Nel mondo anglosassone e non solo, la popolarità del termine “critica” è tale che sulla “critical theory” si possono trovare in libreria dizionari, glossari, antologie.
Roberto Fineschi: Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici
Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici
di Roberto Fineschi
I. Per una definizione meno vaga del concetto di “critica” attraverso Marx
Nel mondo anglosassone e non solo, la popolarità del termine “critica” è tale che sulla “critical theory” si possono trovare in libreria dizionari, glossari, antologie.1 Sfogliando le pagine di queste pubblicazioni, tuttavia, talvolta si resta un po’ disorientati vedendo accostati autori assai lontani tra di loro, al punto che è difficile scovare un tratto comune, se non in un generico atteggiamento anti-mainstream. Che cosa sia mainstream resta d’altra parte non chiaramente espresso. Ovviamente, non si intende qui liquidare il contributo di autori assai importanti; si tratta piuttosto di prendere atto che questo galassia pare riconducibile a una qualche unità solo per via negativa, un criterio di distinzione/identificazione troppo generico e, da sempre, potenzialmente foriero di accostamenti pericolosi.2
Un tentativo di ricostruzione della storia del termine andrebbe ovviamente molto al di là dei limiti di questo contributo, in questa prospettiva però si può forse fare qualche considerazione di carattere generale a partire dall’autore che meglio conosco, vale a dire Karl Marx. È noto, infatti, che molte delle sue opere contengono la parola “critica” addirittura nel titolo3 e che l’ambiente della “critica critica”, come sarcasticamente Marx la defi e nel sottotitolo della Sacra famiglia, rappresentò il contesto culturale nel quale avvenne la sua formazione e dal quale prese successivamente le distanze. La tesi da indagare, che qui si espone solo come spunto di ricerca da approfondire, è che il termine venga utilizzato in una maniera analoga a quella che si confi ura nell’ambito della metodologia storico-critica dell’esegesi biblica tedesca degli anni trenta e quaranta dell’ottocento grazie a interpreti come Strauss, Bruno Bauer, ecc.4
Paolo Ferrero: Il caso italiano
Il caso italiano
Editoriale di Paolo Ferrero
Con questo numero di “Su la testa” cerchiamo di dare un contributo alla comprensione della realtà del nostro Paese, con particolare attenzione alla condizione “materiale e spirituale” del popolo italiano.
Non vi troverete quindi i pensieri delle élite – che occupano la totalità dello spazio pubblico e colonizzano il senso comune – ma alcuni spunti per capire meglio la situazione in cui viviamo, nei suoi aspetti problematici e nelle sue potenzialità.
Così, accanto all’analisi degli elementi strutturali del Paese troverete anche riflessioni su immaginari, aspettative e comportamenti degli strati popolari.
Riteniamo infatti, che per comprendere il contesto in cui facciamo politica, non sia sufficiente guardare ai dati economici e produttivi, ma sia necessario cogliere i protagonisti nella loro complessità.
In primo luogo, perché i rapporti sociali di produzione vanno ben al di là del puro dato economico e riguardano l’esercizio del potere, il senso comune, la cultura, le identificazioni, le narrazioni egemoniche.
In secondo luogo perché la classe degli sfruttati non può essere desunta semplicemente dall’osservazione del capitale: come ci ha ricordato Raniero Panzieri, la classe ha una sua dinamica soggettiva che va compresa attraverso l’inchiesta. In altre parole il materialismo che Marx ci ha insegnato non ha nulla a che vedere con l’economicismo o con il determinismo: è un metodo dialettico e scientifico di analisi della società nella sua totalità, finalizzato alla comprensione del reale, delle effettive dinamiche sociali.
lorenzo merlo: La società offensiva
La società offensiva
di lorenzo merlo
Troppe persone, troppa informazione, troppo individualismo, troppa disgregazione, una sola miccia. Meglio fare attenzione
La stirpe
Si va di fretta. Era ieri il tempo del capitalismo finanziario – che da poco aveva mandato al macero, quantomeno culturale, quello storico, effettivamente ormai anziano – e strane avanzate cinesi lo hanno obbligato ad alzarsi – nonostante i consigli di Mr Lehman e dei suoi fratelli – dagli allori. Una sveglia piuttosto dura, da scuola ufficiali, gli è entrata nel cervello. E si è effettivamente svegliato. E dato da fare. Da dove sennò il globalismo economico? Bella idea, ma ancora carente. Ancora troppo lassista: non aveva dato il giusto peso inerziale implicito nelle nazioni, nelle tradizioni locali. L’ordoliberismo era servito su tutti i tavoli dell’Occidente (in senso lato). Sembrava a basta. E invece no. Oppure, non da solo. Il suo gemello meno appariscente porta ancora il nome dell’avo, ma ha doti tutte sue. È il capitalismo della sorveglianza. Doti nascoste, esattamente come è nascosta alla maggioranza la sua modalità di azione. Anzi, di coercizione. Una vera magia. Un incantesimo che ci fa credere sia bene per noi ciò che serve a lui per prosperare. E, se già non in atto, con propaggini fino a dentro di noi.
Così, in men che non si dica, il capitalismo che era cosa solo violenta e problema solo proletario, si è evoluto in umiliante per tutti e offensivo per la politica e la società. Politica in senso gramsciano, democratico, di una volta. Non quella di oggi, attrezzo di servizio del liberismo.
At TENTI aaa… Est!
L’excursus appena riassunto permette di osservare – come fosse ancora necessario – i segni del suo corso. Dai rubinetti della grande diga del pensiero unico sono sgorgati vari regali: la riduzione del welfare, l’abbattimento dell’articolo 18, la determinazione a digitalizzare, la diffusione del 5G, la precarietà come valore alla libera iniziativa, le privatizzazioni.
Fabrizio Marchi: “Scientismo”, nuova religione (ma non la sola) del XXI secolo
“Scientismo”, nuova religione (ma non la sola) del XXI secolo
di Fabrizio Marchi
Nel mio libro “Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta”, pubblicato ormai circa tre anni fa, quindi ben prima della pandemia, spiegavo come lo “scientismo” – insieme al neo femminismo (criminalizzazione del genere maschile, peraltro fuori tempo massimo, camuffata da processo di liberazione delle donne), al cosmopolitismo (omogeneizzazione del pianeta sul modello capitalista occidentale), al “diritto-civilismo” (diritti civili interpretati a senso unico in sostituzione dei diritti sociali con la finalità di disinnescare alla radice il conflitto di classe ed esportazione manu militari degli stessi), al “tecnicismo” (primato assoluto della tecnica, oltre che del capitale, sul dibattito politico e filosofico) – fosse uno dei mattoni ideologici dell’attuale sistema capitalista dominante.
Mi pare di poter dire che la gestione politica e soprattutto ideologica della crisi pandemica in atto abbia confermato questa tesi.
La mia opinione è che fin da subito abbia prevalso un atteggiamento ideologico – appunto, “scientista” – che di laico e di razionale (e quindi di autenticamente scientifico) aveva e ha ben poco.
Raffaele Cerbini: Sulla variante Omicron
Sulla variante Omicron
di Raffaele Cerbini
Buongiorno!
Come promesso, oggi pubblico un post complesso e debitamente referenziato riguardo la variante Omicron del virus SARS CoV2.
Spero che questa analisi possa rivelarsi utile per informare correttamente su due cose molto importanti.
La prima consiste nel fatto che la variante omicron è estremamente infettiva ed ha un meccanismo di elusione anticorpale per il quale gli attuali vaccini ed anche molti degli attuali anticorpi monoclonali risultano totalmente inutili al fine della protezione individuale.
La seconda consiste nel fatto che la variante omicron causa una patologia molto meno grave rispetto al virus originale ed alle precedenti varianti e questo indipendentemente dallo status vaccinale.
A questo punto, prima di continuare (vista la lunghezza di quanto scriverò successivamente), colgo immediatamente l’occasione per augurare a tutti uno splendido 2022, ricco di tutte le soddisfazioni meritate e desiderate!
Andrea Zhok: Letterina di Natale al Presidente Mario Draghi
Letterina di Natale al Presidente Mario Draghi
di Andrea Zhok
Onorevole Presidente, nella conferenza stampa del 22 dicembre lei, con riferimento alla sua affermazione di luglio scorso che introduceva il Green Pass come «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose» ha dichiarato:
«La comunicazione sul Green Pass ha fatto stato di quelle che erano le conoscenze a quel momento. Sulla base di questo, quell’affermazione è giusta»
Ora, mi corre innanzitutto l’obbligo di segnalarle che questo non corrisponde a verità, visto che prima dell’implementazione del Green Pass si sapeva già benissimo (ci sono pubblicazioni scientifiche del periodo) che il vaccino non bloccava la trasmissione. Se questo è quanto il Comitato Tecnico Scientifico le ha riferito, forse sarebbe il caso di dismetterlo immediatamente in blocco, per manifesta incompetenza.
Ebbene, caro Presidente, mi faccia capire:
Paolo Cacciari: Cinquant’anni buttati
Cinquant’anni buttati
di Paolo Cacciari
Il 1972 segna il punto più alto dell’emergere della nuova cultura ecologista con il primo summit delle Nazioni unite. Oggi il surriscaldamento globale è solo uno dei sintomi del collasso ecologico. Com’è potuta accadere, si chiede Paolo Cacciari, una rimozione così profonda e prolungata delle rilevanze scientifiche, oltre che sociali e morali del pensiero ecologista? “Rispondere con sincerità a questa domanda è un passaggio indispensabile da compiere per chiunque desideri cercare una via di uscita alla degradazione della vita sulla Terra”. Di certo il tempo trascorso da allora dovrebbe essere sufficiente per convincerci a cambiare criteri di riferimento, immaginare cosmovisioni diverse, praticare relazioni di cura con gli altri e con la natura
Quest’anno saranno cinquant’anni dalla pubblicazione del Rapporto The Limits to Growth elaborato da un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology guidato da Donella e Dennis Meadows, commissionato dal Club di Roma (un “circolo di discussione” o, come diremmo ora, un think tank, finanziato da imprese e istituzioni pubbliche, guidato da Aurelio Peccei, un illuminato economista e amministratore delegato della Olivetti, formato da scienziati, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti funzionari internazionalii), pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo I limiti dello sviluppo.
Mauro Armanino: Il passaporto scaduto e le saldature di Jean
Il passaporto scaduto e le saldature di Jean
di Mauro Armanino
Niamey, 26 dicembre 2021. Non sembra ma dieci anni passano in fretta. Avevo ottenuto il passaporto un paio di mesi prima di partire alla volta del Niger. Chi avrebbe mai immaginato di vivere una decade nel Paese dove ero sbarcato il mese di aprile del 2011. La data di scadenza del documento è stata ampiamente superata. Il solo documento valido attualmente in mio possesso è il permesso di soggiorno, rinnovabile ogni anno a determinate condizioni. La mia libera mobilità si trova di colpo mortalmente colpita: senza un passaporto valido è impossibile viaggiare regolarmente ad di fuori del Paese. Ma anche all’interno del Paese, da tempo ormai, è complicato spostarsi liberamente per chi ha una nazionalità ‘occidentale’ o si trova ad avere un altro colore. La storia è strana davvero, ci sono corsi e ricorsi e avvenimenti non programmati che fanno sorridere persino la sabbia, notoriamente abituata al detto che tutto cambi perché niente, in fondo, cambi.
Nascere in un Paese o in un altro non è affatto innocente. Il luogo, oltre le retriche del mondo villaggio e della sedicente globalizzazione che tutto avrebbe normalizzato’, conserva un’imporatanza cruciale per la vita reale di una persona.
Geminello Preterossi: Fuga dalla libertà
Fuga dalla libertà
di Geminello Preterossi
Non voglio parlare della Grande Mistificazione. Bugie, contraddizioni, opacità, presunte verità “scientifiche” spacciate per assoluti indiscutibili e poi rinnegate (facendo finta di niente) sono squadernate davanti a noi. Del resto, la neolingua del potere – e della pseudoscienza fattasi potere – è eloquente. Chiunque abbia occhi per vedere non può non chiedersi perché stia accadendo tutto questo. Quali siano le cause di questa cieca e furente isteria fomentata dall’alto, nel seno dell’Occidente, e in particolar modo nel centro dell’Europa.
Voglio parlare della fuga dalla libertà, che è anche fuga dalla giustizia e dalla democrazia. Come chiariva Piero Calamandrei, sulla rivista Il Ponte, nel 1945: “La giustizia sociale non è pensabile se non in funzione della libertà individuale”. L’Evento che in questi giorni, in virtù del nichilismo in atto, non può essere realmente celebrato, ma solo rinnegato dalle istituzioni (tra cui la Chiesa stessa), proprio in quanto “forza del passato”, attraverso una via complessa, fatta di contaminazioni e transiti post-tradizionali, serba una promessa di liberazione forse non esaurita. Grazie a un lascito teologico-politico in perenne dialettica, contraddittoria ma generativa, con la modernità, il principio della soggettività, l’idea stessa di una mitigazione post-sacrificale del potere. L’Incarnazione come premessa dell’autoaffermazione del soggetto, che deve però rimanere capace di trascendere l’immanenza materiale degli interessi, la pretesa di assolutezza dell’economicismo. Il neoliberismo (esiste, eccome se esiste…) ha generato la perversione di quella spinta – di per sé legittima – auto-affermativa, creando le condizioni di un nuovo asservimento di massa, algoritmico. È di questa estremizzazione perversa che occorre liberarsi, perché distruttiva.
Lorenzo Lodi: La Cina è un paese imperialista? Le implicazioni di una ‘classificazione’
La Cina è un paese imperialista? Le implicazioni di una ‘classificazione’
di Lorenzo Lodi
Gli sviluppi della pandemia di Covid–19 hanno intensificato il clamore mediatico e accademico relativo allo scontro Stati Uniti-Cina, sulla scia di una retorica che tende a dipingere quest’ultima come una potenza imperialista. Questo termine viene utilizzato soprattutto con intenti propagandistici, volti a demonizzare il gigante asiatico, in quanto attore sempre più aggressivo sul piano geopolitico. Quando invece la definizione viene utilizzata ‘scientificamente’, essa si limita a constatare la crescente influenza economica e diplomatica cinese in Asia e Africa, che fa il paio con l’affermazione della Cina come seconda potenza mondiale per prodotto interno lordo e aspirante rivale degli USA nei settori high-tech (5G, intelligenza artificiale, auto elettrica ecc.). Caratterizzare in maniera approfondita il significato dell’ascesa geopolitica ed economica cinese è però necessario per costruire una strategia rivoluzionaria internazionalista.
* * * *
Introduzione
Scopo di questo articolo non è tanto confrontare la Cina con gli altri attori globali tramite indicatori quantitativi di influenza economica, militare e diplomatica, senza cogliere l’essenza sociale ed economica delle relazioni internazionali. L’obiettivo è invece quello di contribuire al dibattito nella sinistra radicale e nel marxismo attorno ai seguenti quesiti: in che senso si può parlare di imperialismo? La Cina è un paese imperialista? Non si tratta, sia chiaro, di una questione classificatoria: la natura imperialista o meno di un paese non coincide necessariamente con la sua potenza, ma si intreccia con essa definendone le possibilità di sviluppo. Fornire una caratterizzazione precisa della Cina può dunque aiutarci a capire la specificità delle tensioni geo-politiche e di classe che il suo tentativo di scalare le gerarchie mondiali comporta, come cercheremo di argomentare nell’ultimo paragrafo.
comidad: Draghi non è l’uomo che non deve chiedere mai
Draghi non è l’uomo che non deve chiedere mai
di comidad
L’ultimo rapporto Censis ci ha rivelato che milioni di Italiani credono che la Terra sia piatta. Avevano quindi torto i catastrofisti che ci dipingevano il popolo italiano tutto proteso a spiare le prossime mosse di Maria De Filippi; c’è invece una quota tra il 5 e il 6% che si appassiona a teorie cosmologiche, per quanto eterodosse. Magari qualcuno si darà la pena di deluderci, analizzando i questionari del Censis e scoprendo che sono stati forzati in modo tale da suggerire le risposte ed offrire il quadro di una ventata di irrazionalismo, un calderone mediatico in cui annegare anche evidenze come i conflitti di interesse e lo strapotere del lobbying multinazionale.
Ma, in ogni caso, siamo davvero sicuri che l’irrazionalità sia un’esclusiva del popolaccio infimo? Nella sua ultima conferenza stampa Draghi, oltre a riscuotere la standing ovation dei giornalisti, ha di fatto presentato una sua candidatura alla Presidenza della Repubblica. Certo, in Italia la posizione di Presidente della Repubblica è la più invidiabile, poiché implica la gestione di un potere pressoché assoluto, lasciando a qualcun altro le figure di merda della gestione di governo.
Thomas Fazi: Il lockdown uccide (letteralmente)
Il lockdown uccide (letteralmente)
di Thomas Fazi
Il fatto che in Italia si torni a parlare come se nulla fosse di lockdown – o meglio, che le autorità si possano permettere di farlo senza ritrovarsi la gente in piazza con i forconi un attimo dopo – è la dimostrazione dell’assoluta mancanza di consapevolezza, a livello di percezione generale, di quanto siano stati fallimentari i lockdown passati.
E non mi riferisco alle loro devastanti conseguenze in termini economici, sociali o psicologici – ormai stranote –, ma al fatto che i lockdown di varia natura degli ultimi due anni hanno clamorosamente fallito anche in base all’unico criterio che esiste per giustificarli: quello di “salvare vite”, ridurre la mortalità da Covid ed evitare la saturazione degli ospedali.
I numeri parlano chiaro. L’Italia ha avuto, per buona parte dell’ultimo anno e mezzo, il primato delle restrizioni più dure tra le democrazie occidentali: la media dello Stringency Index compilato dall’università di Oxford mette l’Italia al primo posto tra i paesi democratici occidentali. L’Italia ha anche avuto uno dei maggiori numeri di giorni in cui era in vigore l’ordine di non uscire di casa eccetto che per l’acquisto di viveri e per altri spostamenti essenziali. Infine, l’Italia ha anche vinto la triste gara di chi ha chiuso le scuole più a lungo, a parte qualche Stato americano.
Piccole Note: Quirinale, Draghi si spara sui piedi
Quirinale, Draghi si spara sui piedi
di Piccole Note
L’ascesa al Colle di Draghi si fa ardua. Gli stessi ambiti che l’hanno messo a presidiare l’Italia gli hanno sbarrato la via del Quirinale, che reclamano per figure di più alto livello.
Per essere più espliciti, Il garzone di bottega di Amato ha fatto il suo corso, ora tocca agli adulti, cioè magari allo stesso Amato (vedi Dagospia: “l’accordo tra Gianni ed Enrico Letta sull’eterno candidato, garante del ‘sistema’ e nume di Draghi).
E, in alternativa, anche Gianni Letta, l’eminenza azzurrina “del quale Andreotti disse: Letta conosce mezzo mondo, come si desume anche dalla sua quotidiana presenza condolente nei necrologi dei giornali” (sempre Dagospia).
Sul garzone imposto a Palazzo Chigi, Gianni Letta può far valere una più antica frequentazione dei circoli internazionali che contano, essendosi anche lui, peraltro, introdotto nelle sacre stanze di Goldman Sachs nel 2007.
Le manovre del candidato Cavaliere serviranno a queste due candidature, una volta fallito, come sembra verosimile, il suo successo personale.
Michelangelo Severgnini: Le 2 manifestazioni di Tripoli e l’accordo Salvini-Rackete sulla Libia
Le 2 manifestazioni di Tripoli e l’accordo Salvini-Rackete sulla Libia
di Michelangelo Severgnini
In questi giorni ci sono a Tripoli 2 manifestazioni diverse. A dire il vero una prosegue ininterrottamente da quasi 3 mesi. L’altra si è tenuta nella giornata del 25 dicembre quando ormai le altre città della Libia già si erano mobilitate.
Il presidio dei rifugiati
Avevamo scritto un articolo lo scorso 19 ottobre dal titolo “I migranti in Libia: riportateci a casa”.
In quei giorni la polizia di Tripoli aveva lanciato un’operazione su larga scala che aveva portato all’arresto di alcune migliaia di migranti in Libia.
In seguito alla fuga di molti di loro dal centro di detenzione di Al-Mabani, dove erano stati rinchiusi, avvenuta nelle settimane successive, coloro tra i fuggitivi che sono beneficiari, teoricamente, della protezione internazionale, hanno dato vita ad un sit-in permanente davanti alla sede dell’UNHCR a Tripoli, domandando non a torto che l’organizzazione si prenda carico della loro evacuazione.
Sara Gandini: Covid e scienza
Covid e scienza
di Sara Gandini
Invito sia i sostenitori delle forzature, come Green pass e obblighi vaccinali, e chi spinge con i ricatti verso la vaccinazione di massa dei bambini sani, ma anche chi è convinto che i vaccini non servano a nulla… ad ascoltare John Ioannidis*, uno dei più grandi epidemiologi al mondo.
Il grande insegnamento che traggo da scienzati così seri e preparati è l’importanza di comunicare senza pretendere di dare verità assolute, mantenendo umiltà e onestà intellettuale. Questo per me è fondamentale per non cadere nelle narrazioni estreme delle varie fazioni in gioco.
Quando si fanno scelte in termini di salute pubblica è fondamentale fare sempre una onesta valutazione dei rischi e benefici di ogni scelta sulla popolazione nel suo complesso, basandosi sulle evidenze epidemiologiche presenti e mettendosi nella disposizione d’animo di poter cambiare idea. Questa possibilità è la base del metodo scientifico, per cui gli scienziati non possono sentirsi in guerra. È infatti fondamentale comunicare le incertezze che tutt’ora abbiamo su tante tematiche e non nascondere la fallibilità della scienza.
I più letti degli ultimi tre mesi
Giovanna Cracco: Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza
Sonia Bibbolino: Lettera ai “compagni”
Andrea Zhok: Identikit del No-Vax o del come costruire un capro espiatorio
Andrea Zhok: Sul significato politico del Green Pass
Giuseppe Longo: La pandemia ed il «techno-fix»
Ludovico Lamar: Stato, complotto e giostra finanziaria
Andrea Del Monaco: L’austerità come ostetrica di nuovi fascismi?
Andrea Zhok: La libertà al di là della retorica della libertà