L’epica protesta degli agricoltori indiani: una storia da conoscere

Oltre nove mesi fa, i sindacati degli agricoltori hanno unito le forze per protestare contro le tre leggi agricole approvate dal governo Modi e imposte ai governi dei vari Stati della Confederazione.

Sfidando idranti, manganelli, gas lacrimogeni, blocchi, i manifestanti hanno raggiunto la periferia di Delhi nel novembre 2020, mentre il 26 gennaio 2021 400.000 trattori e un milione e mezzo di agricoltori sono arrivati nelle vicinanze della capitale, in occasione della Festa della Repubblica. Da allora portano avanti una protesta pacifica e molto partecipata.

La mobilitazione ha visto fra i protagonisti ben trentadue organizzazioni agricole dello Stato del Punjab, come BKU Rajewal, BKU Siddhupur, Kirti Kisan Union, BKU Lakhowal, BKU Dhakaunda, BKU Qadiyan; alcune dello Stato dell’Haryana, come BKU Chaduni, e dello Stato dell’Uttar Pradesh, come BKU Tikait. Protagoniste inoltre diverse organizzazioni pan-indiane che nel 2017 avevano formato il comitato di coordinamento All India Kisan Sangharsh: AIKMS, AIKM, AIKS Canning Street, AIKS Ajoy Bhawan, AIKKMS, NAPM, Shetkari Kisan Sangathan, Lok Sangram Manch, Jai Kisan Andolan, KRRS Chandrashekar, KRRS Chamrasa Patil e Nagendra, e i membri del Rashtriye Kisan Mazdoor Sangh, cje sono tra gli ideatori dell’attuale protesta a Delhi.

Le tre leggi oggetto della protesta sono: 1) Legge sullo scambio e sul commercio dei prodotti agricoli, 2020; 2) Accordo agricolo sulla garanzia dei prezzi e sui servizi agricoli, 2020; 3) Legge sui prodotti essenziali (emendamento), 2020.

Le leggi estendono la portata delle aree commerciali dei prodotti agricoli a “qualsiasi luogo di produzione, raccolta e aggregazione”, consentono il commercio elettronico dei prodotti agricoli, vietano ai governi statali di riscuotere le tasse di mercato in aree private, forniscono un quadro giuridico perché gli agricoltori possano stipulare contratti prestabiliti con gli acquirenti, compresa l’indicazione dei prezzi, offrono un meccanismo di risoluzione delle controversie, vietano la regolamentazione delle scorte di derrate essenziali e aboliscono il limite alle scorte sui prodotti agricoli, consentono un forte aumento annuo dei prezzi di oltre il 50% sui cereali a uso alimentare e del 100% su frutta e verdura, danno il via libera al mercato nero degli alimenti.

Il primo ministro Narendra Modi ha definito i progetti di legge uno spartiacque; con il suo governo, sostiene che le leggi consentiranno agli agricoltori di vendere più facilmente i loro prodotti ai grandi acquirenti.

Ma gli agricoltori spiegano da mesi che queste leggi sono contrarie ai propri interessi e favorevoli solo a quelli delle grandi imprese o corporations. La controversia ruota attorno ai seguenti elementi: la perdita del diritto di decidere cosa coltivare, la perdita di ogni garanzia da parte del governo circa i prezzi minimi di sostegno (Msp) e infine la perdita totale del potere contrattuale.

La protesta continua con slancio, rimanendo pacifica nonostante gli abusi della polizia e la disinformazione propagata dal governo nel tentativo di sedare la “rivolta”. Il fatto che la mobilitazione degli agricoltori sia rimasta ferma nelle proprie convinzioni ne fa un fenomeno storico.

I giornalisti di Pressenza hanno intervistato gli attori chiave di questa lotta pacifica senza precedenti per comunicare una comprensione più profonda e un contesto più ampio riguardo alle motivazioni che spingono gli agricoltori indiani a essere così fortemente contrari alle tre leggi. Questo articolo è il frutto di un dialogo con il dr. Ashish Mittal, Segretario Generale di All India Kisan Mazdoor Sabha, AIKMS.

Il contesto più ampio della protesta: l’India è un’enorme economia agricola

L’agricoltura in India occupa la maggiore superficie a mondo, circa 141 milioni di ettari, più della Cina, del Giappone e degli Stati Uniti. E coinvolge ben 700 milioni di persone, direttamente dipendenti da questa attività. Sono in ballo la questione di sicurezza alimentare per l’India e il suo popolo, e i mezzi di sussistenza di chi coltiva. Quindi, abbiamo un doppio problema. Se cediamo tutti i nostri prodotti e processi agricoli alle grandi società, cosa succede a queste persone? Cosa succede all’agricoltura? Cosa succede al cibo? Ecco come è nato il movimento.

Le tre leggi in questione sono un attacco consolidato e totale a tutti gli aspetti dell’agricoltura e dell’alimentazione: fornitura degli input, servizi, processi agricoli, acquisto di derrate, mercati agricoli, conservazione degli alimenti, selezione, imballaggio, lavorazione e commercializzazione degli alimenti.

Era naturale che ci sarebbe stata una grande rivolta. La quale è stata ed è più ampia di quanto il governo potesse prevedere; si credeva che la minaccia del coronavirus avrebbe fatto da deterrente. Gli agricoltori hanno sfidato la minaccia, mobilitandosi per denunciare il lockdown come antidemocratico e contemporaneamente sollevando I pericoli contenuti nelle tre leggi.

Il dibattito ruota intorno a questo: l’agricoltura, gli agricoltori contro le multinazionali e le grandi aziende, interessate a controllare tutti i processi. I prpduttori agricoli sono già soggetti alle manovre dell’agribusiness, ma il controllo non è ancora interamente nelle mani di quest’ultimo. Ecco la vera sfida espressa nelle tre leggi, che il governo centrale impone agli Stati membri della Federazione indiana.

L’agricoltura in India ricade nella competenza dei goveri dei singoli Stati. Ma la madre delle tre leggi, il Contract Act, sancisce una applicazione rigorosa delle sue disposizioni: I governi statali dovranno eseguire le direttive via via predisposte dal governo centrale. È un cambiamento molto grande quello che l’amministrazione Modi sta cercando di introdurre.

Nella storia dell’India, l’unico periodo paragonabile a nostro avviso è la prima guerra di indipendenza del 1857. I colonialisti britannici stavano cercando di cambiare l’intero modello agricolo sviluppando colture commerciali nel loro interesse. Gli agricoltori dovettero adattarsi, ma a scapito della possibilità di coltivare cibo per il fabbisogno locale.

Le tre leggi: cosa significano per i contadini

La Contract Law prevede che tutto ciò che gli agricoltori producono deve essere venduto alle aziende, e molto di più.

Implica che le corporations vincoleranno gli agricoltori con contratti ad hoc, obbligandoli a produrre ciò che vogliono loro, e verranno delimitate aree geografiche destinate a produrre, per le corporations, colture specifiche. L’India ha una quantità di aree agro-climatiche molto diverse, adatte a un’ampia gamma di colture, appetibili per le corporations. In queste aree, il governo e le grandi aziende imporranno le colture, come consentito dalle nuove leggi, sotto la bandiera dello sviluppo del settore agricolo indiano. Nello Stato dell’Uttar Pradesh è stato diffuso un annuncio: un distretto-una-coltura-un’azienda. Ciò significa che l’intero distretto potrebbe essere destinato, poniamo, alla coltivazione delle banane. Cosa accadrà agli agricoltori?

Le multinazionali non vengono qui per il grano e il riso, ma per coltivare derrate commercialmente lucrose, da trasformare e vendere. E per questo ricorrono all’agricoltura coatta. La coltivazione sarà fatta in maniera obbligata dall’agricoltore sulla sua stessa terra. Il rischio rimarrà sulle sue spalle, mentre il profitto sarà per l’azienda. Con queste leggi, se a un distretto viene ordinato di produrre una certa coltura, occorre obbedire.

Il paragrafo 16 del Contract Act afferma che il governo centrale impartirà istruzioni/ordini di volta in volta ai governi statali al fine di garantire una rigorosa applicazione di questa legge. Quindi, stipulare un contratto sarà obbligatorio. Non è una scelta. L’azienda ti obbligherà, ti costringerà, la polizia ti dirà che sei costretto a fare quella coltivazione perché, se non lo fai, non corrispondi “all’interesse nazionale”. Una politica che viene sollecitata in nome della crescita nazionale, un programma venduto come iniziativa per rivitalizzare l’economia del paese. E’ scritto nella legge chiamata Price Assurance Act.

I primi tre Stati nei quali gli agricoltori si sono mobilitati

In India dipendono dall’agricoltura 700 milioni di persone. E il modello principale è l’agricoltura di sussistenza. Le persone coltivano ciò di cui hanno bisogno per mangiare. E, a seconda dei loro mezzi, coltivano un po’ di più, per vendere. Il Punjab è insorto per primo, seguito dall’Haryana e dall’Uttar Pradesh occidentale, dal Rajasthan e poi da altri Stati. Perché? Il Punjab è uno Stato in cui il surplus agricolo è relativamente più elevato rispetto ad altre zone. Ciò significa che, su un acro di terra, se nel resto del paese si raccolgono venti quintali di grano, nel Punjab si può arrivare a quaranta quintali. Se un’unità agricola ne tiene per sé dieci quintali, i quintali da vendere sono dieci in media nel paese, mentre in Punjab sono trenta, il triplo. È anche importante notare che il Punjab è un’area in cui gli agricoltori riescono a ottenere il prezzo determinato dal governo (Msp). Il prezzo stabilito dal governo per il grano quest’anno è stato di 1975 rupie al quintale, mentre nel resto dell’India si vendeva a 1400 rupie al quintale. Un agricoltore del Punjab riesce dunque a vendere trenta quintali di grano per quasi 2000 rupie al quintale, nel resto del paese invece gli agricoltori riescono a vendere solo dieci quintali, al prezzo di 1400 rupie al quintale.

L’agricoltura come processo vitale e mezzo di sussistenza, fonte di reddito e fonte di occupazione, ha molto più valore per un agricoltore del Punjab che per il resto del paese.

È anche importante comprendere che l’India rimane un paese semifeudale e semicoloniale. L’economia indiana è ancora nelle mani di aziende straniere. La natura feudale, inoltre, si esprime tuttora con il lavoro forzato e la scarsa remunerazione della manodopera. Questa struttura semifeudale dei villaggi continua a prevalere in varia misura in tutto il paese. Per questo c’è molta migrazione di manodopera dai villaggi alle città.

La manodopera agricola che vive nei villaggi del Punjab, dell’Haryana e dell’Uttar Pradesh occidentale riesce a trovare impieghi nelle città e poi torna a svolgere lavori agricoli durante le stagioni della raccolta e della semina. In Punjab, Haryana e Uttar Pradesh occidentale sono presenti lavoratori migranti che non riescono a trovare lavoro nel resto del paese. Ecco perché queste aree geografiche si sono opposte per prime alle tre leggi.

La rabbia è così profonda che gli agricoltori continuano la loro protesta intorno alla capitale. Sono molto decisi a continuare fino a quando il governo non cederà. Sono pazienti e pacifici. Ci aspettiamo che il movimento continui a crescere così. Sta crescendo. Le cose iniziano ad accelerare nel resto del paese.

E’ utile far notare che da molte comunità agricole continuano ad arrivare, a titolo gratuito, cibo e altre forniture per far fronte alle necessità degli agricoltori accampati nelle principali aree della protesta intorno a Delhi. Questa solidarietà, radicata nella tradizione indiana della condivisione, è anche indice di un forte sostegno ai manifestanti.

Come tutti possono vedere, la protesta si sta allargando. Proseguirà.

Il movimento di protesta dei contadini

È animato da 33 sindacati agricoli in Punjab, una cinquantina in Haryana, e decine negli altri Stati. Si va dalle piccole realtà che riguardano pochi distretti a organizzazioni molto grandi. L’India è un paese enorme, multilingue, multiculturale. Per dare un’idea, posso dire che nell’area di Tikri le nostre tende sono sparse su 22 chilometri quadrati. In quella di Singhu, occupiamo una superficie intorno ai 18 chilometri quadrati. Anche a Gazipur ora siamo in gran numero, accampati intorno a un’autostrada su una lunghezza di circa due chilometri.

Il 26 gennaio 2021, 400.000 trattori e 1,5 milioni di persone sono arrivati appostaintorno a Delhi in coincidenza con la parata del giorno della Repubblica; partivano da territori distanti fino a 300 chilometri; ma l’80% non ha potuto entrare. In ogni caso è stato un raduno fenomenale. Una potenza enorme.

Richieste e proposte del movimento

Ovviamente, c’è una enorme differenza tra le affermazioni del governo e la realtà che sta accadendo. L’agricoltura indiana è in grave crisi e queste leggi agricole aumenteranno la crisi degli agricoltori. Ecco la nostra proposta: abrogarle intanto, e poi trovare un modo collettivo di procedere, alla ricerca di soluzioni ai problemi.

Una questione chiave è quella dei prezzi degli input agricoli. In India sono molto alti e anche pesantemente tassati. Per esempio, due terzi del prezzo del diesel è costituito da tasse governative. I prezzi dei fattori produttivi vanno abbassati, il che renderà la produzione agricola praticabile e creativa, sulla base delle molte capacità di cui ha sempre dato prova il popolo indiano. Bisogna fare in modo che gli agricoltori guadagnino dalla vendita commerciale dei loro prodotti. Se accadrà, l’India potrebbe diventare uno dei paesi più prosperi al mondo. Tutti i problemi della nostra popolazione potrebbero trovare soluzione. Oltre alla questione dei prezzi degli input, riteniamo che le strutture di commercializzazione e di trasformazione delle derrate debbano essere controllate dagli agricoltori. Nella filiera di trasformazione, le aziende ricavano enormi profitti.

Ci sono molte altre questioni: accesso all’istruzione, formazione in campo agricolo, sanità, infrastruttura sanitaria, infrastruttura civile – enormemente carente. Anche la condizione del suolo deve essere migliorata. In India molte colture possono essere alimentate dalla pioggia quasi tutto l’anno. Ma occorre conservare l’acqua. E non c’è bisogno di grandi dighe, le quali anzi sono un disastro: agroeconomia, ambiente, biodiversità, tutto ne viene distrutto. Il cammino verso l’utilizzo creativo dei suoli indiani per lo sviluppo dell’agricoltura e della sua gente è un compito enorme. Ha bisogno dell’incontro delle menti. Di un esercizio fecondo e collettivo della materia grigia.

Un’intensa e ingannevole propaganda governativa da contrastare

Le tre leggi cambieranno il modello agricolo del paese a scapito dei contadini indiani e peggioreranno le condizioni di vita nei villaggi. Sanciranno il controllo da parte del mondo del business e delle multinazionali su tutti i processi agricoli, determineranno anzi detteranno il tipo di derrate da coltivare, controlleranno le forniture di input, diesel, benzina, elettricità, semi, fertilizzanti, macchinari, venderanno tutti i servizi agricoli e l’agricoltore sarà costretto ad acquistarli. Alla fine gli stessi attori forti compreranno il raccolto sulla base delle proprie esigenze, abbassando il prezzo effettivo pagato al produttore, perché prima dell’acquisto vaglieranno la qualità del raccolto e determineranno il prezzo finale pagato in base ai risultati del loro esame.

Controlleranno i mercati agricoli. I grandi commercianti sono stati finora banditi da questi mercati, perché tendono ad abbassare i prezzi, approfittando anche dei debiti degli agricoltori. Ma con queste nuove leggi, tutto il business dell’acquisto dei raccolti sarà aperto attraverso i mandis (mercati) privati, con le loro piattaforme di e-trading.

L’India aveva una legge chiamata Essential Commodities Act, secondo la quale tutti i beni essenziali per la vita, cibo, acqua, elettricità, medicine, benzina, diesel, non potevano essere immagazzinati oltre certi limiti, né commerciati in nero. Ora il governo ha approvato un emendamento a questa legge, secondo il quale il cibo non sarà più considerato come un bene essenziale!

L’intero mercato alimentare viene aperto alle multinazionali. Le cifre mia disposizione dicono che il mercato indiano degli alimenti trasformati vale 300.000 milioni di rupie, e le corporations si attendono che cresca, entro un anno o due, fino a 2.100.000 milioni di rupie.

La ragione essenziale per cui i contadini sono mobilitati allo stremo contro queste leggi, è perché sentono che potranno perdere anche la loro terra. Secondo la legge sui contratti (Contract Act), i terreni saranno ipotecati alle agenzie di credito così che l’agricoltore abbia di che pagare ai fornitori i fattori produttivi e i servizi. Nel caso in cui l’agricoltore prenda un prestito, se non lo ripagherò nel lasso dovuto, come da sezione 14.7 della legge, l’agenzia creditrice venderà i suoi terreni. È scritto chiaramente nella legge. Nell’insieme, tutte e tre le leggi in realtà impegneranno l’agricoltore attraverso una serie di intermediari, che in realtà saranno agenti e agenzie delle multinazionali e imporranno la produzione di colture utili agli interessi commerciali delle società. L’agricoltura di sussistenza, l’agricoltura sostenibile, le colture alimentari a livello familiare, finiranno.

Il governo centrale imporrà l’attuazione di queste leggi attraverso i governi statali, che dovranno eseguire. Non ci sarà scampo. Sarà un programma del governo, applicato attraverso le strutture amministrative e di polizia. E chiunque non si adeguerà sarà accusato di essere anti-patriottico. Ecco la forza e il potere delle nuove leggi.

Hanno cercato di dire che gli agricoltori non capiscono di cosa stanno parlando. Mentono. Oltre all’abrogazione di queste leggi, abbiamo anche chiesto che una legge per assicurare che tutte le colture siano acquistate al prezzo minimo di sostegno (Msp-Minimum Support Price). E il prezzo minimo di sostegno deve essere determinato da una formula che comprenda tutti i costi degli input, con l’aggiunta di un 50%. Questa formula fu stabilita nel 2006 dalla Commissione nazionale per gli agricoltori (National Farmers Commission), il cui presidente era il professor Swaminathan. Quindi, questa è la richiesta degli agricoltori. I quali chiedono anche l’annullamento e l’abrogazione del New Electricity Act, una nuova legge che cancella l’elettricità sovvenzionata per gli agricoltori e per le famiglie rurali.

Le questioni sollevate dalla protesta riguardano direttamente oltre il 50% della popolazione indiana, che dipende direttamente dall’agricoltura, ma anche il resto della popolazione, che mangia ciò che gli agricoltori producono. Eppure anche con questi numeri è tanto difficile influenzare la prospettiva politica del paese. L’India è immensa. E il governo diffonde disinformazione in maniera massiccia. Ma certamente, qualcosa si muove. Molte persone che pure non sostengono direttamente il movimento dei contadini, hanno iniziato a riflettere sulla gravità di queste leggi.

A mio parere, tutti i paesi che sono diventati grandi potenze mondiali, non importa se nei contesti comunisti, capitalisti e intermedi, hanno sempre tenuto la loro agricoltura al sicuro dallo sfruttamento straniero. L’India è l’unica nazione che pretende di diventare una superpotenza agevolando la penetrazione delle multinazionali straniere nell’agricoltura interna.

Tutte le persone e le organizzazioni democratiche e progressiste dovrebbero porsi questi problemi e cercare risposte; e dovrebbero mobilitarsi nelle strade. Questo è il nostro appello. Il sostegno sembra insufficiente. Il problema è che questo governo ha diffuso ogni sorta di pregiudizi contro i contadini: sarebbero anti-patriottici, agenti del Pakistan, sostenuti da fondi stranieri, portatori di interessi settoriali, schierati contro gli interessi del paese, ecc.

E tuttavia il governo in carica a livello centrale ha perso tutte le elezioni tenutesi nel paese da quando è iniziato il movimento degli agricoltori. Ha perso sostegno in modo continuativo, anche se i cittadini hanno bisogno di tempo per capire l’importanza del problema. Vivono in questo paese nella speranza che un partito o la sua opposizione facciano i loro interessi.

L’opposizione non ha fatto chiarezza su questi temi. Non sta parlando con una sola voce, non sta parlando chiaramente, sta solo dicendo che il governo dovrebbe risolvere i problemi degli agricoltori. Non dice di abrogare queste leggi, di abrogare la legge sull’elettricità, di abbassare i prezzi degli input. Questa è una delle ragioni per cui la gente continua a essere confusa. L’agricoltura non è più il sistema di vita della gente di città. È qualcosa che si è perso o dimenticato da tempo. Comprendere da parte loro è un processo lento. Ma va avanti, perché nelle città si sta anche soffrendo una grande perdita di posti di lavoro. In un anno, a causa del lockdown legato al coronavirus, l’India ha visto crescere il numero di contadini del 9,6% in un solo anno. Il legame con le campagne sta diventando sempre più profondo.

Quale sostegno politico al movimento degli agricoltori

L’India ha più Stati, e più partiti al governo a livello statale. Sei governi statali hanno approvato risoluzioni che chiedono l’abrogazione delle leggi oggetto di contestazione. Ma sono voci che non si stanno traducendo nella pratica. Non nella forma di un movimento. Chi ha scosso il governo di Delhi sono state le persone accampate da mesi ai margini della capitale. Ma non vediamo mobilitarsi nelle strade a fianco dei contadini i partiti e le assemblee parlamentari che nei vari Stati hanno approvato risoluzioni.

Ecco, questo manca.

Gli agricoltori e il potere legislativo

Le leggi sono fatte dai parlamentari, dai politici. Nessun politico al potere o all’opposizione ha dato finora un sostegno forte. Solo chiacchiere. Alla domanda “gli agricoltori non dovrebbero forse avere una migliore rappresentanza in Parlamento, magari formando un partito politico o influenzando la formazione di un partito politico su questi temi?”, si risponde che l’istituzione rappresentativa indiana lavora su rappresentanze regionali e locali, non ha rappresentanze tecniche o professionali.

Ma in ogni caso, quello a cui si sta assistendo è una vera e propria politica contadina. I leader degli agricoltori sono politicamente cresciuti in questi mesi e hanno imparato ad articolare proposte, denunce e richieste meglio di quanto non riuscissero a fare nove mesi fa.

Il messaggio è forte e chiaro. L’obiettivo politico degli agricoltori è far cambiare politica al governo.

La metodologia gandhiana della nonviolenza attiva come metodo

Il nostro movimento ha deciso di costringere il governo ad ascoltare le voci delle masse. Il primo passo è stato quello di arrivare fino a Delhi in massa. Non abbiamo mai messo in conto di usare la violenza. Abbiamo puntato sulle masse, accampata nelle strade. Sui nostri numeri. Quando il governo ci ha fermati, abbiamo scavalcato le barricate. Quando il governo ci ha inseguito con pietre, cariche, granate di gas e cannoni ad acqua, siamo andati avanti. Non abbiamo incolpato nessuno. E siamo pronti a continuare così. Perché questa è una forza di cui questo governo ha paura. Ecco come la pensiamo.

C’è la convinzione che la nonviolenza sia un grande metodo. E’ il metodo del popolo. Il popolo non è mai violento. Solo che a volte, quando le persone vengono umiliate fisicamente, reagiscono. Ma è un tipo di violenza molto, molto difensiva. Le persone per natura non sono violente. La violenza è uno strumento dei potenti, quando vogliono obbligarti a fare quello che vogliono.

Penso che la protesta pacifica sia uno strumento davvero importante. Le persone si sono riunite su questa piattaforma. E per noi, è un tipo di risveglio molto nuovo e una grande sensazione. Come se stessimo cercando di dire al paese che questa è la strada giusta. Ogni contadino accampato lì per strada ha la sensazione di essere sul cammino giusto.

Penso che il governo sappia molto bene che tutto questo non svanirà. In realtà stanno tentando di creare discordia, di provocare una rottura nell’unità dei contadini ricorrendo a provocatori, per demoralizzare la protesta. Ma il piano non sta funzionando. La base è troppo grande per poter essere manovrata o smobilitata. Queste tattiche avrebbero potuto funzionare per un po’, se il movimento fosse stato limitato a pochi distretti, a piccole aree. Possono demoralizzare e schiacciare la protesta in un distretto, ma riprenderà con più vigore in un altro. Il 26 gennaio 2021 hanno tentato una mossa su vasta scala, ma hanno fallito: la rabbia dei contadini era troppo grande. Non sono riusciti a schiacciarli.

Come sostenere a livello internazionale i contadini indiani

Un grande sostegno viene dalle proteste che si sono svolte in tutto il mondo. Mi auguro che crescano in numero e forza, che si svolgano anche seminari internazionali e che i media ne scrivano di più. L’atto più utile è scendere in strada. Le proteste dovrebbero essere fatte nel modo giusto, vicino alle ambasciate, alle sedi istituzionali, interpellando i governi dei vari paesi affinché dicano chiaramente al governo indiano che è troppo. Questo sarà un sostegno utile. E ne stiamo ricevendo. Il Canada e alcuni altri hanno approvato risoluzioni che chiedono al governo indiano di affrontare i problemi degli agricoltori.

La protesta non diminuisce e la speranza che le loro richieste e proposte ottengano spazio in modo nonviolento può davvero contribuire alla costruzione di un futuro migliore.

Non solo per i contadini ma per tutti, perché tutti abbiamo bisogno di cibo e di salute.

Traduzione dall’inglese di Simona Trapani

revisione di Marinella Correggia

L’intervistato

Il dottor Ashish Mittal ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia presso l’All India Institute of Medical Sciences (Aiims) nel 1982. Ha studiato medicina comunitaria e in seguito è entrato a far parte del movimento degli agricoltori. È tra i fondatori di All India Kisan Mazdoor Sabha (Aikms) e ne è diventato il segretario generale nel 2016. Aikms lavora principalmente tra i contadini poveri e senza terra, i tribali e i pescatori nei seguenti Stati: Punjab, Telangana, Andhra Pradesh, Odisha, Bihar, Uttar Pradesh, West Bengal focalizzandosi sui mezzi di sussistenza, sugli spostamenti forzati e sulle questioni economiche dei contadini.

https://www.pressenza.com/it/2021/09/lepica-protesta-degli-agricoltori-indiani-una-storia-da-conoscere-parte-1/

https://www.pressenza.com/it/2021/09/lepica-pacifica-protesta-degli-agricoltori-indiani-una-storia-da-conoscere-parte-2/

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