nuovo fronte di lotta orizzontale favorita dalla retorica governativa è quello tra vaccinati e cosiddetti no-vax. Un calderone indistinto dove viene compreso chiunque esprima il minimo dubbio sulla vaccinazione di massa.

Questa gestione scellerata della campagna vaccinale sta facendo sorgere molti problemi. Per il personale sanitario è stato stabilito – caso unico in Europa – l’obbligo vaccinale, con ovvie conseguenze.

La testimonianza di un’operatrice sanitaria affidata a Bergamo News è emblematica in tal senso. La donna ha avuto problemi di salute provocati dal vaccino, si ritrova con un grosso numero di anticorpi, ma senza green pass se non riceve la seconda dose.

«Scrivo per raccontarvi la mia storia, nella speranza che aiuti a mettere in luce le situazioni assurde che si stanno vivendo nel nostro paese, in ombra fra una finale dell’europeo e la caccia ai no vax… Sono un tecnico di radiologia, personale sanitario a Bergamo che l’anno scorso si è trovato in piena pandemia… Me lo ricordo ancora, quando eravamo “eroi”. Quando lavoravamo 12 ore al giorno coperti da capo a piedi.

Mi sono ammalata al lavoro, ma fortunatamente ho passato il covid come fosse un raffreddore.

A distanza di un anno, quando ci è stato chiesto di fare il vaccino, io avevo ancora gli anticorpi, e ho preferito aspettare, non volendo sottopormi ad un vaccino per una malattia per cui già avevo anticorpi.

Ho aspettato il più possibile, poi è diventato un obbligo per i sanitari, ho cominciato a ricevere lettere da Ats, in cui mi si minacciava di demansionamento e sospensione dal lavoro, se non mi fossi sottoposta al vaccino, pur avendo ancora gli anticorpi.

A nessuno importava degli anticorpi ancora presenti, poiché era passato un anno dal covid, e non i sei mesi che mi avrebbero esonerato.

Ho aspettato il più possibile, poi ho dovuto prenotare.

Ho fatto presente all’hub vaccinale che avevo ancora gli anticorpi, e mi è stato chiesto cosa facessi lì e che forse sarebbe stato meglio avessi aspettato. Informati che ero personale sanitario però, nessuno ha voluto prendersi la responsabilità di posticipare la mia vaccinazione. Mi hanno anticipato che probabilmente sarei stata più male di altri, perché avevo già gli anticorpi. I due giorni successivi alla vaccinazione mi sono sentita solo un po’ debole, e pensavo di essermela cavata.

Sono una persona molto attiva, pratico alpinismo, arrampicata e mountain bike quasi tutti i giorni della settimana. Nove giorni dopo il vaccino ho notato dispnea (respirazione faticosa e difficile) sotto sforzo, mi son detta che forse era solo ansia, ma nel corso dei giorni i sintomi sono peggiorati fino ad avere oppressione toracica e dolori irradianti al petto. Erano i giorni in cui si parlava delle prime pericarditi e miocardite post vaccino Pfizer.

Mi è venuto il dubbio che potesse esserci qualcosa che non andava, e infatti all’ecocardio è stato rilevato un versamento pericardico da pericardite. Da questa diagnosi è iniziato un mese di potenti antinfiammatori, con conseguenze sull’apparato gastrico, e di riposo assoluto, che per una persona abituata a fare sport tutti i giorni equivale ad una condanna.

Dopo un mese la situazione non era migliorata, fare attività fisica difficile e pericoloso, e sintomi anche a riposo. Il cardiologo parla di una prognosi variabile, da un mese, a sei mesi, alla cronicizzazione della malattia.

Mi chiedo come sia possibile, in un Paese civile, che una persona perfettamente sana e con anticorpi, venga ricattata affinché esegua un vaccino, che poi la fa ammalare. Mi chiedo come si possa essere costretti ad un trattamento sanitario cui effetti indesiderati sono tutt’ora in studio e spesso e, come nel mio caso, possono essere gravi e mi auguro non permanenti, se così fosse, visto il tipo di vita che facevo, invece che potenzialmente salvarmela la vita, il vaccino me l’ha rovinata: passare dall’essere un’alpinista a non riuscire a fare una rampa di scale non può essere un effetto accettabile di un vaccino reso obbligatorio per i sanitari. Sanitari che prima erano eroi e ora sono cavie.

Come se non bastasse in tutto questo rimaneva ancora l’incognita della seconda dose, proprio nel periodo in cui si discuteva dei fantomatici greenpass obbligatori.

Il giorno della seconda dose mi reco all’hub vaccinale, con 2 certificati medici di esonero dalla seconda dose e con un sierologico con 43mila anticorpi. Il medico vaccinatore, visti i due certificati e vista la grave reazione avversa tutt’ora in corso, non può far altro che esonerarmi. Chiedo come si possa chiudere il certificato vaccinale, in modo da avere almeno accesso al Greenpass, ma nessuno sa niente. Si informano e mi viene poi detto che non avendo completato il ciclo vaccinale non ho diritto al pass. 

Oltre il danno la beffa.

Mi viene detto che 43mila anticorpi non contano, che si conta solo la doppia vaccinazione, perché non si sa quanto durino questi anticorpi.

Mentre invece siamo a conoscenza della durata degli anticorpi di chi ha ricevuto la doppia dose? No.

Faccio presente che ho colleghi che con due dosi arrivano a malapena a 400 anticorpi, io ne ho 43mila. Mila. Come è possibile che non venga chiuso il green pass a me che ne ho 43mila ma al collega che ne ha 400 sì?

Mi viene detto che il vaccino non è l’unico modo per ottenere il green pass, basta anche un tampone. Ma stiamo scherzando?! Si è reso il pass obbligatorio per le attività della vita, e ogni volta che io e i miei 43mila anticorpi vogliamo recarci al ristorante, o al cinema, dovremmo fare un tampone? Alla modica cifra di 30 euro, fra l’altro, che si sommano a tutti i soldi spesi per controllare una pericardite provocata da un vaccino che sono stata obbligata a fare.

A parte il danno cardiaco, che spero si risolva al più presto, chi come me si trova nella condizione di NON POTER effettuare il vaccino, che cosa fa? Con 43mila anticorpi davvero l’unica soluzione per vivere è un tampone ogni 48 ore? Come può essere possibile questa discriminazione nei confronti di chi è impossibilitato alla vaccinazione? Per non parlare del mio particolare caso, in cui oltre a non poter accedere alla vita, pur avendo una notevolissima quantità di anticorpi, mi ritrovo anche con un problema cardiaco vaccino correlato. Come si dice? Oltre il danno la beffa.

Ho scritto nella speranza che cominci a sollevarsi il problema di chi non può essere vaccinato, che sembra stia passando in terzo piano, dal momento che di soluzioni, a parte tamponi ogni 48 ore, ancora non se ne vedono.

Ringrazio per la cortese attenzione

Lettera firmata».

 

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