Non abbandoniamo Daniel Hale in carcere per aver svelato i danni collaterali dei droni USA

Daniel Hale era analista dell’intelligence USA e conosceva bene la guerra dei droni. E si era accorto dei tantissimi morti innocenti. Così ha reso noti i danni collaterali dei droni e ha sottolineato: “Abbiamo ucciso persone che non c’entravano nulla con l’11 settembre”.

 

E’ un caso di coscienza quello di Hale.

La sua è stata un’obiezione di coscienza professionale: il rifiuto di continuare a fare il killer per il governo americano.

Daniel Hale è stato condannato per aver rivelato informazioni segrete sulle operazioni anti terrorismo durante l’amministrazione Obama. Hale ha detto: “Non ho vissuto un giorno senza rimorso”.

Che fare per lui?

La campagna delle donne pacifiste di Codepink per Daniel Hale

La prima cosa è firmare su Pinkcode la petizione per liberarlo: https://www.codepink.org/danielhale

Neanche Amnesty International ha ad oggi avviato una campagna.

E quindi da ieri è partita la campagna “Italiani per Hale”, una campagna parallela a “Italiani per Assange”.

Alex Zanotelli ci ha garantito un sostegno. “E’ un eroe del nostro tempo – ci ha detto – ed è in carcere per aver detto la verità”. Infatti paga il suo rimorso di coscienza, la sua obiezione di coscienza, con il carcere. Ma soffre soprattutto la solitudine per la nostra indifferenza, fatta di poca informazione, grande superficialità e notevole assuefazione. Devo dire la verità: mi ha fatto molto male non vedere Daniel Hale dalle pagine social di tanti pacifisti. Oggi che abbiamo i mezzi per condividere è come se si fosse spezzato qualcosa dentro di noi. Qualcosa di prezioso che un tempo ci manteneva uniti, solidali, e attivi, curiosi di scoprire e di denunciare le ingiustizie. E così mi sono messo in gioco, nonostante le tante cose che ho già da fare.

Hale ha invocato, per il suo gesto di violazione del segreto militare, il dovere morale che spinse il suo antenato Nathan Hale a rivelare i segreti militari degli occupanti inglesi ai patrioti americani durante la Guerra di Indipendenza del 1776. Nathan Hale è diventato un eroe della patria per gli Stati Uniti, mentre Daniel Hale oggi è, agli occhi delle giustizia americana, un criminale.

Non lasciate solo questo eroe del nostro tempo e inviate queste informazioni ai vostri contatti. Chiedete ai giornalisti di seguire il caso e di suscitare una forte campagna di indignazione morale e civile.

Se volete seguire le attività di “Italiani per Hale” il link è www.sociale.network/tags/italianiperhale

Per chi è su Facebook basta cercare “Italiani per Hale” (www.facebook.com/groups/italianiperhale)

La mailing list è https://lists.peacelink.it/dirittiglobali/

Per contatti: a.marescotti@peacelink.org

Note: Per approfondimenti
DANIEL HALE SENTENCED TO 45 MONTHS IN PRISON FOR DRONE LEAK
“I am here because I stole something that was never mine to take — precious human life,” Hale said at his sentencing.
https://theintercept.com/2021/07/27/daniel-hale-drone-leak-sentencing/DANIEL HALE CONDANNATO A 45 MESI DI PRIGIONE PER FUGA DI NOTIZIE SUI DRONI
“Sono qui perché ho rubato qualcosa che non era in mio potere prendere: la preziosa vita umana”, ha detto Hale durante la sua condanna.Redazione PeaceLink

18 settembre 2021

Italiani per Hale (peacelink.it)


 

Il «dissenso patriottico» dei Whistleblower

La ricaduta . La loro battaglia ha cambiato le idee dei cittadini sulle scelte del governo Usa

Pochi giorni prima dell’inizio delle commemorazioni del 9/11, la deputata socialista Ilhan Omar si è rivolta pubblicamente al presidente Biden chiedendogli di graziare il whistleblower Daniel Hale, ex membro dell’aeronautica statunitense condannato a luglio a 45 mesi di carcere per aver divulgato informazioni classificate che hanno rivelato il programma statunitense dei droni e degli omicidi mirati. A marzo Hale si era dichiarato colpevole per aver violato l’Espionage Act, una legge risalente alla prima guerra mondiale, e nella sua lettera a Biden, Omar ha scritto: «La questione legale della colpevolezza del signor Hale è risolta, ma la questione morale rimane aperta. Credo fermamente che sia giustificato un perdono completo, o almeno una commutazione della sua pena».

A 20 anni dagli attentati dell’11 settembre, l’immagine pubblica dei whistleblower è cambiata. «Whistleblowers set us free» è la scritta che campeggia su una maglietta molto popolare tra gli attivisti americani, ma in Usa non è più necessario essere un attivista per condividerne il senso.

Figure come quelle di Hale, Edward Snowden, Tom Drake, Chelsea Manning, John Kiriakou e una miriade di altri whistleblower incombono su un mondo sempre meno popolato da personaggi aderenti alle regole, invece fedeli al «dissenso patriottico», come lo ha definito il veterano, scrittore ed attivista Danny Sjursen, che ha prestato servizio sia in Iraq che in Afghanistan, ed ora è autore di un’analisi critica della guerra in Iraq, nella quale ha coniato questa espressione per spiegare lo spartiacque creato da quella guerra nel concetto di patriottismo.

Per un anno dopo l’attacco alle torri qualsiasi segno di critica nei confronti del governo veniva percepita come un’imperdonabile aggressione al sacro amor patrio. La guerra in Iraq e poi le rivelazioni di Chelsea Manning sui crimini compiuti dall’esercito Usa in Iraq e Afghanistan, hanno portato a un cambio di registro. Se non fosse stato per l’atto di dissenso patriottico di Manning quei crimini sarebbero stati insabbiati, così come a Snowden si deve la presa di coscienza del programma di sorveglianza di massa del governo sui suoi stessi cittadini, sempre in nome dell’antiterrorismo.

Nonostante questo cambiamento di percezione sui whistleblower da parte dei cittadini statunitensi, Washington continua a tenerli sotto scacco come dimostrano i casi di Assange, Manning e Snowden, per citare 3 figure chiave delle battaglie per l’uso di internet, i segreti di stato e la sorveglianza di massa nell’era della lotta al terrorismo, che hanno reinventato le prassi di rivolta.

Per avere accesso alle informazioni riservate e compromettenti che rendono pubbliche, i whistleblower provengono spesso dall’ambiente militare, e la spiegazione più ricorrente su cosa li ha spinti a trasgredire alle leggi non è in contraddizione con questo: «Ho giurato sulla costituzione di proteggere gli Stati Uniti da ogni loro nemico, esterno o interno».

I programmi di intelligence interna dal 9/11 sono cresciuti, spinti dalla paura per il terrorismo e sostenuti da leggi e politiche che consentivano alle agenzie governative di accumulare dati sui cittadini. Spesso questi programmi hanno preso palesemente di mira le comunità musulmane negli Stati Uniti, trattandole come intrinsecamente sospette a causa del loro credo religioso. Oltre a fornire strumenti per sopprimere il dissenso politico e i movimenti per la giustizia razziale, visti come una minaccia per l’ordine sociopolitico esistente.

Kiriakou è diventato il primo whistleblower a confermare che il waterboarding, una forma di tortura, era prassi ufficiale degli Stati Uniti. «L’11 settembre – ha scritto – è stato lo spartiacque che ha cambiato in modo permanente il nostro modo di vivere. Non torneremo mai e poi mai nel nostro Paese del 10 settembre».

Negli ultimi 4 anni sono state presentate numerose proposte di legge per colmare le lacune e porre fine ai ritardi legali affrontati dai whistleblower, ma il Congresso deve ancora agire su qualsiasi correzione sostanziale per le leggi che si occupano dei loro casi.

 

10.09.2021

 

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