Mons. Giovanni Ricchiuti: “Armi, il commercio non conosce crisi. L’atomica è immorale”

Un commercio che non conosce crisi, nemmeno al tempo della pandemia di Covid-19 durante il quale vendite e fatturati sono cresciuti indisturbati.

Anzi, quando venivano chiuse fabbriche e aziende nel tentativo di fermare la circolazione del virus nel periodo iniziale dell’emergenza sanitaria, fra le poche attività che non hanno mai smesso di produrre vi sono proprio le industrie legate agli armamenti. “Un settore – sottolinea a l’Eco di Bergamo mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi – sempre in attivo, a fronte di una scarsissima attenzione alle molte povertà, ingiustizie sociali ed economiche denunciate a gran voce anche da papa Francesco”.

Assieme a mons. Amedeo Ferrari rettore del Santuario di Caravaggio, Francesco Vignarca coordinatore campagne della rete Pace e Disarmo, Piergiulio Biatta presidente di Opal-Ets – Brescia, il prelato è fra i relatori della serata di “informazione e confronto” in programma domani, 29 ottobre, presso l’Auditorium del santuario di Caravaggio. Intitolata “Stop alle armi nucleari – Aiutiamo l’Italia a ripensarci” e moderata dal Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova, l’iniziativa vuole invitare a una riflessione sull’uso delle armi, partendo da una frase pronunciata dal pontefice a Hiroshima nel novembre 2019, durante il viaggio apostolico in Thailandia e Giappone: “L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche”.

“Bloccare la produzione” per il nuovo Coronavirus, osserva mons. Ricchiuti, mentre “le fabbriche di armi sono rimaste sempre in funzione è il segno di una miopia e di una ingiustizia” che finiscono per alimentare “l’emarginazione e la povertà di molti”. Nel recente passato “una cinquantina di associazioni che si ispirano alla pace hanno sottoscritto un documento in cui chiedono di rivedere questa logica alla base delle spese militari”. In realtà, prosegue, “non si viene mai ascoltati dalle autorità competenti” come conferma l’incontro avvenuto il 4 agosto 2020 con il titolare della Difesa Lorenzo Guerini, voluto dallo stesso ministro in risposta ad alcune interviste critiche sulla vendita di armi rilasciate in precedenza dal prelato. “Ho chiesto conto al ministro – ricorda l’arcivescovo – della vendita di motovedette all’Egitto, di armi all’Arabia Saudita, della questione legata ai caccia F-35, anche in considerazione dell’articolo 11 della Costituzione secondo cui l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e la legge 185/90 votata dal Parlamento sul commercio delle armi”. Guerini, in risposta, si è trincerato dietro alla cosiddetta “ragion di Stato” in base alla quale le armi “si producono e si vendono perché così va fatto”.

Secondo l’ultimo rapporto elaborato dagli esperti del Sipri, l’Istituto per le ricerche sulla pace di Stoccolma, negli ultimi cinque anni le vendite di armi sono rimaste invariate rispetto al quinquennio precedente e nemmeno la pandemia ha scalfito affari e profitti. L’Italia è il decimo maggior esportatore al mondo, con una leadership negli aerei militari e nelle navi per un 2,2% del totale complessivo nel settore. Fra le nazioni beneficiarie vi sono Turchia (18%), Egitto (17%) e Pakistan (7,2%), ma nelle prime dieci posizioni troviamo anche Qatar, Turkmenistan e Arabia Saudita. In molti casi le armi prodotte in Italia finiscono per alimentare i peggiori conflitti al mondo, come quello nello Yemen dove è in atto la peggiore crisi umanitaria al mondo. “Da un codice ritrovato su un frammento di una bomba – racconta il presidente di Pax Christi – si è scoperto che l’ordigno era stato prodotto in Sardegna, nel Sulcis, dove si trova una fabbrica della Rwm [controllata dalla tedesca Rheinmetall, ndr]”. Come denunciato dalle stesse Nazioni Unite, in molti casi gli ordigni lanciati dalla coalizione araba guidata da Riyadh finiscono per colpire scuole e ospedali, massacrando civili innocenti che devono già affrontare le conseguenze della più vasta crisi alimentare oggi in atto sul pianeta. “Come può l’Italia, che ripudia per principio la guerra, finire per alimentarla strumentalizzando per ragioni di opportunismo anche vicende drammatiche come quella di Giulio Regeni e Patrick Zaki, pur continuando a vendere armi al Cairo”.

Un capitolo a parte è quello dedicato all’atomica, la più devastante delle armi sinora progettate (e usate) dall’uomo nei conflitti. “Anche qui registriamo una continua crescita – afferma mons. Ricchiuti – e nessuno sembra intenzionato a fare passi indietro, nemmeno di fronte ai richiami del papa dal quale i politici fanno la fila per stringere la mano, ma poi proseguono con questa corsa agli armamenti di una sordità e di un egoismo assoluti. Questa mentalità, come l’ha definita lo stesso Francesco, è quella della grande ipocrisia” che si accompagna all’uso massiccio, in politica come nell’informazione, di un “linguaggio bellico e militaresco, come emerge anche nella ‘guerra’ alla pandemia e nell’organizzazione di stampo ‘militare’ per sconfiggere il virus”. La realtà è scoraggiante e cambiamenti non se ne vedono all’orizzonte, ma per il presidente di Pax Christi non bisogna smettere di parlare, sensibilizzare, organizzare incontri come quello di domani a Caravaggio (con inizio alle ore 20.45): “Guerra e violenze sembrano spegnere ogni speranza – conclude il prelato – ma come il profeta Ezechiele noi dobbiamo continuare a parlare, e denunciare, anche se nessuno ascolta. Perché restare in silenzio fa solo il gioco di quanti vogliono perpetrare impuniti questa politica delle armi”.

Mons. Giovanni Ricchiuti in un’intervista rilasciata a L’Eco di Bergamo (28 ottobre 2021, a cura di Dario Salvi).

“Armi, il commercio non conosce crisi. L’atomica è immorale” (mosaicodipace.it)

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