«Il punto è che non esiste una protesi cerebrale artificiale che sia intelligente; il calcolo senza significato può al massimo esprimere l’ossimoro dell’“intelligenza incosciente” […]
Gioacchino Toni: Culture e pratiche di sorveglianza. In balia dell’Incoscienza Artificiale e dell’algocrazia
Culture e pratiche di sorveglianza. In balia dell’Incoscienza Artificiale e dell’algocrazia
di Gioacchino Toni
«Il punto è che non esiste una protesi cerebrale artificiale che sia intelligente; il calcolo senza significato può al massimo esprimere l’ossimoro dell’“intelligenza incosciente” […] La perdita di conoscenza e di autonomia fanno parte di un processo iniziato nel Ventunesimo secolo, nel corso del quale stiamo invertendo il rapporto gerarchico tra noi e le macchine. Oggi siamo sempre più portati a mettere in dubbio la risposta a una nostra domanda dataci da una persona, oppure quella di un assistente virtuale?» Massimo Chiariatti
«gli algoritmi sono pur sempre progettati da esseri umani, sono opachi, ossia poco trasparenti, e perseguono non solo obiettivi di efficienza, ma ancor più di profitto. Quando imparano dall’esperienza, poi, tendono a replicare i pregiudizi umani» Mauro Barberis
Nonostante si tenda a pensare all’Intelligenza Artificiale antropomorfizzandola, come se si trattasse di una macchina in grado di prendere “sue” decisioni ponderate, questa si “limita” a elaborare una mole di dati non governabile dagli esseri umani e a farlo con una velocità altrettanto al di sopra dalle loro possibilità. Per gestire le informazioni disponibili l’essere umano ha sempre teso a esternalizzare alcune funzioni del suo cervello estendendole nello spazio e nel tempo; sin dalla notte dei tempi l’umanità ha fatto ricorso a protesi tecnologiche per superare i suoi limiti fisici e cognitivi ma giunti alla digitalizzazione delle informazioni queste sono talmente aumentate che per la loro gestione si è resa necessaria una tecnologia sempre più sofisticata e performante soprattutto in termini di velocità di elaborazione.
Sebastiano Isaia: La relazione capitale-lavoro come rapporto di classe
La relazione capitale-lavoro come rapporto di classe
di Sebastiano Isaia
È il capitale che impiega il lavoro. Già questo rapporto,
nella sua semplicità, è personificazione delle cose e
reificazione delle persone. In questo modo, il capitale
diventa un essere incredibilmente misterioso (K. Marx).
La relazione Capitale-Lavoro è in primo luogo e fondamentalmente un rapporto di classe, non un fatto meramente economico che si esaurisce sul mercato del lavoro o dentro il luogo di lavoro. Quella relazione, che caratterizza la società capitalistica, presuppone e pone sempre di nuovo l’esistenza del rapporto capitalistico di produzione, il quale si fonda sulla separazione dei produttori diretti (i lavoratori) dai mezzi di produzione e, quindi, dal prodotto del loro lavoro. I lavoratori posseggono solo la loro capacità lavorativa, che essi offrono sul mercato del lavoro al miglior offerente per riceverne in cambio un salario; i mezzi di produzione (macchine, edifici, materie prime, ecc.) e i mezzi di sussistenza comprati dai lavoratori con il salario ricevuto sono invece di esclusiva proprietà del Capitale – non importa in quale forma giuridica esso si presenti dinanzi al lavoratore: capitale privato, capitale pubblico, azionario, “misto” pubblico-privato, cooperativistico, e quant’altro.
Riprendendo ironicamente la celebre frase di Proudhon («La proprietà è un furto»), Marx definisce la proprietà specificamente capitalistica nei termini di un «furto di lavoro altrui». «La proprietà di capitale possiede la qualità di comandare sul lavoro altrui» (1).
Apro una piccola parentesi a proposito della fenomenologia giuridica del Capitale. Nel Manifesto del partito comunista del 1848, Marx ed Engels scrivono: «I comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest’unica espressione: abolizione della proprietà privata» (2).
David Pavón: Marx e Freud in Lacan: dall’inestricabile intreccio alla perfetta compatibilità
Marx e Freud in Lacan: dall’inestricabile intreccio alla perfetta compatibilità
di David Pavón
Sembra che, politicamente, Jacques Lacan sembra sia stato un conservatore. Di certo non era un comunista, e nemmeno un socialista. Ha deriso a più riprese sia gli intellettuali marxisti che gli attivisti di sinistra. Quando era giovane, dichiarò di essere un sostenitore della monarchia, e partecipò alle riunioni di un’organizzazione di estrema destra, l’Action Française. Anni dopo, in piena maturità, ha ammesso di aver votato a destra, per Charles de Gaulle. Sebbene di destra e ostile al marxismo, Lacan ha sempre mostrato grande interesse, e un’ammirazione quasi fervente per Marx. Non ha mai smesso di leggerlo, e di riferirsi a lui con passione. È vero che a volte lo ha criticato, ma più spesso ha riconosciuto i suoi grandi meriti, i suoi successi e le sue scoperte. Inoltre, ha ampliato molte delle sue idee usandolo ripetutamente in quella che è stata la sua interpretazione del pensiero freudiano. Negli scritti di Lacan, e nel suo insegnamento orale, Marx non smette di continuare a incontrare Freud. Gli incontri, tanto frequenti quanto consistenti, profondi e significativi, a volte danno luogo a relazioni strette che organizzano internamente la teoria lacaniana. Tuttavia, quale che sia il grado di citazione di Marx messo in atto da Lacan, appare chiaro che a lui non viene conferito lo stesso posto di Freud. Lacan non adotta il punto di vista di Marx. Non si considera un suo seguace.
Lacan si attiene a Freud. È a lui che aderisce. Si considera un freudiano, non un marxista, e di certo non un freudo-marxista. La sua visione del freudo-marxismo non è per niente positiva. Lo descrive, nelle sue stesse parole, come se si trattasse di un groviglio inestricabile, come se fosse il «vicolo cieco», o «senza soluzione».
Ferdinando Pastore: Educare allo schiavismo
Educare allo schiavismo
di Ferdinando Pastore
C’è qualcosa di ancor più malsano nella riforma che ha dato vita all’alternanza scuola/lavoro, rispetto alle precedenti, seppur anch’esse indirizzate alla privatizzazione, di fatto, dell’istituzione scolastica. Già allora si programmò il progressivo disfacimento del significato pubblico dell’educazione, la svalutazione di quei valori formativi legati un tempo a un’idea di cultura collettiva e storica. L’autonomia scolastica volle spezzettare l’intero ordinamento per esaltare la dinamica di concorrenza tra le varie unità che si dovevano uniformare al modello aziendalistico.
Quell’autonomia quindi non prevedeva, né si curava di prevedere, un impianto etico, sociale e culturale dell’insegnamento, che veniva immiserito dai vademecum di valutazione sull’efficienza. Questa trasformazione ha premiato, anno dopo anno, gli insegnanti meno motivati culturalmente, quelli che si sono conformati in maniera congeniale al mandato imprenditoriale della didattica. La scuola è diventata un percorso formativo quasi sensoriale, un’esperienza di vita assimilabile alla metafora del viaggio che arricchisce interiormente gli individui in vista della prestazione.
Marco Villoresi: Splendori politici e miserie scientifiche del Green Pass
Splendori politici e miserie scientifiche del Green Pass
di Marco Villoresi
Il tempo, si dice, è galantuomo. E la verità è figlia del tempo. Il Green Pass, come sappiamo, è entrato in vigore il 6 agosto 2021. Per valutarne la fondatezza scientifica, offro una breve sintesi storica. A beneficio di tutti, spero. Ma in particolare, di coloro che, conoscendo poco o male i dati, hanno avuto anche scarso riguardo alla scansione temporale degli avvenimenti. Dico subito, però, che i dati che adesso rimetterò in fila erano chiari da sempre. E a disposizione di chiunque. Bastava prenderli in considerazione, con scrupolo e onestà. Dissociandosi dalla strumentalizzazione politica. Ed è grave che dati così chiari siano stati misconosciuti da coloro che vengono stipendiati per osservare, studiare ed esercitare un disinibito spirito critico. E, di conseguenza, per promuovere la consapevolezza culturale e civile dei cittadini.
Torniamo alla scorsa estate. Israele, come noto, è il laboratorio della Pfizer: da lì, con buon anticipo, giungono le informazioni sui vaccini a mRNA. Con giubilante cinguettio urbi et orbi, il 15 giugno Roberto Burioni asserisce che la terra di Israele è “libera dal Covid […] grazie ai vaccini”.
Il Chimico Scettico: Covid e modelli (per l’ultima volta, sul serio)
Covid e modelli (per l’ultima volta, sul serio)
di Il Chimico Scettico
Parlare di pandemia e modelli nel 2022 per me non ha ormai alcun senso. Tra i buffoni che producono buffonate, magari dicendo “Oh, non e’ una previsione questa, solo un esercizio teorico” e i blasonati che continuano imperterriti a sfornarne, dopo due anni e performance che sono state quelle note, è inutile discuterne ancora, se non un’ultima volta.
L’articolo linkato merita di essere letto da capo a fondo. Quanto in media i modelli SAGE abbiano funzionato si vede benissimo dall’immagine sotto. E veniamo al punto cruciale:
“Le difese dei modelli Sage lasciano molte domande senza risposta. Se i modelli sono solo “illustrativi” e non predicono, perché sono stati riassunti e presentati ai ministri in questo modo?
“Senza interventi in aggiunta alle misure già in atto i modelli indicano un picco di almeno 3000 ospedalizzazioni al giorno in Inghilterra”.
E perché questi scenari sono stati descritti come probabili?
coniarerivolta: La riforma fiscale di Draghi: per gli ultimi il solito nulla
La riforma fiscale di Draghi: per gli ultimi il solito nulla
di coniarerivolta
Se vi è un provvedimento che, più ancora di altri, dà la piena misura del carattere regressivo del governo Draghi, questo è senza dubbio la riforma dell’Irpef approvata nel mese di dicembre. La versione definitiva varata è, per alcuni aspetti, persino peggiore delle bozze che circolavano sino a pochi giorni prima della definitiva presentazione. Vediamo in breve cosa è cambiato e chi guadagna dalla nuova situazione.
L’Irpef, imposta sul reddito delle persone fisiche, è l’imposta che colpisce i redditi della stragrande maggioranza dei residenti in Italia, colpendo tutti i redditi da lavoro dipendente, autonomo, da pensione e i redditi delle imprese individuali e delle società di persone. Nel corso del tempo l’Irpef (istituita nel lontano 1974) ha drasticamente perso progressività, con una fortissima riduzione sia del numero di scaglioni sia della distanza tra il primo e l’ultimo, ed ha ridotto il perimetro delle tipologie di reddito che colpisce. Ad oggi, infatti, sono esclusi dall’Irpef i redditi delle società di capitali soggetti all’imposta proporzionale IRES e la variegata pletora di redditi finanziari e immobiliari soggetti ad aliquote agevolate separate, nonché i redditi da lavoro autonomo fino a 65.000 euro annui, che godono di un regime forfettario.
Paolo Bartolini: Lasciar passare la ristrutturazione del sistema?
Lasciar passare la ristrutturazione del sistema?
di Paolo Bartolini
Un rappresentante dell’OMS lascia intendere che forse, con la diffusione massiva della variante Omicron (per fortuna meno nociva delle precedenti incarnazioni di SARS-Cov-2), stiamo per uscire dalla pandemia. Nonostante questo servirà una costante attenzione data la versatilità del virus in questione.
Se potessimo mettere da parte l’isteria e ragionare pacatamente troveremmo che l’esito auspicato – la fine di questa emergenza – non riuscirà a cancellare facilmente le conseguenze psicosociali e biopolitiche innescate dall’approccio governativo alla crisi. Ma facciamo un passo dopo l’altro.
Intanto bisogna riconoscere che i benvenuti vaccini hanno confermato la loro utilità nel difendere i soggetti più fragili. Eliminare i brevetti, rendere pubblici i dati relativi ad eventuali effetti collaterali e ripensare in senso democratico la “filiera” di produzione/distribuzione sono temi fondamentali, che non devono impedirci di constatare i rischi di ogni produzione accelerata di un farmaco poi approvato in via emergenziale.
Stefano G. Azzarà: Presidenza della Repubblica: verso una democrazia postmoderna
Presidenza della Repubblica: verso una democrazia postmoderna
di Stefano G. Azzarà
Il percorso verso il superamento della Costituzione repubblicana è segnato e si intravvedono già i contorni della Repubblica presidenziale. Accuratamente nascosto sotto l’altezzoso sorriso Ancien Régime di Mario Draghi o magari sotto quello più rassicurante di qualche democristiano, c’è l’approdo a una democrazia postmoderna che si instradi sui binari di una forma flessibile di bonapartismo plebiscitario mediatico
Dopo l’inevitabile sceneggiata con la quale in questi giorni, a partire da Silvio Berlusconi, tutti gli attori sul palcoscenico hanno cercato di alzare il proprio prezzo e riacquisire una centralità politica spendibile nel prossimo futuro, è probabile che questa settimana Mario Draghi venga eletto presidente della Repubblica, poco conta se alla prima o dopo la quarta votazione. Del resto, questa non sarebbe affatto una sorpresa: nonostante la suspense o la fumisteria creata più o meno ad arte dalle ambizioni personali di qualcuno, arrivato fuori tempo massimo, questo esito sarebbe esattamente quanto era risaputo sin dall’inizio, ovvero da quando l’ex presidente della Banca d’Italia e poi della BCE è stato nominato premier da una vasta coalizione di unità nazionale, dopo che Renzi aveva staccato la spina al governo PD-M5S. E, si può dire, sarebbe esattamente ciò per cui quella nomina era a suo tempo avvenuta e quanto il sistema industriale dei media – impegnatissimo h.24 a fare il tifo per lui e a spianargli la strada delegittimando ogni alternativa – ha sempre dato per scontato.
Non si tratta di una scelta irrilevante e da valutare nichilisticamente con senso di sufficienza, sia chiaro. I gruppi economici dominanti sono alle prese con il serissimo problema di una crisi organica della loro egemonia, che è logora e fa acqua da tutte le parti. E se vogliono recuperare quei pezzi di ceti medi e classi subalterne che si sono sottratti al loro controllo ideologico diretto durante la lunga fase della crisi economica e dell’impauperimento generalizzato, devono a ogni costo ricostruire almeno parzialmente il blocco sociale messo in discussione dalla rivolta populista (abilmente cavalcata dai settori outsider interni al medesimo mondo industrial-finanziario) e dargli un barlume di plausibilità e coesione.
Noi non abbiamo patria: Antibiotici, vaccini e pandemia
Antibiotici, vaccini e pandemia
di Noi non abbiamo patria
Le crescenti preoccupazioni delle soggettività della necessità del modo di produzione capitalistico
Che cosa ne è del progresso della medicina? In fondo [clicca qui] a questa introduzione c’è un articolo apparso sul The Economist del 21 Gennaio 2022 dal contenuto davvero allarmante (e con accenti anche sciovinisti nei confronti dei paesi dell’Asia). Il cosiddetto progresso capitalistico, il cui sviluppo della accumulazione comportava progresso tecnico e miglioramento delle condizioni di vita, seppur in maniera diseguale e combinata, ora tornano indietro come un boomerang con tutte le contraddizioni nefaste rafforzate di questo modo di produzione. La resilienza della vita alle malattie ed ai patogeni batterici o virali è in regresso. Quanto predisposto da decenni di progresso medico scientifico non sta producendo più i risultati auspicati ed anzi appare essere esso stesso fattore di concausa ed origine di una nuova emergenza sanitaria.
Le organizzazioni sanitarie del Pakistan, India e Bangladesh si trovano a fronteggiare infezioni batteriche che risultano resistenti ai farmaci antibiotici ed antimicrobici con esiti fatali. Ma sono questi stessi antibiotici ed antimicrobici usati in agricoltura o negli allevamenti intensivi ad aver prodotto dei super batteri veicolati da super microrganismi davvero resilienti ai farmaci che hanno curato malattie fatali per l’uomo negli anni ’50, ’60 e ’70 e che ora non stanno salvando più le vite come in precedenza. Le infezioni batteriche già conosciute da decenni di esperienza medica appaiono decisamente più resistenti agli antibiotici determinando un impegno sanitario quintuplicato per le cure ospedaliere e farmacologiche, e un gran numero di morti imprevisto.
Temps Critiques: Valore-lavoro e il lavoro come valore
Valore-lavoro e il lavoro come valore
di Temps Critiques
Il saggio Sur la valeur-travail et le travail comme valeur è stato originariamente pubblicato su Temps critiques, 15 Novembre 2021 ed è consultabile su Sur la valeur-travail et le travail comme valeur. Successivamente è stato ripubblicato su Lundimatin #313 e in versione inglese in Ill Will, 29 Dicembre 2021, consultabile su Labor Value and Labor as Value. Di seguito la traduzione a cura di J. Cantalini.
«Questo sono io» Il discorso performativo del Potere
Con i suoi attacchi contro assistenzialismo e reddito garantito, il discorso pronunciato da Macron il 9 novembre 2021 sul valore-lavoro (o sul lavoro “come valore”) è stato, in prima battuta, poco più di un revival di ciò che Jospin[1] aveva già detto nel 1998 durante il mouvement des chômeurs (movimento dei disoccupati), conclusosi nel 2001 con la creazione di un bonus assunzioni, che si sarebbe gradualmente trasformato in premio di produzione dopo il 2006; e poi, una replica di quello di Sarzoky sul «lavorare di più, guadagnare di più», pronunciato a proposito dell’introduzione di straordinari esentasse. Ciononostante, le misure adottate o proposte oggi (premi di produzione, “indennità inflazione”) contraddicono quanto dichiarato inizialmente da Macron, in quanto investono sull’individuo-consumatore bisognoso piuttosto che sull’individuo produttivo e creativo. In altre parole, non è il valore del lavoro e il conseguente salario («il potere del lavoro» secondo la dichiarazione rilasciata a Le Monde l’11 novembre da Aurélien Purière, direttore della Sécurité sociale) che il governo sta tentando di migliorare, ma il potere d’acquisto stesso, senza che intervenga il minimo cambiamento nel rapporto di potere tra capitale e lavoro. È da questo che dipende l’assenza di pressioni sul capitale e di aumento dello SMIC[2], mentre compaiono solo calcoli sofisticati, a quanto pare troppo complessi persino per il ministro del Lavoro Bruno Le Maire, cosa che il Presidente intende chiarire[3]. A livello più generale, è la stessa logica che è stata applicata durante il movimento dei Gilet jaunes, ossia la previsione di un bonus suppletivo al premio di produzione e un bonus concesso a titolo eccezionale dal governo Macron.
Andrea Zhok: Il lasciapassare verde: tramonto o alba?
Il lasciapassare verde: tramonto o alba?
di Andrea Zhok
È noto come la Commissione Europea avesse progettato sin dal gennaio 2018 l’implementazione di un pass sanitario per i cittadini UE (vaccination passport for EU citizens). L’intento dichiarato concerneva la mobilità tra paesi dell’UE e la “road map” che era stata proposta aveva il 2022 come data di implementazione definitiva.
Il fatto che questo progetto fosse inteso soltanto come limitazione agli spostamenti tra paesi non deve trarre in inganno circa la radicalità del progetto. Infatti è da tempo che le normative europee non contemplano alcuna distinzione netta tra la mobilità interna a ciascuno stato dell’UE e la mobilità tra stati, e dunque un passaporto vaccinale che potesse porre limitazioni alla mobilità tra stati implica di principio una legittimazione generale a porre limitazioni ad ogni mobilità territoriale, a qualunque livello.
È anche interessante notare che la proposta del 2018, una volta resa pubblica e commentabile dalla cittadinanza venne subissata da una debordante quantità di critiche, al punto che i commenti pubblici sulla pagina dedicata nel sito della Commissione Europea vennero bloccati nel marzo 2018.
Pasquale Cicalese: La ristrutturazione del capitale italiano
La ristrutturazione del capitale italiano
di Pasquale Cicalese
L’avvento di Mario Draghi segna l’inizio della ristrutturazione del capitale italiano che si rafforza nei mercati asiatici, specie in Cina (nel 2021 ha esportato per una cifra record di 30,3 miliardi di dollari), e nel Mediteranneo, con il record assoluto di export pari a 510 miliardi di euro, superando il record del 2019. E’ anche l’anno della rivincita del capitale industriale sul capitale commerciale, dopo 50 anni.
L’industria, quasi tutta, ha recuperato i livello precedenti, ora c’è il caro energia, toglierà margini, produzioni e pil, ma la prospettiva è ormai certa. La fonte di valore, l’industria appunto, riconquista la propria centralità, superando come livelli di capitale industriale la Francia. Segno di questa vitalità è l’M&A, vale a dire le operazioni di acquisizione e fusioni transnazionali (Draghi è l’agente del capitale transnazionale, che guida, attraverso i suoi strateghi – mai sottovalutarli – il processo).
Riporto qui di seguito parte di un report.
Paolo Favilli: Neoliberisti con i neoliberisti, socialisti con i socialisti
Neoliberisti con i neoliberisti, socialisti con i socialisti
di Paolo Favilli
Pietro Nenni, nella seconda metà degli anni Sessanta, utilizzava l’espressione «comunisti con i comunisti, socialisti con i socialisti», per sottolineare la differenza teorico-politica con la sinistra socialista dei Lucio Libertini e dei Vittorio Foa e fare chiarezza sulla prospettiva strategica del Psi.
In un contesto affatto diverso, con soggetti politici affatto diversi, rimane tuttavia la stessa necessità di fare chiarezza sulle incerte prospettive di una sinistra che non vuole definirsi tale solo «per simmetria».
Sia sul piano teorico che su quello politico la «sinistra per simmetria» è componente rilevante della costellazione «neoliberista».
Il neoliberismo, a differenza del liberismo del laissez faire, non ha dei rapporti economici una concezione naturalistica, e considera la dinamica delle relazioni di mercato come il frutto di una costruzione politico-culturale, dunque di un processo normativo. Il percorso legificante del trattato europeo di «stabilità» e «governance» (fiscal compact) è, a proposito, di una perfezione esemplare.
Alba Tecla Bosco: Lo sguardo della maestra Anna e la salute che non ci permettono più di coltivare
Lo sguardo della maestra Anna e la salute che non ci permettono più di coltivare
di Alba Tecla Bosco
Anna percorre in bicicletta i cinque chilometri di tragitto verso la sua scuola nel bosco. Ogni giorno.
Non è la bambina di una fiaba. Non è la scolaretta di qualche villaggio povero. E’ una maestra. Insegna in una grande città italiana. E pedala per abitudine pluridecennale.
La novità di questi tempi è che, dal suo sellino, Anna ha cominciato a guardare con altri occhi gli autobus che le passano accanto. Si è detta: “Se un giorno, per via della pioggia o del freddo, non avessi voglia di usare la bici, ebbene lì non potrei salire”.
Non siamo all’epoca di Rosa Parks e del resto Anna è bianca e italiana. Ma dal 10 gennaio 2022 (in virtù del decreto n.229 del 30 dicembre 2021), su bus, metrò, treni, corriere – insomma tutti i veicoli del trasporto pubblico che ritenevamo un diritto essenziale -, si sale solo con il “certificato verde rafforzato”. Occorre al viaggiatore la vaccinazione “aggiornata” (alla terza dose se la seconda è avvenuta prima degli ultimi 4 mesi) oppure una dichiarazione di guarigione.
Marco Cattaneo: La sovranità nella terra di nessuno
La sovranità nella terra di nessuno
di Marco Cattaneo
Sono molto in sintonia con questo commento di Jean-Paul Fitoussi, formulato al termine di un articolo in cui Milano Finanza gli chiedeva (unico non euroausterico, a fianco di Codogno, Cottarelli e Gros…) un’opinione sul progetto franco-italiano di riforma del patto di stabilità:
“Se vogliamo risolvere i problemi dell’Europa bisogna comunque andare oltre i contenuti tecnici e occuparci innanzitutto del problema della sovranità. È solo a questa condizione che la scelta potrebbe prevalere sulla regola e la democrazia sulla tecnocrazia”.
Qui sta il nocciolo della questione. La UE e in particolare l’Eurozona sono in una situazione infernale perché la sovranità è stata tolta agli Stati senza attribuirla a nessun’altra istituzione democratica. In altri termini, non si sa dove stia: è finita nella terra di nessuno.
Gli europeisti, perlomeno alcuni di loro, ammettono pure che è vero, ma la soluzione unica accettabile a loro avviso è “completare l’opera”, cioè realizzare l’unione politica.
Ma come è possibile realizzare un’unione politica se non c’è desiderio di arrivarci, da parte della maggioranza dei cittadini dei vari Stati ?
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